INDUSTRIA:
ERRORI FATALI
di Franco Astengo
Riprendiamo un punto
dell’intervista rilasciata oggi dal Ministro Calenda al “Corriere della Sera,
per fare in modo che i contenuti siano ben chiariti a tutti e non passino così
tra una frase e l’altra sulla vacuità della fase politica. Tra i vari argomenti
toccati si tocca, infatti, il tasto dei dazi USA che Trump minaccia di estendere
all’acciaio e all’alluminio (si ricorda per inciso che acciaio e alluminio
rimangono, nonostante, e anzi per via dell’innovazione tecnologica, materiali
la cui produzione rimane assolutamente strategica). La domanda rivolta a
Calenda sull’argomento è questa: “La scelta americana di attaccare sull’acciaio
è simbolica?” Questa la risposta del Ministro: “Lo è perché ci racconta quanto
si è sbagliato fino a ieri. In base ad un’interpretazione dogmatica delle
catene globali del valore, abbiamo deciso che l’importante era importare
l’acciaio al più basso costo possibile. Non importa se prodotto in dumping in
Asia, distruggendo l’industria del settore in Occidente”.
Mi
auguro che a tutti sia chiara lettera e senso dell’affermazione del Ministro:
si ammette un errore gigantesco, attraverso il quale si è messa in ginocchio
l’industria italiana. Un errore colpevole perché frutto della copertura di
speculazioni, di interpretazioni cervellotiche di quella che hanno chiamato
“globalizzazione”di idee davvero ideologica di una sorta di illimitatezza del
mercato. Intanto si accusavano di ideologismo.
Un
errore clamoroso (denominiamolo ancora così per “carità di patria”) che
fornisce l’idea concreta di ciò che è stata ed è la classe presuntuosamente
dirigente di questo Paese, da condannare in blocco: a partire dall’operazione
smantellamento delle Partecipazioni STatali e scioglimento dell’ IRI negli
anni’80.
Le
poche aziende (Finmeccanica, Fincantieri, Fintecna, Alitalia e RAI) rimaste in
mano all'IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del Tesoro.
Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non
meglio precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno 2000 l'IRI
fu messo in liquidazione e nel 2002 fu incorporato in Fintecna, scomparendo
definitivamente. Prima di essere incorporato dalla sua controllata ha però
pagato un assegno al Ministero del Tesoro di oltre 5000 miliardi di lire,
naturalmente dopo aver saldato ogni suo debito. Tanto per chiarire che
esistevano voci dissenzienti sono costretto, scusandomi con tutti, ad auto
citarmi riprendendo un passaggio di un mio intervento dell’epoca: “Nel 1990
(queste le responsabilità politiche vere del pentapartito, ben oltre la stessa
Tangentopoli) i paesi europei erano tutti in condizione di debolezza e tutti,
tranne Portogallo, Grecia, e Italia, hanno modificato le proprie capacità
tecnico-scientifiche diffuse, al fine di agganciare il mercato
internazionale. Non a caso i Paesi europei hanno una dotazione tecnologica,
costruita anche grazie al supporto e all'intervento diretto del settore
pubblico, che permetterà di guardare al proprio futuro in modo più consapevole,
mentre l'Italia dovrà importare l'innovazione da altri e rinunciare anche allo
sviluppo di segmenti alti del mercato del lavoro, rinunciando alla siderurgia.
all'informatica, all'elettronica, alla chimica, addirittura
all'agroalimentare”.
Ed in queste condizioni
hanno avuto anche la presunzione di cacciarci nell’avventura europea,
attraverso la firma del trattato di Maastricht e seguenti. Mi auguro di aver
fornito chiaramente alcuni elementi di giudizio intorno a quello che è stato il
disastro italiano perpetrato da un ceto politico, economico, industriale
alternatosi in varie forme al potere dagli anni’80 a oggi anche attraverso quel
bipolarismo centrodestra/centrosinistra che, alla luce dei fatti, appare sempre
di più essere stato una finzione. Finzione che ha causato disastri materiali di
livello epocale per questo nostro povero e maltrattato Paese.