LETTERE DAL SUD
di
Zaccaria Gallo e Anna Rutigliano
Famme
Caro Direttore,
ci siamo messi in macchina l’altra sera, per lasciare alle
spalle, le nostre due città, Corato e Bisceglie, stremate da un luglio torrido,
che ha avuto punte di caldo fin quasi ai 40 gradi. Ci siamo, dunque, messi in
macchina e ci siamo diretti verso l’interno delle nostre due province, il Parco
dell’Alta Murgia, quel Parco meraviglioso, dominato dall’alto, da quel Castel
del Monte, su cui ogni sera è possibile vedere, dietro una delle sue grandi
finestre accese dal sole che tramonta, lo sguardo vigile e sempre attento di
Federico II. Ci siamo diretti verso una masseria, la Masseria Cariati, sempre
nel territorio di Andria, una delle tante masserie che punteggiano il nostro
territorio, e che conservano ancora il ricordo di quello che è stato, per
centinaia di anni, il lavoro nei campi da parte dei contadini, legati alla
terra come schiavi, dominati da padroni che potevano essere i signorotti nobili
o i vescovi della Chiesa Cattolica; sfruttati, poveri, sempre preda della fame
e della sete, perché in Puglia, caro Direttore, c’è sempre stata la sete e
l’acqua era, ed è ancora oggi, il bene più prezioso che si possa desiderare.
Quella sera in un Evento-Concerto musicale e vocale, avremmo rincontrato due
grandi protagonisti della scena culturale italiana degli ultimi anni: Pino
Daniele (a venti anni della sua scomparsa) e Massimo Troisi. Nessuno di noi,
però, avrebbe potuto immaginare la grandissima emozione che avremmo provato,
nel momento in cui, sul palcoscenico, è salito Giancarlo Giannini (che ha
conosciuto entrambi i due artisti) e di
cui non dirò assolutamente nulla, perché tutti, credo, sanno chi è Giancarlo
Giannini e che eco lasci in ognuno di noi la sua voce, una volta ascoltata. Nel
corso del suo intervento, Giancarlo Giannini si è soffermato su Massimo Troisi,
iniziando con il racconto del loro primo incontro. L’attore era a Napoli,
quando Massimo Troisi chiese di poterlo incontrare, cosa che avvenne mentre
Giancarlo Gianni stava registrando delle poesie. Massimo fu immediatamente
conquistato da quelle poesie e, da quel momento, fino alla fine della sua vita
(quel suo sacrificio, per portare Neruda sullo schermo con il Postino!), coltivò un amore profondo per
la Poesia, quella stessa di cui Giancarlo Giannini ne lesse alcune, quella
sera, dedicate alle donne. So, caro Direttore, che in una sua lettera Anna
Rutigliano, nel descrivere le sue emozioni, poneva alla fine della sua lettera
una domanda: chi sono le donne per Massimo Troisi, amico del cuore di Pino
Daniele? Non è facilissimo rispondere a questa semplice domanda. Nel suo film, Scusate il ritardo, Troisi interpretava
Vincenzo, un uomo titubante, timoroso di tutto. L’indecisione e la
superficialità amorosa caratterizzavano questo personaggio. Quanto emblematico?
Quanto reale? In realtà Anna Pavignano, parlando del suo amore per lui, ha
rivelato che la sua storia con Massimo, lei donna del Nord, l’aveva portata a
capire e poi ad amare il Sud e la sua concezione dell’amore. Due personalità
che, sulla carta, sembravano essere molto differenti, si sono poi completati a
vicenda, per aver condiviso lo stesso orizzonte di emozioni. Massimo era una
persona delicatissima, aggiungerà poi la sua ultima compagna, Nathalie
Caldonazzo. Negli ultimi tempi vedrà la paura della morte dipingersi sul suo
volto e dirà che, nel loro amore, si inserì un’ombra: il rumore quasi metallico
del suo cuore malato. Ecco: nel rispetto delicato della donna da amare,
nonostante le diversità e le avversità, forse c’è la risposta più giusta alla
domanda di Anna.

Massimo Troisi

Tra gli alberi e le pietre di quella masseria, cullati da un
dolce vento ristoratore, generato dalle erbe delle colline vicine, sotto la
luce di una luna non ancora piena, abbiamo capito che la cultura, tutta, anche
quella popolare, sempre, comunque, dovunque, in qualsiasi modo, è l’antidoto
fondamentale contro qualsiasi forma di violenza e disumanità, contro qualsiasi
guerra e odio. L’arte, la scrittura, la musica, il teatro, il cinema, quando
sono liberi, sono contro qualsiasi regime di oppressione. Pino Daniele era
conosciuto come il gigante con gli occhiali e la chitarra, un poeta scorbutico,
con una voce improbabile, che parlava solo napoletano, uno di quegli artisti
cui non credeva nessuno ma che, quando scrive I’ so’pazzo, viene riconosciuto da tutti, perché parla di un uomo
che finge di essere pazzo, così da non poter essere né giudicato, né accusato
di nulla e può permettersi di dire tutto quello che la liberà gli consente.
Pino Daniele e Massimo Troisi, due Lazzari che il destino ha legato a doppio
filo, perché ambedue sapevano che il tempo che era stato loro concesso era un
tempo a breve, e che sarebbero morti giovani e tutti e due a causa di una
malattia di quel cuore, che era lo stesso cuore, che li legava al cuore della
loro città. Massimo Troisi ha stravolto le regole del proprio dialetto, come in
quegli anni aveva fatto anche Pino Daniele. Entrambi avevano introdotto una
forma completamente diversa nella musica e nel dialetto napoletano: il dialetto
napoletano era diventato un blues, una di quelle voci del Tennessee, della
work-song, che risuonavano nell’America schiavista degli oppressi. Pino e
Massimo innalzavano così l’idioma napoletano alla stregua del jazz, fatto di
improvvisazione, di note leggere, sfuggenti, di ripetizioni, con voci che,
all’apparenza, erano strampalate, ma che hanno creato un sound, una melodia che
ancora ci accompagna, in una di quelle pause della nostra vita che è il
silenzio, così simile al silenzio interposto fra le strofe di una poesia, e che
ci consente di capire che la cultura, tutta, è una delle armi fondamentali per
aiutare l’umanità a contrastare la disumanità di oggi.
Z. G.
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Le Donne di Daniele e Troisi fra mito e realtà