“SCRITTI CONTRO LA GUERRA”
di
Gianmarco Pisa
È un testo prezioso, di agile lettura e di pensieri
lunghi, quello offerto dall’ultima raccolta di scritti di Angelo Gaccione, i
suoi recenti Scritti contro la guerra, per i tipi delle edizioni
Tralerighe Libri (aprile 2022). È un libro piccolo, ma denso, e importante. Intanto,
per la sua stringente attualità: una raccolta di sedici recentissimi scritti,
che si dipanano nel periodo a cavallo tra il febbraio e l’aprile 2022, e che si
stagliano sullo sfondo drammatico e lugubre del ritorno della guerra nel cuore
dell’Europa, consentendo quindi di alimentare una riflessione necessaria sulla
guerra in Ucraina e nel senso del pensiero e dell’impegno (della lotta) “contro
la guerra e per la pace”.
E poi,
per la caratura dei testi che, nell’insieme, suggeriscono l’atmosfera di un pamphlet
vibrante, intelligente, polemico, in cui tuttavia la polemica (l’indignazione
morale nei confronti della barbarie della guerra e di chi la muove, l’esigenza politica
di strade nuove per la pace, per la nonviolenza, per il disarmo) non è sterile,
autoreferenziale, fine a sé stessa, ma è tesa, orientata a una direzione
politica, quella di individuare le cause dello stato di disordine e di violenza
nel quale sempre più sta precipitando il continente (e il mondo intero), di
mettere a fuoco le responsabilità (delle classi dominanti e dei nuclei di
potere politico, economico, militare, e non solo, come si vedrà), di chiamare a
un impegno civico, solidale, militante.
In questo
scenario - e nel libro questo aspetto traspare in tutta evidenza - si afferma
in pienezza anche la responsabilità dell’intellettuale: per il ruolo che gli
intellettuali possono (e devono) svolgere nella scena pubblica, come voce
critica, elemento di orientamento, sollecitazione a interrogarsi ed esercitare
pensiero critico, severo nei confronti del potere (dei poteri); e per il
retroterra intellettuale che consente all’autore di affermare e argomentare, di
tenere insieme, come si diceva all’inizio, l’agilità della scrittura e la
lunghezza dei pensieri. Alla luce di tutto questo, non è affatto un caso che il
volumetto si apra con una citazione da Pier Paolo Pasolini: «La guerra non mi è
mai sembrata schifosamente orribile come ora: ma non si è mai pensato cos’è una
vita umana?» (dalla lettera a Franco Farolfi dell’estate del 1943).
Gaccione alla Libreria Calusca 16 giugno 2022 |
L’impegno intellettuale (Gaccione è scrittore e saggista, direttore oggi del giornale di cultura “Odissea” e, tra le altre cose, tra i fondatori della LDU, la Lega Disarmo Unilaterale) non può che essere, d’altra parte, impegno alla conoscenza, alla demistificazione e alla trasformazione della realtà, un intervento nel reale con gli strumenti della critica, della opposizione necessaria nei confronti dei poteri dell’oppressione e della violenza, e infine della lotta: «quanto a noi, antimilitaristi e pacifisti convinti, dobbiamo prepararci a rendere la vita impossibile sin da subito ai governanti di casa nostra: con le buone o con le cattive. Deve partire al più presto lo sciopero generale, e fargli sentire sul collo il fiato della nostra rabbia» (p. 12).
Entro tale cadenza, la polemica è suffragata dall’argomentazione, anche con numeri, laddove occorre: «la spesa totale militare di Stati e governi per l’anno 2020 in tutto il mondo è stata di 1.981 miliardi di dollari. Come chiamereste voi i responsabili di questi Stati e governi? [...] Gli ordigni di sterminio nucleare censiti in questo stesso anno sono arrivati a 13.000. Come definireste voi gli Stati e i governi detentori? [...] Nel 2021, in piena pandemia, l’Italia ha destinato 28.9 miliardi di dollari alle spese militari. Scegliete voi l’aggettivo più idoneo per definire i responsabili» (pp. 16-17).
È questo lo sfondo, dunque, si cui si afferma la necessità di avanzare una proposta di pace, che non sia semplicemente ripudio della guerra, ma anche prospettiva di superamento della logica della violenza e del militare in chiave disarmista. Con «l’entrata dell’umanità in quella che chiamiamo “era nucleare” (vale a dire di possibile cancellazione del genere umano) [...] il concetto di difesa armata [...] non garantisce la sicurezza di nessuno ed è la via più certa verso la catastrofe. È la rinuncia alla difesa armata che può renderci più sicuri e non il contrario. Noi contemporanei dovremmo fare nostro e aggiornare il memento mori dei mistici medievali nella formula seguente: ricordati che vivi in epoca nucleare, e tenerla sempre presente nelle nostre scelte» (pp. 19-20).
Ecco perché
«esigere che la propria nazione rinunci a possedere armi, a fare parte di
alleanze con finalità militari e a risolvere ogni controversia possibile
attraverso il confronto e il dialogo è la sola strada che può garantire una
pace duratura e priva di pericoli per sé stessi e per gli altri. Non abbiamo
altra scelta: o abolire le armi e le alleanze militari, o abolire l’uomo» (p.
26). Eccessivo? Apocalittico? Si tratta, a ben vedere, di un percorso che è stato
ormai delineato da anni e su cui la parte più avvertita delle aggregazioni
sociali e delle forze intellettuali si è ormai stabilmente incamminata: dai
tanti testi e documenti che richiamano la minaccia nucleare come pericolo
incombente sulle sorti stesse dell’umanità (e del pianeta), alle tante proposte
e risoluzioni che, con forza, sollecitano la costruzione di un’alternativa
concreta alla difesa militare, della realizzazione, cioè, di una difesa
difensiva, popolare, civile, disarmata, nonviolenta, tra i cui strumenti non
secondari sono i Corpi civili di pace (per i quali si potrebbe rimandare, se
non altro, alla “Agenda per la Pace” del segretario generale delle Nazioni
Unite del 1992 e alla Raccomandazione del Parlamento europeo A4-0047|99 del
1999 per l’istituzione di un Corpo di pace civile europeo). Si tratta di
contingenti civili, non armati e nonviolenti, composti di volontari e
professionisti, impegnati in azioni, in sinergia con operatori e operatrici di
pace locali, per la prevenzione della violenza, la mediazione e il dialogo, la
costruzione della pace.
Non può
trattarsi, peraltro, di pacifismo da anime belle; ma di un impegno,
intellettuale e politico, rigoroso: «Sono per la pace, ma... [...]
Questa breve congiunzione avversativa, composta di appena due misere lettere,
ha il tragico potere di precipitare tutti coloro che la pronunciano nel campo
dei nemici della pace. Non appena si aggiunge ma, si passa dalla nobile
aspirazione ideale al fattivo e concreto recinto dei guerrafondai» (pp. 27-28).
La lettura dei principali quotidiani e la visione dei dibattiti televisivi più
quotati forniscono, proprio in queste ultime settimane e mesi, la più
continuativa e martellante, estenuante e diuturna, conferma di questa
considerazione. Del resto, rammenta Gaccione, «il concetto di guerra è radicato
nelle coscienze e nelle culture come un cancro maligno e inestirpabile» (p.
39).
La letteratura
dedicata ai peace and conflict studies, la moderna
ricerca per la pace, ha, del resto, ampiamente messo in evidenza, ormai, le
radici culturali e strutturali, le culture profonde e le contraddizioni
sistemiche, che stanno al fondo della violenza e che concorrono a legittimare
sistematicamente condotte e politiche di potenza. La più grave e profonda - scrive
Enrico Peyretti, richiamando Johan Galtung - la meno riconosciuta come tale e
persino onorata, non solo accettata, è la violenza culturale, insediata nelle
tradizioni, nelle visioni del mondo collettive, nelle menti; per poi aggiungere
che la cultura profonda è esattamente «la più importante zona di confine della
ricerca sulla pace». Per questo, ricorda Gaccione, «una cultura della pace ...
ha bisogno di tempi lunghi, ma alla lunga potrà essere la sola a mutare a fondo
le cose» (p. 57). Come recita, del resto, lo Statuto dell’UNESCO, «poiché le
guerre nascono nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che le
difese della pace devono essere costruite».
Ci avviamo così alla conclusione dell’itinerario che, nel suo libro,
Gaccione ci propone. Esiste uno spiraglio, una prospettiva, una pars
construens, dopo questo panorama così, di primo acchito, sconfortante? Si
aprono qui due direzioni (in effetti, convergenti): cultura e politica. Oggi,
«per la guerra e lo sterminio si stanziano miliardi, per l’educazione alla pace
e alla tolleranza, zero. Inoltre, la cultura della guerra e del conflitto può
contare su una storia millenaria, mentre quella della pace è terribilmente
giovane» (p. 58). È una riflessione cruciale, ben nota agli operatori e alle operatrici
di pace, su cui, ad esempio, lo stesso Alberto L’Abate ha speso una parte non
irrilevante della sua riflessione: «Secondo i dati di uno dei più noti esperti
internazionali in questo campo, in un convegno organizzato dall’IPRI - Rete CCP
- Istituto Italiano di Ricerca per la Pace - Rete Corpi Civili di Pace (...),
gli Stati spendono attualmente solo 1 euro per la prevenzione dei conflitti
armati contro almeno 10.000 euro per fare le guerre. Se non si riesce a
modificare questo squilibrio, diminuendo le spese militari e accrescendo quelle
per la prevenzione, non ci potremo, in futuro, meravigliare se il mondo sarà
sempre più teatro di guerre».
Alla fine, politica, nel senso della politica per la pace, ovvero della
pace come progetto politico, si traduce non solo nella bontà delle intenzioni,
ma soprattutto nella concretezza delle azioni e nella coerenza dei programmi:
«il pacifismo - conclude Gaccione - deve uscire dal suo astrattismo se vuole
essere credibile e farla finita una volta per tutte con la genericità. Si è
pacifisti solo se si è disarmisti, e si è disarmisti solo se si detesta e si
avversa tutto ciò che ha a che fare con il militarismo: eserciti, difesa,
alleanze militari, spesa militare, produzione di armi, detenzione e commercio
di esse. Senza opposizione concreta a questa materia concreta,
che alimenta e provoca la guerra, non potrà esserci alcuna pace e il pacifismo
resta una nobile, ma inutile aspirazione» (p. 65).
Una
sollecitazione alla costruzione di cultura di pace; un richiamo alla politica
nel senso proprio del termine, attuale e urgente, oggi più che mai.
Prishtina.
Fratellanza e Unità
foto di G. Pisa
Alcuni utili
riferimenti:
Statuto
(Costituzione) dell’UNESCO: www.miur.gov.it/documents/20182/4394634/2.%20Costituzione-UNESCO.pdf.
La
raccomandazione del Parlamento europeo al Consiglio sulla istituzione di un
Corpo di pace civile europeo (A4-0047|99): www.peacelink.it/kossovo/a/751.html.
Johan Galtung, Conflict
Transformation by Peaceful Means (The Transcend Method), United Nations Disaster
Management Training Programme, Ginevra, 2000. Altri testi di Johan Galtung sono
raccolti nel portale di “Transcend International”: www.transcend.org/galtung.
Alberto L’Abate,
Dichiarazione in occasione del ricevimento del premio “Una vita per la pace”,
Firenze, 2011: www.peacelink.it/pace/a/35183.html. Altri testi di
Alberto L’Abate sono raccolti nel sito “Alberto L’Abate e la nonviolenza - Una
vita per la pace”: albertolabate.wordpress.com.
Enrico Peyretti, Recensione di J. Galtung, Pace con mezzi pacifici,
in Annuario della Pace 2000-01, Asterios, Trieste, 2001: www.peacelink.it/pace/a/15273.html.
Prishtina. Fratellanza e Unità foto di G. Pisa |