Sangue e
resistenza in Palestina
nel giorno
della Nakba
di Patrizia Cecconi
14 maggio 2018 – Oggi è stata giornata di sangue in
Palestina. Ricorre il settantesimo anniversario del giorno in cui Ben Gurion
proclamava la nascita dello Stato di Israele su terra palestinese. Ben Gurion
si servì della Risoluzione 181 che prevedeva la partizione della
Palestina storica, ma non rispettò mai i termini di quella Risoluzione, a
partire dal giorno della dichiarazione della cosiddetta indipendenza,
anticipato rispetto alla data prevista dall’ONU, a simboleggiare che Israele
era al di sopra della legalità internazionale. Iniziò la guerra con gli arabi, che Israele vinse
annettendosi ben più di quanto stabilito dall’ONU e che, secondo il
diritto internazionale, non avrebbe potuto annettersi. Ma c’era
la famosa cattiva coscienza europea per il drammatico olocausto, alla quale si
accompagnavano anche notevoli interessi europei ed americani e la terra annessa
divenne alla fine “cosa fatta” tant’è che i negoziati per la nascita dello
Stato di Palestina si fanno solo sul 22 % della Palestina storica. Poi arrivò
un’altra guerra – quella dei 6 giorni –
che segnò
la vittoria di Israele e questo comportò l’occupazione
degli altri territori palestinesi compresa Al Quds, la Gerusalemme araba. Ma l’occupazione
di Al Quds non fu mai accettata, né de facto né de jure,
mentre Israele la rivendica come sua capitale.
Poi
arrivò Trump. Si pose non più come arbitro, quale avrebbe dovuto essere,
sebbene sempre un po’ sbilanciato, il presidente degli USA, bensì come padrino
protettore del suo pupillo e le sue dichiarazioni, sconvenienti e scandalose
sul piano del Diritto hanno finito per essere digerite, anche grazie all’amicizia
con alcuni dei più reazionari paesi arabi con cui vige la solidarietà degli
affari. Ma i palestinesi finora hanno detto no, Gerusalemme non è solo una
città, è un simbolo che raccoglie in sé memoria e altri simboli, religiosi e
non, e per il quale i
palestinesi, sia cristiani che musulmani, sono disposti a morire. Oggi Trump,
con la sua scelta di riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele e col
suo rivendicato appoggio a uno Stato sostanzialmente fuori legge, ha reso ancor
più violenta la reazione di Israele alle richieste di rispetto della legalità
internazionale portate avanti dal popolo palestinese. In Cisgiordania, le
proteste hanno riguardato principalmente il
tentativo di “rapina” di Gerusalemme, mentre lungo la Striscia di Gaza proseguiva
la “Grande marcia” per rivendicare il diritto al ritorno (Risoluzione Onu 194
ignorata da Israele) e la rottura dell’illegale assedio israeliano. Senza
rischio di smentita si può dire che oggi, lungo la Striscia, Israele ha
nuovamente macchiato la sua sedicente democrazia con un vero e proprio bagno di
sangue palestinese. Si contano 52 morti e 2638 feriti. Tutti inermi, a parte qualcuno “armato”
di pietre. Tra di loro anche
invalidi e bambini. Una vera vergogna per chiunque voglia dichiararsi rispettoso
dei diritti umani. Ma Israele si è sempre distinto in questo e in fondo è
riuscito in più occasioni a uccidere in pochi giorni 3 – 400 bambini compresi
neonati bombardando orfanotrofi e ospedali e non ha mai perso l’appellativo di
Stato democratico, quindi tutto il resto va da sé.
Ma
vediamo com’è iniziata questa triste giornata lungo la Striscia di Gaza. E’
iniziata bruciando i villaggi
simboleggiati dalle tende degli accampamenti. Infatti, poco dopo l’alba,
piccoli aerei incendiari, carichi di benzina sono stati lanciati dall’IDF sulle
tende in cui dormivano molte
famiglie partecipanti alla Grande marcia. Sei feriti tanto per cominciare, e
non erano ancora le 7 del mattino.
Dopo
la preghiera di metà giornata, si contavano già 37 martiri, a fine
dimostrazione sarebbero diventati 52. Durante la notte forse il numero salirà.
E’ sempre bene ricordare che per i palestinesi si tratta di martiri e non
semplicemente di vittime, e il martire, non solo in Palestina, ma in ogni parte
del mondo ha lo stesso significato: quello di essere testimone, di dare l’esempio
e, quindi, la spinta che aggiunge
coraggio e determinazione nei superstiti. A riprova di ciò le proteste non si sono
fermate neanche davanti alle minacce del portavoce israeliano delle forze armate,
Avijaa Adraei, il quale comunicava in TV che se i gazawi
non fermavano la marcia sarebbe stata bombardata Gaza con l’aviazione
militare. Nelle stesse ore un gruppo di giovani tagliava la rete dell’assedio ed
entrava, disarmato, in
territorio israeliano. Questi giovani volevano dimostrare che la libertà è
un bene supremo e la gabbia in cui vivono da 11 anni deve essere rotta a
qualunque prezzo. Per alcuni di loro il prezzo è stata la vita. Ora sono
martiri.
Intanto
anche in Cisgiordania sono andate avanti le proteste per Gerusalemme.
L’annessione non sarà cosa facile, nonostante i brindisi soddisfatti di
Netanyahu che con il riconoscimento di Trump è riuscito a far passare in
secondo piano i suoi problemi con la giustizia che, per motivi di frode e non
certo per i massacri dei palestinesi, avrebbero potuto defenestrarlo. Mentre
Netanyahu, padrini e valletti festeggiavano lo scavalcamento delle Risoluzioni
Onu circa Gerusalemme, e mentre la voce ufficiale dell’IDF dichiarava
sprezzante che Israele potrebbe decidere di bombardare Gaza come si trattasse
di una decisione pacifica e legale, non si avevano ancora reazioni da parte
dell’ONU. Quale sarà l’esternazione del Segretario generale? Sulla base delle
esperienze passate è lecito supporre che sarà un rimprovero a Israele per
l’esagerata reazione alle proteste. Non ci si aspetta di più e questo è molto
grave perché salta a piè pari l’insulto al Diritto internazionale e inoltre,
riducendo a piccola cosa quello che è un crimine continuato, porta il cittadino
ad assuefarsi al crimine, ovunque e non solo in Palestina, piuttosto che a
rifiutarlo.
Inoltre
la prevista “timidezza”
dell’ONU non risolverà, ma probabilmente
aggraverà il problema, perché la questione, o meglio
il problema israelo-palestinese ha un nome preciso, anzi due: assedio e
occupazione. Se l’ONU mostrerà ancora una volta di essere impotente oltre che
inefficace rispetto alle violazioni ed ai crimini israeliani, il mondo tutto, e
non solo il Medio Oriente, ne pagheranno il prezzo, perché la legalità
internazionale verrà ad essere sempre più percepita per quel che
indiscutibilmente mostra di essere da molto tempo: inutile. Mentre scriviamo arrivano
richieste di sangue e di medicinali dagli ospedali di Gaza. Tra i feriti ci
sono alcuni giornalisti, ma questa non è una novità e Israele, sia per i ferimenti che
per le uccisioni di giornalisti, vanta un vero primato.
Oggi
poi ci sono stati davvero gli scontri, quelli che nei precedenti venerdì non
c’erano mai stati nonostante i nostri media coprissero le responsabilità degli
omicidi e dei ferimenti di dimostranti pacifici e inermi con il mistificante
termine “scontri”. Oggi invece gli sconti ci sono stati e sono molto duri. Da
una parte la resistenza, con fionde e pietre, dall’altra l’occupazione, con
missili, carrarmati, droni incendiari, gas tossici e snipers. Da una parte il
desiderio di libertà, dall’altra la forza delle armi per reprimerlo.
Mentre
gli ospedali di tutta la Striscia non hanno più posti e lanciano appelli al
mondo, qualcuno lancia l’idea che il capo di Hamas ieri ha concordato con
l’Egitto la fine della marcia. Ma la marcia non era indetta da Hamas, al
contrario nasceva realmente da comitati di gazawi di ogni fazione ed anche esterni ad ogni fazione
politica. Se un “padre”
gli si vuole proprio dare questo è il Fronte Popolare i
cui militanti hanno avuto per primi l’idea della grande marcia
alcuni mesi fa e da
quest’idea sono scaturiti i comitati assolutamente trasversali ad
ogni fazione politica.
Comunque
questa mattina le auto di Hamas, al pari degli altri partiti, giravano per le strade con gli
altoparlanti invitando la popolazione
a partecipare. Ben strano affermare che Hanyeh voglia bloccare la marcia e poi
invitare i cittadini a partecipare. Ormai la giornata è conclusa e tra le
notizie e le foto particolarmente toccanti, quali quella di un altro invalido
freddato sulla sua sedia a rotelle, o quella del giovane Moutasen colpito in
fronte da un cecchino e, per crudeltà del destino, arrivato proprio tra le
braccia del medico suo fratello, arriva anche una notizia da Ramallah che
sicuramente renderà meno allegro il brindisi di domani ad americani, israeliani
e loro supporter: il presidente Abu Mazen ha chiesto lo sciopero generale in tutta
la Palestina. Gerusalemme riuscirà forse ad essere la prima mossa sbagliata per
gli appetiti israeliani. Lo vedremo. Intanto a Gaza stanotte non si dormirà. I
droni voleranno bassi e forse la minaccia di nuovo bombardamento si
concretizzerà. Ma i gazawi hanno rotto la barriera della paura e tornano a
ripetere il loro motto di grande dignità: “o liberi sulla terra o martiri
sottoterra”.
Forse
più per la scandalosa iniziativa di Trump che per la dignitosa protesta dei
palestinesi, oggi per la prima volta pare che centinaia di giornalisti
internazionali sono arrivati nella Striscia. Lo scopo dovrebbe essere quello di
fornire le loro testimonianze. Al momento sappiamo che solo pochissimi sono
stati realmente sul campo e saranno quelli, se l’onestà professionale avrà la
meglio sulla censura, a testimoniare che se i Gazawi della “Grande marcia”
seguiteranno ad essere coesi e al di sopra delle divisioni politiche dei vari
leader, questo bagno di sangue segnerà una pagina di storia nel difficile
percorso dell’indipendenza della Palestina. Sempre che i potenti della terra,
in primis gli USA capiscano che è più conveniente scegliere la legalità
internazionale piuttosto che la legge del più forte e sempre che, per onestà
intellettuale e professionale questi reporter siano in grado di smentire il tentativo
di Israele e del suo padrino di attribuire ad Hamas la responsabilità
dei loro crimini.