LA CONCEZIONE
DELLA POLITICA
di Franco Astengo
Dedicato alle vicende
politiche dell’oggi, allo scenario che si presenta, sempre con un pensiero
rivolto alla memoria: “ Fare della politica significa agire per trasformare il
mondo. Nella politica è quindi contenuta tutta la filosofia reale di ognuno,
nella politica sta la sostanza della storia e, per il singolo che è giunto alla
coscienza critica della realtà e del compito che gli spetta nella lotta per il
trasformarla, sta anche la sostanza della sua vita morale”.
“Palmiro Togliatti appunti “Studi gramsciani.
Atti del convegno di Roma, 11-13 gennaio 1958” Roma, Editori Riuniti 1958”.
Questa
frase racchiude l’essenza delle motivazioni che appartenevano alla volontà
generale dell’agire politico nel tempo delle ideologie e delle grandi
formazioni di masse e vale ancora la pena, almeno per chi scrive,
rappresentarla non come semplice (pur indispensabile) esercizio della memoria.
Si tratta di temi da meditare. Certo non tutto era rose e fiori, le contraddizioni
non mancavano e non sono mai venute meno: contraddizioni dure tra il quotidiano
e la prospettiva; tra l’essere e il divenire nello spazio tra la ragione e la
volontà. Contraddizioni che sono state affrontate e, in certi casi, non
superate.
Abbiamo
vissuto davvero momenti ben più drammatici di quelli odierni: tra il 1950 e il
1960 la polizia sparava spesso sugli operai in sciopero e i contadini che
occupavano le terre: Melissa, Montescaglioso, Modena fino a Reggio Emilia
restano indelebili nella nostra memoria di allora, giovani militanti, e di
oggi.
La
svolta si verificò con la classe operaia in campo e la cacciata, dalla piazza,
di un governo democristiano appoggiato dai fascisti. Oggi la situazione si presenta
completamente ribaltata. È bene ricordare che
affrontiamo questa difficile situazione dell’oggi al di fuori dalla possibilità
di essere presenti sul serio nella dinamica politica, sovrastati e schiacciati
da motivazioni strumentalmente opposte che non ci appartengono, non stanno
nella nostra storia internazionalista e di solidarietà di classe.
In
questi anni ci si è ostinatamente rifiutati di ascoltare chi chiedeva di
ripensare alla possibilità di costruzione di una soggettività politica fondata
sull’evidente allargamento dell’ antica e mai tramontata” contraddizione
principale”, sul tema del rapporto tra lavoro e sfruttamento dentro ad
un’egemonia capitalistica sempre più vorace. Ha prevalso, in gruppi dirigenti
improvvisati il corporativismo di una politica per se medesimi, utilizzata come strumento per soddisfare la
bramosia di un presenzialismo rivelatosi inutile e dannoso, cedendo sui
principi fondamentali, concedendo spazio allo sgretolarsi di una società sempre
più individualistica alla quale non si è contrapposto seriamente alcun modello
di nuova integrazione di massa, rinunciando alla necessaria organicità nel
rapporto tra politica e cultura. Si
è fatto a meno dell’autonomia di pensiero, di organizzazione, di azione per
seguire il flusso dell’eterno presente imposto dalla vanità del rispecchiarsi
dei mezzi di comunicazione il cui utilizzo è diventato un fine. È stato questo l’elemento con il quale non si
sono fatti i conti e, forse, è ormai tardi per cominciare.