GLI AUTORI E I LORO LIBRI
di
Gabrio Vitali
Gabrio Vitali
Odissei
senza nostos,
Gabrio Vitali parla del suo nuovo libro.
La
composizione del libro Odissei senza nostos, che si presenta come una
sorta di mia autobiografia culturale, nasce dall’essermi accorto che alcune
riflessioni sull’opera letteraria e il suo rapporto con l’evolversi della
civiltà umana, presentate pubblicamente in diverse occasioni e in tempi e
luoghi non necessariamente fra loro contigui, rivelavano un filo conduttore
comune, una griglia di lettura sostanzialmente univoca, una mappatura
articolata, ma coerente, mi pare, di un modo di vedere – e di vivere – la
scrittura poetica e letteraria. E in fondo, è bastato trovare un ordine di
senso a una cronologia - invero un po’ a macchia di leopardo - di occasioni e
di sollecitazioni, perché gli argomenti di varie conferenze e interventi sparsi
venissero a costituire come il tema di un unico ciclo di lezioni, che si
presentano nel volume come tappe, più o meno lunghe, di un percorso di
riflessione unitario, cioè con un inizio e con una conclusione, per quanto
provvisoria ed emendabile come tutte le conclusioni.
L’assunto che pervade le pagine del libro è
che l’opera di scrittura letteraria - in particolare l’epica, ma non solo -
fondi la sua più originaria struttura e la sua motivazione più profonda nel
rapporto che intercorre fra l’esperienza antropologica del nostos, il viaggio
che cerca il ritorno, e quella dell’eksodos, il viaggio che cerca un altrove.
Di tale rapporto si alimentano, a mio modo di vedere, sia il racconto, sia la
scrittura che lo narra. Se è del tutto evidente, infatti, che solo chi ritorna
può raccontare e dar senso e conto dell’avventura del proprio viaggio, è vero
altresì che ogni scrittura poetica rappresenta un viaggio verso qualcosa cui si
desidera dar forma per poterlo possedere e comunicare.
Fin dagli studi di Vladimir Jakovlevič Propp sulle origini dei racconti di magia e
sulla morfologia della fiaba, sappiamo che la struttura del viaggio iniziatico
sta all’origine delle antiche narrazioni mitiche dedicate al percorso
dell’eroe, che parte alla ricerca di qualcosa, viene assistito da un aiutante
magico, si cimenta con l’esperienza di un altrove, in cui lo attende il
superamento di prove e lo scontro con l’antagonista, e ritorna poi al luogo di
partenza trasformato e in grado di trasformare. Sappiamo poi che, nelle successive grandi
narrazioni letterarie, la struttura del viaggio del protagonista (sia esso
Odisseo o Enea o Dante o... Renzo Tramaglino) fonde anch’essa la linearità del
movimento di andata alla circolarità di quello del ritorno. Ma, in queste come
in quelle, non senza che rimanga una tensione fra i due movimenti, non senza che
sia necessaria una soluzione di continuità che comportino la trasformazione
dell’eroe e l’acquisizione da parte sua di una capacità di trasformazione: ogni
viaggio raccontato è dunque un viaggio iniziatico o, in altri termini, un
viaggio di formazione.
Partire,
insomma, trasforma. E tornare produce trasformazione. Sia che il percorso del
viaggiatore avvenga in senso verticale, come quello di Dante, sia che avvenga
in senso orizzontale, come quello di quasi tutti gli altri. E in tutti questi
viaggi della grande opera letteraria c’è quasi sempre, a sostenere l’eroe,
implicita o esplicita, magari multipla, la figura di un aiutante, di un
consigliere, spesso di un maestro (... o di una maestra) che si fa condizione e
garanzia della possibilità di trasformazione dell’eroe e del suo successo. È,
questa del maestro, quasi una metafora della scrittura letteraria che guida ed
educa l’autore - e poi soprattutto il lettore – alla chiara e progressiva
linearità del procedere dei suoi significanti e, insieme, alla molteplice e
circolare radialità dello svilupparsi dei suoi significati.
Vitali in cucina
mentre prepara il couscous
Sembra,
quindi, che nella struttura originaria della scrittura letteraria e delle sue
narrazioni si sia riflessa e innestata l’esperienza antropologica del viaggio
che è stata imprescindibile, sia nella forma del nòstos che in quella
dell’esodo, nell’evolversi della civilizzazione umana del pianeta. Sappiamo tutti, infatti, che
nomadismo e stanzialità, fin dagli inizi paleolitici dell’avventura dell’homo
sapiens, stanno alla base delle categorie fondamentali di spazio e di tempo,
all’interno delle quali soltanto si può originare il pensiero umano che conosce
e organizza il mondo.
Il nomadismo
concepisce il tempo come linearità e successione. Come sarà poi per il
mercante, il cacciatore o il pastore nomade deve raggiungere una meta nuova,
più lontana, che viene dopo di quella in cui si trova, che sta in una
successiva fase del tempo, diversa dall’attuale. E lo spazio è luogo del
percorso ininterrotto all’inseguimento di selvaggina, alla ricerca di nuovi
pascoli, di altre sorgenti d’acqua. Lo spazio e il tempo si sviluppano in linea
retta ed è fondamentale che il domani sia diverso dall’oggi. Il cambiamento
portato dal domani è condizione di vita, di sopravvivenza. Il passato è la
lontananza dall’oggi, il futuro è la sua trasformazione. Il tempo del viaggiatore,
del nomade, del mercante, come ha mostrato Jacques Le Goff, sarà il tempo
dell’orologio, le cui lancette non si devono mai fermare. Il loro spazio è
quello dell’esodo, quello dell’andare oltre, dell’andare altrove.
mentre prepara il couscous