UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 15 giugno 2022

Reportage Geopoetico
DALL’UCRAINA MERIDIONALE
di Christian Eccher

Tramonto a Mykolaiv

(ORATORIO PROFANO in due Atti)
  
A Tanja (Non era forse molto bella, ma così la rese la mia immaginazione, diceva di Virginia Edgar Allan Poe)
  
PARTE PRIMA: MYKOLAIV
1) Sinfonia (andante larghetto - a passo cadenzato, come un corteo -Allegro non troppo)

La piccola stazione di Szeged in Ungheria
 
Una volta, nella piccola stazione austroungarica di Szeged, in Ungheria, ho incontrato un profugo ucraino che era appena scappato da Mariupol. Mentre aspettavamo il treno per Cegléd, lui mi ha detto: “Io, a Mariupol, ho visto i palazzi che cadevano uno dietro l’altro, e la gente che correva come formiche impazzite. E tu, tu non hai visto niente”. E allora io gli ho detto: “Anche io, da me, e non c’era la guerra: ho visto l’ospedale, ho visto la gente in fila in attesa di una visita, le macchie orribili sulla pelle, le teste senza capelli”. E lui mi ha detto: “Io, a Mariupol, ho visto le madri giovani che coi bimbi in braccio scappavano via, e i loro mariti rimanevano per andare a combattere. Ho visto gli autobus pieni di donne che lasciavano il piazzale e tutti i maschi rimanere a terra. E tu non hai visto niente”. “Anche io - gli ho detto - ho visto i paesi che si svuotavano, e i vecchi che rimanevano soli, anni e anni davanti al telefono ad aspettare una chiamata. Ho visto i vicoli di pietra di paesi sperduti che si riempivano di malva e i muri delle case pieni di muschi e di licheni”. E allora lui mi ha detto: “Io, a Mariupol, ho visto un intero esercito andare in collera e sparare addosso a persone indifese. Ho visto gente che parlava la mia lingua che bestemmiava e uccideva tutti quelli che si trovava davanti. E tu, tu non hai visto niente”. E allora io gli ho detto: “Io, adesso, non voglio più sapere niente della guerra. Io una volta, mentre viaggiavo in autobus da Astrakan a Rostov sul Don, mi sono svegliato all’alba e ho visto una città; era Elistà, ed era tutta, tutta coperta di fiori”.

Mykolaiv
 
2) Coro: Mykolaiv allo specchio
Mykolaiv, Nikolaev in russo, non ha la squillante bellezza delle città mediterranee. Ha il colore grigio della cera fusa e l’odore della nafta delle navi che percorrono il delta del fiume Bug Meridionale. Mykolaiv si trova nel sud dell’Ucraina ed è una città speculare, non solo perché gli edifici del centro si riflettono nell’acqua del fiume, ma anche perché ha la stessa struttura urbana di Arcangelo, nel nord della Russia, vicino al circolo polare artico. È come se ci fosse uno specchio fra Ucraina e Bielorussia e Mykolaiv, a sud, si riflette in Arcangelo, a nord. L’unica differenza fra le due città è nei colori e nelle correnti aeree. Arcangelo è vicina al Circolo Polare Artico e le basse pressioni del nord garantiscono al vento di fare il proprio giro: spira da ovest e porta pioggia e nuvole basse; poi, lentamente, impercettibilmente, dopo una brevissima pausa in cui rimane immobile, l’aria soffia da est, il cielo si fa terso e i colori brillano al sole basso sull’orizzonte. A Mykolaiv, invece, le alte pressioni mediterranee, che si spingono fino al Mar Nero, fanno del cielo un’entità metafisica, astratta e distante: un azzurro immobile e indifferente chiude la città in una cappa, non un filo d’aria arriva dal fiume; a sera, qualche volta, le foglie degli alberi rispondono con tenui oscillazioni alla brezza che viene dal mare. Qualche scia di condensazione solca l’azzurro ad altissima quota. Giù, gli edifici di cemento si gonfiano di umidità, le persone camminano lentamente nell’aria estiva e rigoli di acqua scorrono verso il fiume. È l’acqua delle condense dei condizionatori o quella che trabocca dai vasi e dalle aiuole che, ogni mattina, gli impiegati comunali vestiti di verde annaffiano abbondantemente. Questo d’estate. D’inverno, Arcangelo rimane al buio, bianca di neve e argentea di ghiaccio. Proprio in inverno, invece, Mykolaiv assume mille sfaccettature: le cupole d’oro delle chiese ortodosse brillano al sole, se c’è alta pressione. Il fiume riflette la luce e diventa un caleidoscopio multicolore. Se invece soffia il buran, il vento del nord padrone delle steppe, gli edifici di cemento della città si piegano verso il mare, come giunchi, e la gente corre a ripararsi nella pasticceria del centro, quella con la cioccolata dalle mille forme. Proprio per difendersi dal vento, i primi abitanti di Mykolaiv, nel ’700, piantarono alberi ovunque: ippocastani e soprattutto platani. Adesso, molti di quegli alberi non ci sono più: quelli davanti all’hotel Inhul, per esempio, sono stati distrutti da un missile che ha colpito, forse per errore, l’edificio che ospitava l’albergo. Non è rimasto quasi niente: il legno semibruciato e ormai morto degli alberi è grigio come le macerie dell’ala centrale del palazzo. Sono rimaste in piedi le ali laterali, che ospitavano la maggior parte delle stanze, ora ovviamente inagibili. Intatta è rimasta l’insegna dell’agenzia matrimoniale che si occupava di mettere in contatto uomini soli occidentali, soprattutto tedeschi e olandesi, con ragazze e donne del posto, desiderose di scappare dalla povertà e dalla corruzione di un paese che è forse eroico, ma che anche prima della guerra aveva non pochi problemi. I turisti firmavano un contratto in patria e poi raggiungevano Mykolaiv; l’hotel Inhul li ospitava e loro conoscevano le donne locali. Non si trattava di prostituzione, ma di veri e propri accordi matrimoniali.
Della ragazza che lavorava alla reception, Olga, la cui sonora risata sembrava una cascata d’acqua a primavera, non ci sono più tracce. Nessuno era presente nell’albergo quando è stato bombardato. Olga era elegante, portava una camicia appena sblusata sui pantaloni neri. Magra, le scapole mobili e ossute, i seni piccoli, probabilmente è scappata e si trova in qualche campo profughi della Germania. L’hotel Inhul, ormai, non esiste più; sul retro dell’hotel, invece, al di là del parcheggio, dove ci sono le krusciovke (palazzi a 5 piani costruiti durante la Presidenza di Nikita Krusciov), giocano ancora i bambini che non sono andati via; spensierati, corrono dietro al pallone, mentre le loro madri, negli appartamenti, tremano al pensiero che un missile russo possa colpire ancora la zona dell’hotel.
In principio Mykolaiv era, esattamente come Arcangelo, un porto con un cantiere navale all’interno dell’impero russo. Fu fondata dal generale Potemkin e quella che all’inizio era un semplice accampamento di soldati si rivelò fondamentale nella guerra russo-ucraina del 1787-1792. L’impero turco perse i propri territori a nord del mar Nero e l’attuale Ucraina del Sud divenne Nova Rossija, la nuova Russia, in nome della quale l’attuale Presidente russo Vladimir Vladimirovic giustifica l’aggressione in corso nei confronti dell’Ucraina.
In realtà, il nucleo di Mykolaiv esisteva anche prima dell’arrivo dei russi e a testimonianza del periodo turco è rimasta una fontana sul lungofiume della città: l’acqua esce ancora e il gorgoglio è uguale a quello di 400 anni fa. Anche il fiume scorre indifferente come allora, a ricordarci che il Tempo è forse solo un’illusione e la Storia un’infinita ripetizione di fatti, cronache e azioni.


Cantieri navali

3) Aria: ricordi dal Porto (settembre 2021)
Il cantiere navale si trova alla confluenza fra il fiume Bug e il suo tributario Inhul. Ancora alla riva sinistra dell’Inhul, lo scheletro arrugginito di una nave simboleggia la decadenza dei cantieri che dopo la caduta dell’URSS hanno perso importanza e sono stati privatizzati. Non si producono più grandi navi ma solo piccoli yacht. Centinaia di operai sono rimasti senza lavoro e, dagli anni Novanta in poi, la città di Mykolaiv ha una vera e propria crisi di identità. Senza i suoi cantieri navali, gli edifici e le strade del centro sono solo un monumento alla vitalità e alla forza di un tempo. Gli uomini, gli ex operai e i giovani, emigrano o si rifugiano nella droga e nell’alcol. Alcuni di loro, hanno trovato una ragione di vita nel nazionalismo e nella difesa del centro urbano e del paese dall’aggressione russa. Al martello e ai chiodi hanno sostituito il mitra e i proiettili. Questo, per ora, dà loro una valida ragione per andare avanti.
Alina ha poco più di vent’anni ed è arrivata all’inizio di settembre da Odessa: a Mykolaiv segue un corso estivo di economia organizzato dall'Università locale. Siede su un gradone della riva con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani a pugno sotto il mento; osserva assorta la sottile linea d’orizzonte dove l’azzurro del cielo si confonde con quello del mare. Alle sue spalle, a sinistra, c'è una grande recinzione metallica che separa la città dal porto commerciale, il quale, al di là della recinzione, lavorava a pieno regime e le navi vanno e vengono; dalla riva turistica, le banchine e i magazzini non sono visibili; sulle gru e sugli edifici più alti campeggiano scritte in cinese. Gran parte del porto commerciale di Mykolaiv è infatti nelle mani della ditta cinese COFCO, che si occupava, almeno fino all’inizio dell’aggressione russa, di raccogliere e trasportare il grano ucraino sia in Oriente sia in Occidente. Il frastuono delle gru che scaricano i container copre la voce melodiosa di Alina. La ragazza, spesso infastidita dal forte vento di ponente, riavvia nervosamente i capelli dietro all’orecchio destro ma l’aria, quasi a volerla farla arrabbiare, glieli scompiglia nuovamente. Alina racconta dei suoi progetti futuri: “Voglio terminare al più presto gli studi universitari e fuggire dall'Ucraina. Il problema principale qui è la corruzione che domina ogni aspetto della vita pubblica. In facoltà, noi studenti dobbiamo pagare qualcosa o per passare un esame o registrare il voto sul libretto. Io ho pagato una sola volta per la registrazione del voto e mi sono ripromessa di non farlo mai più: la professoressa mi ha fatto un favore, mi ha permesso di presentarmi all'esame prima del regolare appello perché volevo andare in Germania per una scuola estiva; in cambio, mi ha chiesto di comprarle due condizionatori, uno per il soggiorno e l'altro per la camera da letto. Non sono arrabbiata, non è colpa sua: gli stipendi dei professori sono così bassi che non permettono loro di vivere normalmente. Il problema è che alcuni studenti si approfittano di questa situazione e comprano la laurea; come farà domani il datore di lavoro a distinguere una laurea vera, meritata, da una acquistata?". Alina purtroppo ha ragione: un docente universitario guadagna circa 250 euro al mese e i prezzi nei supermercati sono europei. La guerra, poi, ha ulteriormente impoverito la popolazione. In ogni caso, Alina è riuscita a scappare in Germania e adesso vive a Berlino. Lavora da casa per un call center e continua a frequentare l’Università di Odessa online.

Fontana turca a Mykolaiv
 
4) Coro: Al porto
La riva turistica si conclude all’improvviso e lascia il posto alla ferrovia. Una piccola strada costeggiata da alberi e da krusciovke è l’unica via per raggiungere l’ingresso al porto, a meno che non si voglia camminare lungo i binari. Un piccolo negozio vende i beni di prima necessità e i cassonetti dell’immondizia ai bordi della strada rigurgitano sacchi di immondizia, avanzi di insalate, ossa di pollo e oggetti di plastica. I gatti annusano furtivi i rimasugli di cibo. Lì dove finiscono le case, la strada continua e si insinua sotto la ferrovia. Ai margini del ponte, la scorza di un cocomero e una siringa usata, con l’ago rosso di sangue. Più in là, la cancellata di ingresso al porto, sorvegliata da telecamere e da un portiere muscoloso e nerboruto che guarda con sospetto i pochi passanti. A mezz’aria, i tubi del teleriscaldamento che portano l’acqua calda nelle case vicine. Le rotaie del tram scorrono regolari sull’asfalto mangiato dall’afa e dal freddo. La polvere marrone della steppa si deposita ovunque, sulle vecchie lade parcheggiate ai margini delle vie, sui fiori che alcune donne coltivano amorevolmente nelle aiuole davanti casa. Le abitazioni in questa parte della città, a nord del porto, sono unifamiliari e in legno. Povere, ma dignitose. Come quelle di Arcangelo, città speculare e all’improvviso diventata nemica.

Il tram della sera
 
5) Quartetto: in città
Il tram si scuote come fosse una nave in tempesta. Il ferro trema ogni volta che il mezzo si mette in movimento e le vibrazioni si ripercuotono sul corpo dei passeggeri. Dopo circa mezz’ora di corsa, una volta lasciata l’area del porto, si arriva in centro. Una piazza con il Municipio, ora danneggiato dalle granate russe, una strada che segue il corso dell’Inhul e un corso che è perpendicolare al fiume stesso. Questa è Mykolaiv. L’anima della città, però, non è nella struttura urbana, ma nella sua gente. Natasha ha circa 25 anni ma sembra più anziana. La tintura non nasconde del tutto i capelli già grigi, nonostante la giovane età. Eppure, Natasha ha un fascino particolare ed estremo, che forse le deriva dal sorriso. I denti bianchi e regolari, il corpo affusolato e magro, Natasha lavora all’Università di Mykolaiv come docente di Iddish. Appartiene infatti a una famiglia ebrea; ce ne sono molte in Ucraina, lo stesso Presidente Zelenski, l’eroe (falso) dell’Occidente, ha origini ebree. Natasha è nata in Israele dove ha frequentato le scuole elementari e successivamente la sua famiglia ha deciso di fare ritorno in Ucraina. Fiera delle proprie origini, conosce ogni angolo della città e la storia di ogni edificio. Ai propri studenti non insegna solo la lingua iddish, ma mostra loro anche gli angoli segreti di Mykolaiv: le vecchie case, la Sinagoga, un edificio quasi anonimo che si trova vicino al ponte sul Bug, quello che ora non esiste più perché è stato bombardato dall'esercito russo. Anche in questi giorni di guerra, di attacchi alla città, che è sempre stata un nodo strategico fra l’Europa e la Federazione russa, Natasha fa la spola tra casa sua e la sinagoga. Tiene i contatti con gli studenti e con gli altri membri della comunità ebraica. La sinagoga è in piedi, la guerra finirà e tutto tornerà come prima, con la preghiera del sabato e i pranzi con gli amici la domenica. C’è un filo segreto che lega Natasha, gli abitanti di Mykolaiv e un luogo che si chiama Olbia. È un filo etereo, che nessun esercito potrà mai bombardare e che rimane invisibile ai reporter che in questi giorni informano sugli eventi in Ucraina. È un’energia che i radar militari non possono captare e che i ripetitori non possono a loro volta trasmettere sotto forma di onde radio. È un segreto, che gelosamente verrà conservato fino alla fine della guerra.

Lo studio di V. Bakhtov
 
6) Aria: La casa di Vladimir Bakhtov
C’è una strada, a una sola corsia, che va da Mykolaiv a Olbia, un piccolo centro urbano che si trova alla fine del delta (liman) del Bug meridionale e del Dnepr. A Olbia ci sono i resti dell’antica città greca e la città era nata con l’intento di garantire alla penisola ellenica, sassosa e poco fertile, l’approvvigionamento del grano delle pianure d’oltremare. La Grecia produceva olio e vino, per i cereali bisognava colonizzare le coste del mar Nero settentrionale, che in ogni caso i greci non amavano attraversare e tantomeno navigare. Non a caso lo chiamavano Pontus Ouxinus, vale a dire Mare Inospitale, a causa delle improvvise tempeste che sorprendevano i marinai (forse per assonanza o ironia, o semplicemente per scaramanzia, nel periodo romano il Mare prese il nome di Pontus Euxinus, mare ospitale). La storia del Mar Nero è sin dai tempi più antichi ricca di eventi catastrofici. Quello che fino a circa 5-6000 anni fa era un lago, divenne un mare dopo lo scioglimento dei ghiacciai e l’aumento del livello delle acque del Mar Mediterraneo, che a un certo punto ruppe gli argini orientali e debordò al di là dell’attuale Bosforo. Un’enorme quantità di acqua salata entrò nel lago d’acqua dolce cambiandone drammaticamente l’ecosistema. Lo stretto dei Dardanelli rimase aperto e il Mar Nero si unì così al Mediterraneo. Perché il Mare così formatosi sia stato denominato “nero”, non si sa ancora con precisioni: forse per via dell’estrema profondità delle acque, che in certi punti appaiono nere, o per una questione di pura geografia: nelle antiche mappe, infatti, i punti cardinali erano associati a determinati colori e il Nord venivano indicato proprio con il nero. Per gli ottomani, che mutuarono questo sistema cartografico dalla Cina, il Mar Nero era a nord. Certo è solo che, una volta usciti da Mykolaiv, bisogna dimenticare che questi territori possano davvero appartenere solo alla Russia o all’Ucraina, con buona pace di Putin e Zelenski. L’area che si estende a nord del Mar Nero è sempre stato un corridoio, una strada di passaggio di proprietà a tutti i popoli che hanno abitato quest’area: sciti, greci, romani, unni, turchi, cosacchi, ucraini, russi, rumeni, bulgari, nomadi delle steppe. Lo testimoniano i kurgan che sorgono numerosi in mezzo ai campi di grano: piccole colline gibbose che segnano il terreno da Rostov sul Don a Odessa, monumenti funebri che i popoli delle steppe dedicavano ai loro condottiere. Li erigevano e andavano via in direzione ovest, in senso contrario al vento che qui spira da ovest verso est. Talvolta tornavano sui loro passi. Se i nomadi hanno lasciato tracce di terra, i greci a Olbia hanno lasciato orme di pietra. Per arrivare da Mykolaiv a Olbia bisogna prendere la magistrale per Odessa e poi, al primo incrocio, girare a sinistra, in direzione sud. I 20 km che separano la città da Olbia sono una tortura per chi li percorre: la strada è completamente rovinata dal caldo estivo e dal ghiaccio invernale, minacciosi crateri si aprono qua e là e costringono le automobili ad andare a una velocità media di 10 km all’ora. Se anche i russi dovessero bombardare questa via di comunicazione, nessuno noterebbe la differenza. Da almeno un decennio, le autorità di Mykolaiv promettono di rimettere in sesto questa strada; lo faranno chissà quando, forse con i soldi della ricostruzione, se l’Occidente finanzierà l’Ucraina post-bellica.
Gli scavi archeologici di Olbia, che dominano dall’alto di un’altura il delta del Bug Meridionale, si trovano nel Comune di Parutine, un piccolo borgo agricolo, composto da due strade perpendicolari e un gruppo di povere case dai tetti in lamiera e in eternit, un materiale altamente cancerogeno e per questo vietato nell’Unione Europea. Sembra basti respirare una sola fibra di questo pericoloso metallo per sviluppare un cancro dei polmoni o della pleura. Gli abitanti di Parutine non lo sanno, e in ogni caso non possono permettersi di costruire un tetto di cemento e tegole. L’asbesto è molto economico e facilmente lavorabile.
Lungo la via principale del paese, quella che segue l’asse nord-sud, c’è una casa. La casa ha un giardino e in giardino bevono il tè, nei giorni di primavera e spesso con la loro amica Tatjana di Mykolaiv, professoressa di inglese all’Università, Vladimir e sua moglie Tatjana Bakhtov. Vladimir è un artista e un architetto che ha progettato da solo la propria abitazione. Al pian terreno c’è una cucina molto grande e spaziosa, dai muri in pietra e dal pavimento in ceramica. Fresca, ventilata, la cucina dei Bakhtov è il luogo ideale per pranzare e stare in compagnia. Il tavolo, in legno massiccio, nasconde un segreto: non ha gambe, ma poggia su un cilindro in cemento, all’interno del quale si trova una cisterna con l’acqua piovana che, tramite un sistema di canali, si concentra proprio sotto la casa dei Bakhtov. Al primo piano, Vladimir compone le proprie opere. Si tratta di sculture, ma anche quadri e fotografie che uniscono la performance alle tecniche tipiche delle arti visive. Vladimir utilizza spesso corpi umani, tramite la creta li trasforma in statue e poi li fotografa in composizioni particolari. Un’altra tecnica da lui molto amata è quella del fuoco: disegna con la fiamma contorni che, ripresi con un obiettivo a lunga esposizione, nella fotografia sembrano veri e propri edifici, eterei e incandescenti. Le tematiche che Bakhtov elabora sono quasi tutte legate all’antica Grecia. Una simile operazione ha come scopo non solo quello di preservare le radici dell'intera civiltà europea, ma anche di dimostrare come ciascuno di noi possa scegliere e costruire la propria identità a proprio piacimento. L'identità è sempre il frutto di un'operazione culturale, non ha nulla a che vedere con la genetica e non ha nulla di predeterminato; sta a noi custodire ed elaborare il nostro passato e il passato dei nostri antenati, e in base a questo passato costruire il nostro futuro. Vladimir avrebbe potuto scegliere tra la Russia medievale di Kiev, l'eredità turca, la cultura cosacca, la civiltà russa: tutti questi popoli hanno abitato il sud dell'Ucraina. Ha scelto l'antica Grecia e da questa prospettiva costruisce la propria identità ucraina. Se Volodimir Zelenski avesse preso spunto da Vladimir e dalla sua arte e avesse permesso a ogni ucraino di scegliere la propria identità, forse alla guerra non si sarebbe arrivati. O forse Putin avrebbe attaccato ugualmente, non un paese povero e afflitto dal male del nazionalismo, ma una nazione moderna, in cui tutti i popoli sarebbero a casa, tutte le culture e tutte le tradizioni presenti sull’immenso territorio che va da Lviv alla regione del Donbass, da Odessa a Kiev e ai monti Carpazi.
In questo momento, Vladimir e Tatjana si trovano in Grecia; sono scappati a guerra iniziata. La loro casa è silenziosa, metafisica e si erge come bastione a difesa di tutta l’Ucraina. C’è un bosco invisibile che la protegge e la isola; all’interno, le vestali sorvegliano che non succeda nulla ai muri di pietra, alle ceramiche del pavimento, ai quadri e alle sculture di Vladimir. Pare ci sia un ordine segreto da parte dei generali russi che obbligherebbe i soldati, in caso di sbarco nei pressi di Olbia, a inchinarsi, se non a inginocchiarsi, nel caso in cui passassero davanti alla casa Vladimir e Tatjana.
 

Parli ucraino? Sì

7) Coro: Ternivka e i bulgari
Alla periferia di Mykolaiv, nel distretto di Ternivka, vivono i bulgari, che si sono trasferiti in questa zona all'inizio del XIX secolo. Ternivka è un quartiere che somiglia a un paese: un centro culturale lungo la via principale, una chiesa al centro, in cima a una collina, e sulle pendici che digradano verso il ruscello Ternivka a valle, sorgono case unifamiliari; alcune sono fastose, grandi, spaziose; altre invece modeste, con i tetti di lamiera e i giardini poco curati, ma sempre dignitose. Qualche raro ciliegio fa capolino dai muri di cinta, come il latrare sommesso di cani invisibili. I bambini del quartiere frequentano una scuola, finanziata dalla Bulgaria, dove le lezioni si tengono solo in bulgaro; i muri e la grata di protezione dell’edificio, però, sono verniciati con i colori della bandiera ucraina; all’interno della scuola, un murales alla parete rappresenta dei bambini che parlano tra loro e si chiedono: “Tu parli ucraino?” La risposta è: “Certo!” Kiev ha inviato così un messaggio molto chiaro: voi bulgari siete autonomi, avete la vostra scuola, ma sia chiaro a chi appartiene davvero questo Paese. Un altro grosso problema è rappresentato dal fatto che il russo non è più lingua di Stato: nel sud si parlano principalmente russo e “surzhik” (un misto di russo e ucraino). Dal 2019 è obbligatorio parlare solo ucraino in tutti i luoghi pubblici: molti insegnanti, professori, alunni e studenti non conoscono questa lingua e rischiano di perdere il lavoro o di essere espulsi dalla scuola. L'Ucraina è un mosaico di popoli e culture, ed è proprio per questo che le élite di Kiev non sono riuscite a raggiungere l’agognato obiettivo di creare una grande, unica nazione ucraina.
Ternivka ha subito pesanti bombardamenti nel mese di aprile del 2022, quando i russi hanno tentato di prendere Mykolaiv. La maggior parte delle donne e dei bambini è scappata, hanno trovato rifugio da parenti e amici in Bulgaria. La scuola è ancora in piedi, ma è deserta. I ciliegi a giugno si macchiano di verde e di rosso, ma le ciliegie cadono sull’asfalto mature, non c’è chi le raccolga, e neanche chi le rubi. I bulgari si aspetta che tornino, alla fine della guerra.

Vladimir Bakhtov
 
8) Accompagnato: Jürgen di Stoccarda
Jürgen, arrivato a Mykolaiv da Stoccarda. Vedovo, operaio della Mercedes in pensione, ha deciso di venire in Ucraina quando si è reso conto quanto fosse difficile trovare una compagna in Germania. Da diversi giorni esce con Svitlana, impiegata in una ditta di pulizie; anche lei è vedova, ha un figlio adulto e vorrebbe trascorrere una vecchiaia serena: vorrebbe trasferirsi in Occidente e Jürgen rappresenta una buona opportunità. Camminano lungo la riva del fiume, sui gradoni su cui siede Alina. Jürgen, che ha più di 70 anni, parla ininterrottamente in inglese e Svitlana - che ne ha circa 50 anni - risponde con frasi rapide e asciutte: lancia sguardi secchi e brevi a tutte le persone che passano, come se fosse più interessata all’umanità intorno a sé che non ai discorsi del futuro marito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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