CAMPANE E CAMPANILI
di
Angelo Gaccione
Avevo scritto questo testo nell’agosto del 2019. L’avevo
scritto per metterlo a chiusura del libro La mia Milano per l’editrice
Meravigli. Il Covid sarebbe venuto dopo, il pericolo di guerra nucleare ancora
più tardi. Avevo immaginato una Milano visionaria, poetica e gioiosa,
attraverso questo straordinario concerto di campane, in crescendo, fino
all’apoteosi. Ne faccio dono ai lettori milanesi e no; è un omaggio alla città
meneghina e un augurio perché si torni a far prevalere la ragione e il
desiderio di pace a cui aspirano uomini e donne di ogni continente.
Questa estate ho voluto riprendere
in mano Notre-Dame de Paris, il capolavoro giovanile di Victor Hugo. Lo
scrittore francese aveva appena 29 anni quando lo terminò ed aveva impiegato
cinque mesi nella stesura. Una stesura febbrile, barricato in casa con i
vestiti nascosti e chiusi a chiave “per non avere la tentazione di uscire”,
come scrive in una memoria la moglie. In particolare mi sono soffermato sul
Capitolo Primo del Libro Terzo in cui parla diffusamente dell’antica
Cattedrale, la “mirabile chiesa” affacciata sulla Senna; e sul Capitolo Secondo
in cui ci fa vedere Parigi “a volo d’uccello” e ce ne fa innamorare. Ma
più di tutto volevo sentire sussultare le “mille chiese” di Parigi con i loro
campanili, nel tripudio mattutino del suono festoso delle campane, perché così
io mi immagino che una volta o l’altra possa avvenire, prima che il destino
venga a chiudermi gli occhi, qui, in questa Milano generosa e impietosa;
altruista e indifferente; ribelle e moderata; poetica e desolata; opulenta e
derelitta; scandalosamente bella e ignominiosamente oscena; luminosa e grigia;
vitale e malata; integra e corrotta; devota e farisea; ironica e ferita; colta
e insipiente; spalancata e segreta; allegra e malinconica. Che anche qui, in un
mattino dorato sotto la volta tersa di un cielo azzurro amichevole e benigno, da
ogni campanile e da ogni torre tutte le campane della città, della mia città,
si metteranno a suonare a stormo per scacciare ogni dolore, ogni affanno, ogni
miseria, ogni ferocia, ogni istinto di morte. E questa volta non batteranno le
ore, non scandiranno il tempo, non inviteranno alla quotidiana preghiera. I
rintocchi non osserveranno pause e il batacchio non rimarrà sospeso, non ci
saranno rotazioni. La posizione a bicchiere è abolita, il sistema ambrosiano è
saltato e non sarà un concerto solenne. Questa volta si suonerà a distesa con
ritmo gioioso, festoso, fino a raggiungere l’apoteosi.
Il segnale verrà dato dai campanili ad una sola campana: comincerà la basilica di Sant’Ambrogio con la Torre dei tre Monaci a cui si uniranno immediatamente le campane del San Raffaele, della chiesa di San Galdino e i campanili della ciribiciaccola, l’Abbazia di Chiaravalle dai bei mattoni rossi. E poi Sant’Alessandro a due; e quelle a tre del Civico Tempio di San Sebastiano, del Santuario don Gnocchi, di Santa Maria al Paradiso, San Barnaba e Paolo e San Francesco Saverio. E ancora quelle a quattro della cattedrale di Santa Maria Nascente, della prepositurale di San Cristoforo, del santuario di Santa Maria delle Grazie. Immaginatevi che cosa accadrà quando esploderà il suono dai cinquantanove campanili con le loro cinque campane a testa, da San Nazaro in Brolo a San Lorenzo di Monluè; da San Michele Arcangelo di Precotto alla Divina Provvidenza di Quinto Romano. A queste si aggiungeranno quelle a sei che batteranno dal campanile del centralissimo Tempio di San Carlo al Corso posto in pieno corso Vittorio Emanuele, fino a quello periferico di San Nicola di Dergano. Sant’Agostino interverrà con le sue sette, assieme all’Abbazia di Santa Maria Rossa di Crescenzago e a Sant’Apollinare di Baggio che di campane ne hanno otto. Ma Rho non starà a guardare, e sentendo festeggiare le sue consorelle milanesi, unirà al concerto le sue nove della basilica di San Vittore.
Intanto il suono ha rotto ogni barriera, si è propagato ovunque, si è fatto sempre più intenso e squillante, ha sovrastato i grattacieli, ha abbattuto ogni rumore, ha paralizzato il traffico, ha annientato le sirene delle ambulanze e lo sfrigolio dei tram sulle rotaie, ha interrotto ogni attività umana, ha pietrificato i computer, ha steso una cappa ovattata e da sogno sui quattro punti cardinali. Neppure dal ventre della città, dove scorrono le linee del Metrò, arriva un solo sussulto. Non si ode che un unico suono, uno scampanio robusto, armonioso, immenso, spandersi per l’aria fino far vibrare i pinnacoli ancora innevati delle montagne che si ergono a corolla là, in fondo all’orizzonte puro, com’è pura e tersa l’aria di questa tarda mattinata. I rimbombi su Trezzo D’Adda arriveranno come un’onda stordente, ed ecco che come per miracolo le dodici campane del campanile della chiesa dei martiri Gervaso e Protasio uniranno il loro canto al concerto grosso, facendo impennare il suono che sale, sale, sale sempre più in alto fino a quell’unica nuvola bianca e lanosa che è comparsa nel centro del cielo, e nel cui raggio le forme disegnano un gigantesco occhio come fosse l’unico occhio di Dio.
Sono ottantacinque ora le campane che battono in coro, intrecciate, abbracciate, fuse, e spandono la loro vibrante energia su tutta la città che si riversa per le strade come stordita. Migliaia e migliaia di corpi invadono le vie e riempiono le piazze. È un tripudio di colori e di forme, un prisma fantasmagorico che visto dall’alto del Duomo lo fa sembrare un prato fiorito. È lo spettacolo più bello che sia mai stato rappresentato nella nostra città. Così gioioso, colorato e denso, forse agli occhi dei milanesi non era apparso neppure il 25 Aprile nel giorno della Liberazione. C’è chi tenta di chiedere al vicino che cosa di così notevole, di così straordinario sia accaduto perché tutte le campane della metropoli suonino a festa. Le parole escono incomprensibili e comunicare è impossibile: oggi ogni altro suono è abolito, ha perso ogni importanza, è divenuto privo di senso. C’è chi stenta a capire: nessun fumo si eleva sui palazzi ed il cielo è splendidamente terso; di fiamme non c’è traccia e non sono visibili da nessun lato. Non è più tempo di pirati e saraceni, e la peste ha assunto altri volti. Il papa, beato lui, gode di buona salute e del resto le campane suonano a festa, invitano all’esultanza.
Per la prima volta tutti i balconi di Milano, che raramente si sono visti aperti, si spalancano: un fiotto di luce li inonda e penetra all’interno con un riverbero azzurrino. Un gruppo di fedeli filippini cerca di intonare un canto, ma è un tentativo vano, vana è ogni preghiera. Oggi non è giorno di parole ma di suoni. Si può solo stare in ascolto, godere dell’armonia delle note che i battagli ricavano dal bronzo. Domani, inopinatamente, sarà tutto sulla bocca del mondo.
[Milano, agosto 2019]