Da Gerusalemme
a Gaza…
la grande
marcia continua
Patrizia Cecconi
In una Gerusalemme dal
cielo grigiastro e l’aria irrespirabile che sembrava la risposta della natura
ai sorrisi soddisfatti di Netaniahu per essere riuscito, con la complicità
dell’Italia, a utilizzare lo sport per riaffermare il potere della bugia e
della forza sul Diritto internazionale, si è aperta la più grande gara
ciclistica del 2018 consacrando, a livello mediatico, la pretesa israeliana di
annessione di Gerusalemme e di farne capitale del suo Stato. Sotto i pedali del
“giro d’Italia”, e in nome di una bugia superbamente confezionata,
strumentalizzando la figura del grande Gino Bartali, il crimine
dell’occupazione militare israeliana si è volatilizzato, trasformandosi in
omaggio allo Stato occupante. Inutilmente da Ramallah i ciclisti palestinesi,
quelli non ancora gambizzati dall’esercito israeliano, hanno cercato di
richiamare l’attenzione mediatica organizzando un loro giro ciclistico fino al
muro di Qalandia, laddove il check point israeliano impedisce loro di
raggiungere Gerusalemme “in quanto
palestinesi”. Solo un giornale italiano, che si sappia, ha riportato la notizia
di questo Giro palestinese che grazie ai social e all’agenzia di stampa
NenaNewsAgency non è passata del tutto inosservata. Intanto, mentre si ignorava
il Diritto internazionale coprendone con la facciata sportiva la sua continua
violazione, a qualche decina di chilometri, in un’aria più irrespirabile ancora
di quella di Gerusalemme, ma non per fenomeno naturale, si preparava, lungo i confini assediati di
Gaza, il 6° venerdì della grande marcia per il diritto al ritorno.
Anche
questo venerdì ha visto la creatività dei partecipanti alla marcia in
antagonismo alla violenza degli assedianti. Sono stati usati i racchettoni da
mare per respingere i tear-gas, di cui Israele ha fatto larghissimo uso intossicando qualche centinaio di
partecipanti compresi quelli distanti centinaia di metri dal border. Con le
tradizionali fionde sono stati abbattuti due sofisticatissimi droni. E ancora
grande uso di aquiloni e, soprattutto, la capacità di dimostrare che i
partecipanti alla marcia non hanno paura di un nemico tanto forte e tanto
armato, e che seguiteranno a pretendere l’applicazione dei diritti sanciti
dall’ONU.
Questo
venerdì non ci sono stati morti, sebbene tra i circa 1100 feriti diversi di
loro siano stati colpiti al collo o nella parte alta del corpo ma, seppure ce
ne fossero stati, ormai sappiamo che a loro non si sarebbe dato il giusto
valore nei grandi media, così come non se ne è dato, per contro, alle terribili
affermazioni razziste, di incitamento alla violenza e all’omicidio che
periodicamente vengono lanciate, non solo dall’uomo della strada, ma da
rappresentanti del governo o del parlamento
israeliano quali Liberman, Bennett o Ayelet Shaked, mentre è sotto gli
occhi di tutti la grande rilevanza data alle affermazioni di Abu Mazen in
quanto in esse si è colto dell’antisemitismo. Basterebbe leggerlo, il discorso
di Abu Mazen, per capire quanto improvvida sia stata la sua dichiarazione visto
l’uso che sarebbe stato fatto delle sue parole sebbene riferite a situazioni
storicamente e socialmente concrete. Ma come sempre il presidente Abu Mazen,
invece di rispondere a chi stava strumentalizzando le sue parole, cioè i media
di tutto il mondo su veline israeliane, ha preferito scusarsi per aver offeso
involontariamente “gli ebrei”, regalando un’altra palla a chi gioca
sull’antisemitismo per annettersi illegalmente l’intera Palestina.
Mentre
scriviamo, il giro d’Italia seguita le sue tappe asiatiche da Haifa a Tel Aviv,
da Ber’sheva a Eilat, pedalando su strade che fino al 1948 erano città e
villaggi palestinesi. Di questo non si cura l’Italia che ha accettato
l’imbroglio sulla figura di Bartali per accreditare il più fuorilegge degli
Stati considerati democratici e dare il suo contributo a un’operazione che
grazie a Trump dimostra a tutto il mondo quanto la forza e il denaro vincano
sul diritto. La RCS Media Group, cioè gli
organizzatori italiani del Giro, hanno anche ringraziato Israele per
“questa bellissima occasione”, cioè l’occasione di usare lo sport a favore
dell’illegalità. E questa non è una dichiarazione di parte, ma la sintesi dello
studio di un’amplissima documentazione storica alla quale anche storici israeliani
hanno dato il loro sostanziale contributo. Israele, il 14 maggio di 70 anni fa,
nasceva cacciando o uccidendo un altissimo numero di palestinesi e distruggendo
432 villaggi impadronendosi di tutto il possibile. L’Onu cercava formalmente di
porre minimamente rimedio alla “catastrofe” con una serie di Risoluzioni
successive all’autoproclamazione della nascita di questo Stato che però, per Israele,
sono sempre state solo pezzi di carta e quest’anno, grazie anche a Trump, farà
o tenterà di fare il colpo grosso: il riconoscimento di Gerusalemme come sua
capitale cancellando agli occhi del mondo l’illegalità e l’illegittimità della
sua occupazione.
Ma
Israele sa che una gran parte di palestinesi, sia musulmani che cristiani, non
accetteranno mai quest’annessione, né la perdita dei loro diritti e, a
un’ottantina di chilometri da qui, circa 20-30.000 persone seguitano a
dirglielo nella forma più intelligente e coraggiosa che abbiano saputo
inventare i palestinesi: la grande marcia sotto un’unica bandiera, mettendo da
parte le divisioni dei vertici. Una marcia di popolo, basata sulla non-violenza
e avendo come tattica l’uso dell’ironia e delle azioni simboliche, come quella
di strappare qualche metro di rete per mostrare che anche l’assedio più
sofisticato e più crudele ha i suoi punti deboli. Hanno pagato caro per questo,
ma né i 50 morti, né i 6000 feriti li hanno fatti arrendere. I media però non
raccontano queste manifestazioni né in
modo adeguato, né in modo corretto, anche perché non sono sul campo, perdendo così una grande occasione: quella di
capire e far capire che non si tratta di marce rituali, ma di una
strategia che forse riuscirà a dare una
svolta a questo conflitto quasi centenario grazie alla creazione di un unico
fronte resistenziale. Forse la Grande marcia non riuscirà a raggiungere il suo
scopo, forse i nemici diretti e indiretti sono troppo potenti e numerosi, ma
questo lo vedremo nei prossimi mesi. Intanto i comitati organizzatori si
preparano per il prossimo venerdì, cercando di mandare il loro messaggio oltre
l’assedio che strangola Gaza da 11 anni.
La
marcia continua e il Giro d’Italia rientrerà nei confini dopo aver reso i suoi
servigi a Netanyahu il quale, proprio oggi, per legge della Knesset, assumerà
su di sé il diritto di dichiarare guerra senza doverlo concordare almeno con
l’esecutivo. Questo è un altro passo che allontana sempre di più Israele dai
pilastri della democrazia, ma che, senza vergogna, tutti i suoi sostenitori
seguiteranno a chiamare Stato democratico.