LIBRI
di
Mariacristina Pianta
La copertina del libro
Gli occhi rossi
del piccione.
Subito
l’immagine incisiva dello stesso titolo del libro si colora di contenuta
malinconia per la riproduzione in copertina del dipinto di Munch, in cui un
uomo si trova al margine del quadro che ritrae un ameno paesaggio marino, e
rivolge il suo sguardo verso un altrove indefinito, volgendo le spalle alla
scena dipinta. Nello stesso modo il protagonista di questo libro proietta uno sguardo
laterale agli eventi, e appare sempre in terza persona (lui). Gli occhi rossi
del piccione (titolo di uno dei racconti) non ci abbandonano nel corso dei
singoli testi perché indicano il destino di ogni creatura vivente. La
sofferenza e la morte sono presenti fin dagli albori della vita. Vengono in
mente i versi leopardiani del Canto
notturno di un pastore errante dell’Asia: “Nasce l’uomo a fatica, / ed è
rischio di morte il nascimento”, oppure le pagine dello Zibaldone relative al giardino: “Entrate in un giardino di piante,
d’erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagione
dell’anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi
troviate del patimento. (…) Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato
la vita; si corruga, langue appassisce…”.
Tornando
al libro di Vidale, l’impianto narrativo si basa inizialmente su di una
fotografia che ritrae la madre del protagonista al mare, in giovane età. Da qui
inizia la rievocazione della gita a Venezia, turbata dalla presenza della
morte, motivo ricorrente in numerose altre prose, caratterizzate da uno stile
asciutto, essenziale, privo di inutili orpelli. Ogni verbo, aggettivo,
sostantivo ha una sua funzione precisa, lontana da retorica e sentimentalismo. Un
grande lavoro di revisione e di “lima” si intuisce da tutto il contesto. Alla
base di una originale capacità di delineare situazioni, ambienti, personaggi si
coglie la lezione dei classici da Luciano di Samosata, per la dimensione
ironica, alle pagine di Emilio Cecchi, e Massimo Bontempelli. L’autore non
aderisce al realismo magico, ma, per mezzo di paradossi e capovolgimenti
inaspettati nei finali, crea atmosfere di sottile angoscia, superando un
approccio denotativo. Molto significativi La
zingara, In metro. Non è facile, in poche righe, rendere quasi palpabili
alcuni particolari delle figure presentate e farci emozionare e sorprendere. Non
accetta visioni consolatrici di matrice trascendente; desidera solo una sorta
di Paradiso terreno in cui rivivere
le ore più belle passate con le persone care. Ripensa al difficile rapporto col
padre, nonostante la stima che provava per lui. Per entrambi sembrava
impossibile dialogare serenamente per le differenti posizioni ideologiche ed
esistenziali. Un certo rimpianto emerge per non essersi capiti, visto che la
memoria continua a lavorare in assenza dell’altro, scomparso per sempre. Narrare in terza persona permette
di dominare meglio stati d’animo, evitando un coinvolgimento che può togliere
vigore all’efficacia dell’intreccio e alle riflessioni suggerite. Certi
particolari, come il rito funebre o considerazioni di chi preferisce i funerali
ai matrimoni dimostrano come l’autore rifiuti un mondo di convenzioni e di
ipocrisie. L’interesse per la fotografia, fonte di ispirazione di molti testi,
rientra nella scelta di una poetica che trae alimento da elementi concreti per
poi ricostruire una storia e possibili
interpretazioni.
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