CONTRO LE GUERRE E CHI LE ARMA
Fermiamo
il militarismo.
La
guerra in Ucraina continua a mietere vittime, come in ogni conflitto bellico a
pagare il prezzo più alto sono le popolazioni civili sottoposte a
bombardamenti, rastrellamenti, arruolamenti forzati, stupri. Sono le classi
sfruttate e oppresse che da una parte e dall’altra del confine vengono mandate
al macello o vengono perseguitate se si rifiutano di combattere, o se agiscono
per sabotare la guerra. Le logiche di dominio proprie di ogni stato trovano
nella guerra il loro sbocco più naturale e la guerra chiude le prospettive di
autonomia delle classi sfruttate, alimentando nazionalismo e militarismo di cui
la guerra stessa si nutre. Questa guerra, come le tante altre che insanguinano
altre parti del mondo ma che non godono degli stessi riflettori mediatici, è da
contrastare con posizioni internazionaliste e disfattiste, senza tentennamenti,
non solo per le morti e le devastazioni che sta causando nei territori
coinvolti, ma anche per le conseguenze dirette che sta provocando nel nostro
paese e in tutto il mondo.
Stiamo
infatti assistendo ad una spaventosa accelerazione delle politiche militariste,
accompagnate da una sempre maggior militarizzazione della vita sociale. In
questi mesi abbiamo assistito da parte delle compagini governative ad una
propaganda bellicista senza precedenti per il potenziamento degli arsenali e
per gli investimenti in armamenti. I governi europei hanno deciso di preparare
la guerra: con l’invio di armi e denaro all’Ucraina, con il dispiegamento di
truppe e mezzi e aerei, con l’aumento delle spese militari. In pochi giorni
sono cadute tutte le grandi dichiarazioni ideologiche su cui finora si basava
l’Unione Europea come garante della pace nel continente. La stessa Unione
Europea, infatti, sta approfittando del conflitto ucraino per potenziare i
progetti di esercito europeo e per indebitare l’Ucraina finanziandone
l’armamento tramite il budget della European Peace Facility. Nello stesso modo
gli Stati Uniti stanno vendendo armi all’Ucraina per 40 miliardi che andranno
restituiti anche tramite la cessione di materie prime e apparati produttivi.
Un’altra conseguenza diretta di queste politiche di riarmo è la compressione
dei salari della classe lavoratrice di tutta Europa che, assieme agli enormi
aumenti dei costi dell'energia e dei beni di prima necessità dovuti in primis a
logiche speculative, stanno peggiorando velocemente le condizioni di vita dei
ceti popolari. In questo contesto il blocco delle esportazioni di grano
dall’Ucraina ha già causato un aumento del prezzo di questo bene primario che
sta colpendo in particolar modo alcuni paesi e potrebbe in tempi brevi causare
una vera e propria crisi alimentare a livello mondiale.
Stiamo assistendo al tramonto della globalizzazione, quantomeno per come si era
definita tra lo scioglimento dell’URSS e l’ingresso della Cina nel WTO. Negli
ultimi dieci anni l’intensificazione delle tensioni tra gli stati, la guerra
commerciale e finanziaria, il progressivo isolamento più o meno parziale dei
mercati, l’estensione dei conflitti in parte per procura, ma sempre più in
forma diretta, tra le potenze mondiali e regionali in diverse regioni del
mondo, hanno definito uno scenario molto diverso. Il modello capitalista
imposto nel secolo scorso dall’egemonia statunitense è ancora l’orizzonte entro
il quale si realizza la contesa tra gli stati, ma il mondo non è più dominato
da un’unica superpotenza. Gli USA hanno perso la guerra in Afghanistan, in Iraq
e in Siria, e rispetto a pochi decenni fa vedono molto ristretta la propria
influenza nell’America Centrale e del Sud, in quello che erano abituati a
considerare il giardino di casa. L’accordo AUKUS tra Australia, UK e USA, che
da una parte ha riorientato verso il Pacifico con un’alleanza separata la
strategia di questi stati, sembrava mettere in discussione la presenza
statunitense in Europa e la stessa coesione se non l’esistenza della NATO.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si inserisce quindi in un
processo di ridefinizione degli equilibri tra le potenze a livello globale.
La
crisi dell’egemonia è strettamente legata alla crisi dei sistemi di governo e
coesione sociale, perché con il taglio delle garanzie sociali e la debolezza
dei meccanismi di consenso, con l’insorgere in molti paesi di movimenti che con
forme e caratteri diversi mettono in discussione i governi e gli accordi tra le
classi dominanti, l’uso della forza diviene strumento principale per la
conservazione del potere e dell’ordinamento sociale. In questo senso abbiamo
parlato negli ultimi anni di un crescente ruolo del militare nelle società.
La
rivolta in Bielorussia del 2020 e l’insurrezione in Kazakistan a gennaio 2022,
hanno reso evidente la grave crisi di consenso interna al sistema a guida
russa. Nella tenuta dell’OTSC l’esercito ha assunto un ruolo fondamentale.
L’intervento militare russo in Kazakhstan per stroncare nel sangue
l’insurrezione popolare ne ha dato una tragica dimostrazione, e ha aperto la
strada all’invasione dell’Ucraina a febbraio. Anche negli USA le rivolte contro
la polizia, contro la violenza razzista del 2020 hanno portato a inizio 2021 i
vertici delle forze armate a sostenere in un clima da preludio di guerra civile
l’insediamento di Biden alla presidenza, per evitare che il suprematismo
violento di Trump esasperasse irrimediabilmente la crisi di consenso.
L’Italia
è direttamente e pesantemente coinvolta in questo scenario tramite le decine di
missioni militari all’estero; missioni in via di potenziamento sia nell’Est
Europa che in Africa, continente sempre più al centro degli interessi delle
multinazionali nostrane, ENI in primis, che hanno un ruolo sempre più centrale
nell’orientamento della politica estera dello stato italiano.
Nei
fatti vediamo ormai sparire i già labili confini fra guerra interna e guerra
esterna: l’esercito ormai fa parte integrante del paesaggio urbano delle nostre
città, sempre più utilizzato per questioni di ordine pubblico e al contempo
sempre più legittimato nelle missioni all’estero a proteggere gli interessi
delle classi dominanti. Sulla base di questo abbiamo sempre confermato negli
ultimi anni la necessità della lotta al militarismo, segnalando quanto potesse
essere concreta la minaccia della guerra anche nelle nostre società. Ora che la
minaccia si fa più evidente e lo spettro della “guerra in casa” genera una
paura crescente soprattutto in alcuni paesi europei, si rende necessario
dotarsi di strumenti di analisi e di lotta, che si accompagnino alla
costruzione di reti di solidarietà, che siano in grado di respingere la stretta
militarista e autoritaria.
Riteniamo
che il movimento anarchico debba mantenere alta la bandiera della solidarietà
tra le classi sfruttate, al di là e contro tutti i confini e tutti i governi,
ed essere un punto di riferimento per tutte quelle forze che nella società
vogliono opporsi alla guerra. Un’opposizione che passi dalla lotta contro le
missioni all’estero dello stato italiano e dalla lotta contro le installazioni
militari, raccogliendo l’importante segnale dello sciopero generale del 20
maggio, cercando di sviluppare a livello territoriale come sui posti di lavoro
un movimento di massa contro la guerra che faccia proprie le parole
dell’antimilitarismo e della diserzione.
Federazione
Anarchica Italiana
5
giugno 2022
XXXI
Congresso