Reportage Geopoetico
DALL’UCRAINA
MERIDIONALE
di Christian
Eccher
Tramonto a Mykolaiv
(ORATORIO
PROFANO in due Atti)
A Tanja (Non
era forse molto bella, ma così la rese la mia immaginazione, diceva di Virginia
Edgar Allan Poe)
PARTE PRIMA:
MYKOLAIV
1) Sinfonia
(andante larghetto - a passo cadenzato, come un corteo -Allegro
non troppo)
Tramonto a Mykolaiv |
La piccola stazione di Szeged in Ungheria
Una volta,
nella piccola stazione austroungarica di Szeged, in Ungheria, ho incontrato un
profugo ucraino che era appena scappato da Mariupol. Mentre aspettavamo il
treno per Cegléd, lui mi ha detto: “Io, a Mariupol, ho visto i palazzi che
cadevano uno dietro l’altro, e la gente che correva come formiche impazzite. E
tu, tu non hai visto niente”. E allora io gli ho detto: “Anche io, da me, e non
c’era la guerra: ho visto l’ospedale, ho visto la gente in fila in attesa di
una visita, le macchie orribili sulla pelle, le teste senza capelli”. E lui mi
ha detto: “Io, a Mariupol, ho visto le madri giovani che coi bimbi in braccio
scappavano via, e i loro mariti rimanevano per andare a combattere. Ho visto
gli autobus pieni di donne che lasciavano il piazzale e tutti i maschi rimanere
a terra. E tu non hai visto niente”. “Anche io - gli ho detto - ho visto i
paesi che si svuotavano, e i vecchi che rimanevano soli, anni e anni davanti al
telefono ad aspettare una chiamata. Ho visto i vicoli di pietra di paesi sperduti
che si riempivano di malva e i muri delle case pieni di muschi e di licheni”. E
allora lui mi ha detto: “Io, a Mariupol, ho visto un intero esercito andare in
collera e sparare addosso a persone indifese. Ho visto gente che parlava la mia
lingua che bestemmiava e uccideva tutti quelli che si trovava davanti. E tu, tu
non hai visto niente”. E allora io gli ho detto: “Io, adesso, non voglio più
sapere niente della guerra. Io una volta, mentre viaggiavo in autobus da
Astrakan a Rostov sul Don, mi sono svegliato all’alba e ho visto una città; era
Elistà, ed era tutta, tutta coperta di fiori”.
Mykolaiv
2) Coro: Mykolaiv
allo specchio
Mykolaiv,
Nikolaev in russo, non ha la squillante bellezza delle città mediterranee. Ha
il colore grigio della cera fusa e l’odore della nafta delle navi che
percorrono il delta del fiume Bug Meridionale. Mykolaiv si trova nel sud
dell’Ucraina ed è una città speculare, non solo perché gli edifici del centro
si riflettono nell’acqua del fiume, ma anche perché ha la stessa struttura
urbana di Arcangelo, nel nord della Russia, vicino al circolo polare artico. È
come se ci fosse uno specchio fra Ucraina e Bielorussia e Mykolaiv, a sud, si
riflette in Arcangelo, a nord. L’unica differenza fra le due città è nei colori
e nelle correnti aeree. Arcangelo è vicina al Circolo Polare Artico e le basse
pressioni del nord garantiscono al vento di fare il proprio giro: spira da ovest
e porta pioggia e nuvole basse; poi, lentamente, impercettibilmente, dopo una
brevissima pausa in cui rimane immobile, l’aria soffia da est, il cielo si fa
terso e i colori brillano al sole basso sull’orizzonte. A Mykolaiv, invece, le
alte pressioni mediterranee, che si spingono fino al Mar Nero, fanno del cielo
un’entità metafisica, astratta e distante: un azzurro immobile e indifferente
chiude la città in una cappa, non un filo d’aria arriva dal fiume; a sera,
qualche volta, le foglie degli alberi rispondono con tenui oscillazioni alla
brezza che viene dal mare. Qualche scia di condensazione solca l’azzurro ad
altissima quota. Giù, gli edifici di cemento si gonfiano di umidità, le persone
camminano lentamente nell’aria estiva e rigoli di acqua scorrono verso il
fiume. È l’acqua delle condense dei condizionatori o quella che trabocca dai
vasi e dalle aiuole che, ogni mattina, gli impiegati comunali vestiti di verde
annaffiano abbondantemente. Questo d’estate. D’inverno, Arcangelo rimane al
buio, bianca di neve e argentea di ghiaccio. Proprio in inverno, invece,
Mykolaiv assume mille sfaccettature: le cupole d’oro delle chiese ortodosse
brillano al sole, se c’è alta pressione. Il fiume riflette la luce e diventa un
caleidoscopio multicolore. Se invece soffia il buran, il vento del nord padrone
delle steppe, gli edifici di cemento della città si piegano verso il mare, come
giunchi, e la gente corre a ripararsi nella pasticceria del centro, quella con
la cioccolata dalle mille forme. Proprio per difendersi dal vento, i primi
abitanti di Mykolaiv, nel ’700, piantarono alberi ovunque: ippocastani e
soprattutto platani. Adesso, molti di quegli alberi non ci sono più: quelli
davanti all’hotel Inhul, per esempio, sono stati distrutti da un missile che ha
colpito, forse per errore, l’edificio che ospitava l’albergo. Non è rimasto
quasi niente: il legno semibruciato e ormai morto degli alberi è grigio come le
macerie dell’ala centrale del palazzo. Sono rimaste in piedi le ali laterali,
che ospitavano la maggior parte delle stanze, ora ovviamente inagibili. Intatta
è rimasta l’insegna dell’agenzia matrimoniale che si occupava di mettere in
contatto uomini soli occidentali, soprattutto tedeschi e olandesi, con ragazze
e donne del posto, desiderose di scappare dalla povertà e dalla corruzione di
un paese che è forse eroico, ma che anche prima della guerra aveva non pochi
problemi. I turisti firmavano un contratto in patria e poi raggiungevano
Mykolaiv; l’hotel Inhul li ospitava e loro conoscevano le donne locali. Non si
trattava di prostituzione, ma di veri e propri accordi matrimoniali.
Della ragazza
che lavorava alla reception, Olga, la cui sonora risata sembrava una cascata
d’acqua a primavera, non ci sono più tracce. Nessuno era presente
nell’albergo quando è stato bombardato. Olga era elegante, portava una camicia
appena sblusata sui pantaloni neri. Magra, le scapole mobili e ossute, i seni
piccoli, probabilmente è scappata e si trova in qualche campo profughi della
Germania. L’hotel Inhul, ormai, non esiste più; sul retro dell’hotel, invece,
al di là del parcheggio, dove ci sono le krusciovke (palazzi a 5 piani costruiti durante la
Presidenza di Nikita Krusciov), giocano ancora i bambini che non sono
andati via; spensierati, corrono dietro al pallone, mentre le loro madri, negli
appartamenti, tremano al pensiero che un missile russo possa colpire ancora la
zona dell’hotel.
In principio
Mykolaiv era, esattamente come Arcangelo, un porto con un cantiere navale
all’interno dell’impero russo. Fu fondata dal generale Potemkin e quella che
all’inizio era un semplice accampamento di soldati si rivelò fondamentale nella
guerra russo-ucraina del 1787-1792. L’impero turco perse i propri territori a
nord del mar Nero e l’attuale Ucraina del Sud divenne Nova Rossija, la nuova
Russia, in nome della quale l’attuale Presidente russo Vladimir Vladimirovic
giustifica l’aggressione in corso nei confronti dell’Ucraina.
In realtà, il
nucleo di Mykolaiv esisteva anche prima dell’arrivo dei russi e a testimonianza
del periodo turco è rimasta una fontana sul lungofiume della città: l’acqua
esce ancora e il gorgoglio è uguale a quello di 400 anni fa. Anche il fiume
scorre indifferente come allora, a ricordarci che il Tempo è forse solo
un’illusione e la Storia un’infinita ripetizione di fatti, cronache e azioni.
Cantieri navali
3) Aria: ricordi dal Porto (settembre 2021)
Il cantiere
navale si trova alla confluenza fra il fiume Bug e il suo tributario Inhul.
Ancora alla riva sinistra dell’Inhul, lo scheletro arrugginito di una nave
simboleggia la decadenza dei cantieri che dopo la caduta dell’URSS hanno perso
importanza e sono stati privatizzati. Non si producono più grandi navi ma solo
piccoli yacht. Centinaia di operai sono rimasti senza lavoro e, dagli anni
Novanta in poi, la città di Mykolaiv ha una vera e propria crisi di identità.
Senza i suoi cantieri navali, gli edifici e le strade del centro sono solo un
monumento alla vitalità e alla forza di un tempo. Gli uomini, gli ex operai e i
giovani, emigrano o si rifugiano nella droga e nell’alcol. Alcuni di loro,
hanno trovato una ragione di vita nel nazionalismo e nella difesa del centro
urbano e del paese dall’aggressione russa. Al martello e ai chiodi hanno
sostituito il mitra e i proiettili. Questo, per ora, dà loro una valida
ragione per andare avanti.
Alina ha poco
più di vent’anni ed è arrivata all’inizio di settembre da Odessa: a Mykolaiv
segue un corso estivo di economia organizzato dall'Università locale. Siede su
un gradone della riva con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani a pugno
sotto il mento; osserva assorta la sottile linea d’orizzonte dove l’azzurro del
cielo si confonde con quello del mare. Alle sue spalle, a sinistra, c'è una
grande recinzione metallica che separa la città dal porto commerciale, il
quale, al di là della recinzione, lavorava a pieno regime e le navi vanno e
vengono; dalla riva turistica, le banchine e i magazzini non sono visibili;
sulle gru e sugli edifici più alti campeggiano scritte in cinese. Gran parte
del porto commerciale di Mykolaiv è infatti nelle mani della ditta cinese
COFCO, che si occupava, almeno fino all’inizio dell’aggressione russa, di
raccogliere e trasportare il grano ucraino sia in Oriente sia in Occidente. Il
frastuono delle gru che scaricano i container copre la voce melodiosa di Alina.
La ragazza, spesso infastidita dal forte vento di ponente, riavvia nervosamente
i capelli dietro all’orecchio destro ma l’aria, quasi a volerla farla
arrabbiare, glieli scompiglia nuovamente. Alina racconta dei suoi progetti futuri:
“Voglio terminare al più presto gli studi universitari e fuggire dall'Ucraina.
Il problema principale qui è la corruzione che domina ogni aspetto della vita
pubblica. In facoltà, noi studenti dobbiamo pagare qualcosa o per passare un
esame o registrare il voto sul libretto. Io ho pagato una sola volta per la
registrazione del voto e mi sono ripromessa di non farlo mai più: la
professoressa mi ha fatto un favore, mi ha permesso di presentarmi all'esame
prima del regolare appello perché volevo andare in Germania per una scuola
estiva; in cambio, mi ha chiesto di comprarle due condizionatori, uno per il
soggiorno e l'altro per la camera da letto. Non sono arrabbiata, non è colpa
sua: gli stipendi dei professori sono così bassi che non permettono loro di vivere
normalmente. Il problema è che alcuni studenti si approfittano di questa
situazione e comprano la laurea; come farà domani il datore di lavoro a
distinguere una laurea vera, meritata, da una acquistata?". Alina
purtroppo ha ragione: un docente universitario guadagna circa 250 euro al mese
e i prezzi nei supermercati sono europei. La guerra, poi, ha ulteriormente
impoverito la popolazione. In ogni caso, Alina è riuscita a scappare in
Germania e adesso vive a Berlino. Lavora da casa per un call center e continua
a frequentare l’Università di Odessa online.
Fontana turca a Mykolaiv
4) Coro:
Al porto
La riva
turistica si conclude all’improvviso e lascia il posto alla ferrovia. Una
piccola strada costeggiata da alberi e da krusciovke è l’unica via per
raggiungere l’ingresso al porto, a meno che non si voglia camminare lungo i
binari. Un piccolo negozio vende i beni di prima necessità e i cassonetti
dell’immondizia ai bordi della strada rigurgitano sacchi di immondizia, avanzi
di insalate, ossa di pollo e oggetti di plastica. I gatti annusano furtivi i
rimasugli di cibo. Lì dove finiscono le case, la strada continua e si insinua
sotto la ferrovia. Ai margini del ponte, la scorza di un cocomero e una siringa
usata, con l’ago rosso di sangue. Più in là, la cancellata di ingresso al porto,
sorvegliata da telecamere e da un portiere muscoloso e nerboruto che guarda con
sospetto i pochi passanti. A mezz’aria, i tubi del teleriscaldamento che
portano l’acqua calda nelle case vicine. Le rotaie del tram scorrono regolari
sull’asfalto mangiato dall’afa e dal freddo. La polvere marrone della steppa si
deposita ovunque, sulle vecchie lade parcheggiate ai margini delle vie,
sui fiori che alcune donne coltivano amorevolmente nelle aiuole davanti casa.
Le abitazioni in questa parte della città, a nord del porto, sono unifamiliari
e in legno. Povere, ma dignitose. Come quelle di Arcangelo, città speculare e
all’improvviso diventata nemica.
Fontana turca a Mykolaiv |
Il tram della sera
5) Quartetto: in città
Il tram
si scuote come fosse una nave in tempesta. Il ferro trema ogni volta che il
mezzo si mette in movimento e le vibrazioni si ripercuotono sul corpo dei
passeggeri. Dopo circa mezz’ora di corsa, una volta lasciata l’area del porto,
si arriva in centro. Una piazza con il Municipio, ora danneggiato dalle granate
russe, una strada che segue il corso dell’Inhul e un corso che è perpendicolare
al fiume stesso. Questa è Mykolaiv. L’anima della città, però, non è nella
struttura urbana, ma nella sua gente. Natasha ha circa 25 anni ma sembra più
anziana. La tintura non nasconde del tutto i capelli già grigi, nonostante la
giovane età. Eppure, Natasha ha un fascino particolare ed estremo, che forse le
deriva dal sorriso. I denti bianchi e regolari, il corpo affusolato e magro, Natasha
lavora all’Università di Mykolaiv come docente di Iddish. Appartiene infatti a
una famiglia ebrea; ce ne sono molte in Ucraina, lo stesso Presidente Zelenski,
l’eroe (falso) dell’Occidente, ha origini ebree. Natasha è nata in Israele dove
ha frequentato le scuole elementari e successivamente la sua famiglia ha deciso
di fare ritorno in Ucraina. Fiera delle proprie origini, conosce ogni angolo
della città e la storia di ogni edificio. Ai propri studenti non insegna solo
la lingua iddish, ma mostra loro anche gli angoli segreti di Mykolaiv: le
vecchie case, la Sinagoga, un edificio quasi anonimo che si trova vicino al
ponte sul Bug, quello che ora non esiste più perché è stato bombardato
dall'esercito russo. Anche in questi giorni di guerra, di attacchi alla città,
che è sempre stata un nodo strategico fra l’Europa e la Federazione russa, Natasha
fa la spola tra casa sua e la sinagoga. Tiene i contatti con gli studenti e con
gli altri membri della comunità ebraica. La sinagoga è in piedi, la guerra
finirà e tutto tornerà come prima, con la preghiera del sabato e i pranzi con
gli amici la domenica. C’è un filo segreto che lega Natasha, gli abitanti di
Mykolaiv e un luogo che si chiama Olbia. È un filo etereo, che nessun esercito
potrà mai bombardare e che rimane invisibile ai reporter che in questi giorni
informano sugli eventi in Ucraina. È un’energia che i radar militari non
possono captare e che i ripetitori non possono a loro volta trasmettere sotto
forma di onde radio. È un segreto, che gelosamente verrà conservato fino alla
fine della guerra.
Lo studio di V. Bakhtov
6)
Aria: La casa di Vladimir Bakhtov
C’è una
strada, a una sola corsia, che va da Mykolaiv a Olbia, un piccolo centro urbano
che si trova alla fine del delta (liman)
del Bug meridionale e del Dnepr. A Olbia ci sono i resti dell’antica città
greca e la città era nata con l’intento di garantire alla penisola ellenica,
sassosa e poco fertile, l’approvvigionamento del grano delle pianure
d’oltremare. La Grecia produceva olio e vino, per i cereali bisognava
colonizzare le coste del mar Nero settentrionale, che in ogni caso i greci non
amavano attraversare e tantomeno navigare. Non a caso lo chiamavano Pontus
Ouxinus, vale a dire Mare Inospitale, a causa delle improvvise tempeste che
sorprendevano i marinai (forse per assonanza o ironia, o semplicemente per
scaramanzia, nel periodo romano il Mare prese il nome di Pontus Euxinus, mare
ospitale). La storia del Mar Nero è sin dai tempi più antichi ricca di eventi
catastrofici. Quello che fino a circa 5-6000 anni fa era un lago, divenne un
mare dopo lo scioglimento dei ghiacciai e l’aumento del livello delle acque del
Mar Mediterraneo, che a un certo punto ruppe gli argini orientali e debordò al
di là dell’attuale Bosforo. Un’enorme quantità di acqua salata entrò nel lago
d’acqua dolce cambiandone drammaticamente l’ecosistema. Lo stretto dei
Dardanelli rimase aperto e il Mar Nero si unì così al Mediterraneo. Perché il
Mare così formatosi sia stato denominato “nero”, non si sa ancora con
precisioni: forse per via dell’estrema profondità delle acque, che in certi
punti appaiono nere, o per una questione di pura geografia: nelle antiche
mappe, infatti, i punti cardinali erano associati a determinati colori e il
Nord venivano indicato proprio con il nero. Per gli ottomani, che mutuarono
questo sistema cartografico dalla Cina, il Mar Nero era a nord. Certo è solo
che, una volta usciti da Mykolaiv, bisogna dimenticare che questi territori
possano davvero appartenere solo alla Russia o all’Ucraina, con buona pace di
Putin e Zelenski. L’area che si estende a nord del Mar Nero è sempre stato un
corridoio, una strada di passaggio di proprietà a tutti i popoli che hanno abitato
quest’area: sciti, greci, romani, unni, turchi, cosacchi, ucraini, russi,
rumeni, bulgari, nomadi delle steppe. Lo testimoniano i kurgan che
sorgono numerosi in mezzo ai campi di grano: piccole colline gibbose che
segnano il terreno da Rostov sul Don a Odessa, monumenti funebri che i popoli
delle steppe dedicavano ai loro condottiere. Li erigevano e andavano via in
direzione ovest, in senso contrario al vento che qui spira da ovest verso est.
Talvolta tornavano sui loro passi. Se i nomadi hanno lasciato tracce di terra,
i greci a Olbia hanno lasciato orme di pietra. Per arrivare da Mykolaiv a Olbia
bisogna prendere la magistrale per Odessa e poi, al primo incrocio, girare a sinistra,
in direzione sud. I 20 km che separano la città da Olbia sono una tortura per
chi li percorre: la strada è completamente rovinata dal caldo estivo e dal
ghiaccio invernale, minacciosi crateri si aprono qua e là e costringono le
automobili ad andare a una velocità media di 10 km all’ora. Se anche i russi
dovessero bombardare questa via di comunicazione, nessuno noterebbe la
differenza. Da almeno un decennio, le autorità di Mykolaiv promettono di
rimettere in sesto questa strada; lo faranno chissà quando, forse con i soldi
della ricostruzione, se l’Occidente finanzierà l’Ucraina post-bellica.
Gli scavi
archeologici di Olbia, che dominano dall’alto di un’altura il delta del Bug
Meridionale, si trovano nel Comune di Parutine, un piccolo borgo agricolo,
composto da due strade perpendicolari e un gruppo di povere case dai tetti in
lamiera e in eternit, un materiale altamente cancerogeno e per questo vietato
nell’Unione Europea. Sembra basti respirare una sola fibra di questo pericoloso
metallo per sviluppare un cancro dei polmoni o della pleura. Gli abitanti di
Parutine non lo sanno, e in ogni caso non possono permettersi di costruire un
tetto di cemento e tegole. L’asbesto è molto economico e facilmente lavorabile.
Lungo la via
principale del paese, quella che segue l’asse nord-sud, c’è una casa. La casa
ha un giardino e in giardino bevono il tè, nei giorni di primavera e spesso con
la loro amica Tatjana di Mykolaiv, professoressa di inglese all’Università,
Vladimir e sua moglie Tatjana Bakhtov. Vladimir è un artista e un architetto
che ha progettato da solo la propria abitazione. Al pian terreno c’è una cucina
molto grande e spaziosa, dai muri in pietra e dal pavimento in ceramica.
Fresca, ventilata, la cucina dei Bakhtov è il luogo ideale per pranzare e stare
in compagnia. Il tavolo, in legno massiccio, nasconde un segreto: non ha gambe,
ma poggia su un cilindro in cemento, all’interno del quale si trova una
cisterna con l’acqua piovana che, tramite un sistema di canali, si concentra
proprio sotto la casa dei Bakhtov. Al primo piano, Vladimir compone le proprie
opere. Si tratta di sculture, ma anche quadri e fotografie che uniscono la
performance alle tecniche tipiche delle arti visive. Vladimir utilizza spesso
corpi umani, tramite la creta li trasforma in statue e poi li fotografa in
composizioni particolari. Un’altra tecnica da lui molto amata è quella del
fuoco: disegna con la fiamma contorni che, ripresi con un obiettivo a lunga
esposizione, nella fotografia sembrano veri e propri edifici, eterei e
incandescenti. Le tematiche che Bakhtov elabora sono quasi tutte legate
all’antica Grecia. Una simile operazione ha come scopo non solo quello di
preservare le radici dell'intera civiltà europea, ma anche di dimostrare come
ciascuno di noi possa scegliere e costruire la propria identità a proprio
piacimento. L'identità è sempre il frutto di un'operazione culturale, non ha
nulla a che vedere con la genetica e non ha nulla di predeterminato; sta a noi
custodire ed elaborare il nostro passato e il passato dei nostri antenati, e in
base a questo passato costruire il nostro futuro. Vladimir avrebbe potuto
scegliere tra la Russia medievale di Kiev, l'eredità turca, la cultura cosacca,
la civiltà russa: tutti questi popoli hanno abitato il sud dell'Ucraina. Ha
scelto l'antica Grecia e da questa prospettiva costruisce la propria identità
ucraina. Se Volodimir Zelenski avesse preso spunto da Vladimir e dalla sua arte
e avesse permesso a ogni ucraino di scegliere la propria identità, forse alla
guerra non si sarebbe arrivati. O forse Putin avrebbe attaccato ugualmente, non
un paese povero e afflitto dal male del nazionalismo, ma una nazione moderna,
in cui tutti i popoli sarebbero a casa, tutte le culture e tutte le tradizioni
presenti sull’immenso territorio che va da Lviv alla regione del Donbass, da
Odessa a Kiev e ai monti Carpazi.
In questo momento,
Vladimir e Tatjana si trovano in Grecia; sono scappati a guerra iniziata. La
loro casa è silenziosa, metafisica e si erge come bastione a difesa di tutta
l’Ucraina. C’è un bosco invisibile che la protegge e la isola; all’interno, le
vestali sorvegliano che non succeda nulla ai muri di pietra, alle ceramiche del
pavimento, ai quadri e alle sculture di Vladimir. Pare ci sia un ordine segreto
da parte dei generali russi che obbligherebbe i soldati, in caso di sbarco nei
pressi di Olbia, a inchinarsi, se non a inginocchiarsi, nel caso in cui
passassero davanti alla casa Vladimir e Tatjana.
Parli ucraino? Sì
7) Coro:
Ternivka e i bulgari
Alla
periferia di Mykolaiv, nel distretto di Ternivka, vivono i bulgari, che si sono
trasferiti in questa zona all'inizio del XIX secolo. Ternivka è un quartiere
che somiglia a un paese: un centro culturale lungo la via principale, una
chiesa al centro, in cima a una collina, e sulle pendici che digradano verso il
ruscello Ternivka a valle, sorgono case unifamiliari; alcune sono fastose,
grandi, spaziose; altre invece modeste, con i tetti di lamiera e i giardini
poco curati, ma sempre dignitose. Qualche raro ciliegio fa capolino dai muri di
cinta, come il latrare sommesso di cani invisibili. I bambini del quartiere
frequentano una scuola, finanziata dalla Bulgaria, dove le lezioni si tengono
solo in bulgaro; i muri e la grata di protezione dell’edificio, però, sono
verniciati con i colori della bandiera ucraina; all’interno della scuola, un
murales alla parete rappresenta dei bambini che parlano tra loro e si chiedono:
“Tu parli ucraino?” La risposta è: “Certo!” Kiev ha inviato così un messaggio
molto chiaro: voi bulgari siete autonomi, avete la vostra scuola, ma sia chiaro
a chi appartiene davvero questo Paese. Un altro grosso problema è rappresentato
dal fatto che il russo non è più lingua di Stato: nel sud si parlano
principalmente russo e “surzhik” (un misto di russo e ucraino). Dal 2019 è
obbligatorio parlare solo ucraino in tutti i luoghi pubblici: molti insegnanti,
professori, alunni e studenti non conoscono questa lingua e rischiano di
perdere il lavoro o di essere espulsi dalla scuola. L'Ucraina è un mosaico di
popoli e culture, ed è proprio per questo che le élite di Kiev non sono
riuscite a raggiungere l’agognato obiettivo di creare una grande, unica nazione
ucraina.
Ternivka ha
subito pesanti bombardamenti nel mese di aprile del 2022, quando i russi hanno
tentato di prendere Mykolaiv. La maggior parte delle donne e dei bambini è
scappata, hanno trovato rifugio da parenti e amici in Bulgaria. La scuola è
ancora in piedi, ma è deserta. I ciliegi a giugno si macchiano di verde e di
rosso, ma le ciliegie cadono sull’asfalto mature, non c’è chi le raccolga, e
neanche chi le rubi. I bulgari si aspetta che tornino, alla fine della guerra.
Vladimir Bakhtov
8) Accompagnato:
Jürgen di Stoccarda
Jürgen, arrivato a Mykolaiv da
Stoccarda. Vedovo, operaio della Mercedes in pensione, ha deciso di venire in
Ucraina quando si è reso conto quanto fosse difficile trovare una compagna in
Germania. Da diversi giorni esce con Svitlana, impiegata in una ditta di
pulizie; anche lei è vedova, ha un figlio adulto e vorrebbe trascorrere una
vecchiaia serena: vorrebbe trasferirsi in Occidente e Jürgen rappresenta una
buona opportunità. Camminano lungo la riva del fiume, sui gradoni su cui siede
Alina. Jürgen, che ha più di 70 anni, parla ininterrottamente in inglese e
Svitlana - che ne ha circa 50 anni - risponde con frasi rapide e asciutte:
lancia sguardi secchi e brevi a tutte le persone che passano, come se fosse più
interessata all’umanità intorno a sé che non ai discorsi del futuro marito.