CINEMA
di Marco Sbrana
Marcello è
un uomo che si sottomette alle lune storte di chi ha più muscoli; è uno
sconfitto che si muove, figura magra, emaciata silhouette, in spazi derelitti
come derelitto è il mondo che lo attornia. Ma, e questa sarà la forza del
finale, Marcello è puro, incontaminato. Si prende cura della figlia adempiendo
al dovere di padre separato; non rivendica; non si lagna della penuria. Si cura
dei cani che sono figli suoi, i suoi “amori”. La subalternità del personaggio
rende il corpo attoriale di Fonte perfetto: voce stridula, volto storto, come
un Quasimodo senza gobba, debole, ferito ma sempre gentile. L’opera è pervasa
da un generalizzato nichilismo: homo homini lupus hobbesiano
nell’ecosistema del quartiere, da cui non si esce mai, che diventa la gabbia di
Marcello e compagnia, come per i cani le gabbie dell’attività “Dogman”. Non una
volta che Garrone conceda respiro. Mai che la camera si distacchi troppo dai
personaggi; macchina che, invece, li segue ravvicinata, con l’effetto di
sporcizia che si amplifica dal momento che ci vengono esposti con violenza i
volti franti, alla Belmondo senza fascino, dunque solo fratturati e cagneschi,
dei criminali borgatari. Nel mezzo dell’orrore che Simone incarna (è capace,
quasi mostro della Universal, di spaccare a testate un’antipatica slot-machine
che gli ha rubato i soldi), Marcello è il santo redentore, figura messianica
pura e a tratti idiota, un misto tra il principe Myskin di Dostoevskij e un
bambino che sembra aver visto solo gli aquiloni e che, pure nel fango, solo
aquiloni vede. Ma il rischio della bontà è farsi trascinare, è l’impossibile
“No”. Simone si presenta da Marcello e lo assolda per una rapina da cui
Marcello non ricava che una collana valutata 150 euro dal compro oro. In più, a
fine “missione”, Marcello è dovuto correre a casa delle vittime, perché l’amico
di Simone, il vero cane, il vero pitbull, ha messo nel freezer il barboncino
che non quietava l’abbaiare. E Marcello lo ha salvato con acqua calda,
massaggio cardiaco e alitate.
Simone e
Marcello approfondiscono il legame quando, per esempio, dopo il night club dove
Simone l’ha portato (sempre facendo capire al nostro chi è il padrone e chi il
servo), sparano a Simone e Marcello lo salva grazie alle competenze che mette
in pratica coi cani. Colori seppia, realismo terminale, gli echi pasoliniani
abbondano. Poi, il troppo.
Simone vuole
fare un buco nel muro della toelettatura per entrare nel compro oro. Marcello
si rifiuta, lo conoscono tutti in quartiere, gli vogliono bene, è l’unica casa
che ha. E Simone se ne fotte, gli promette denaro e, minacciandolo di mazzate,
dice a Marcello di obbedire. Ma quando poi Marcello si ritrova a dover collaborare
coi poliziotti, avveduti del fatto che il crimine è stato commesso da entrambi
ma che Marcello è stato costretto, il Myskin proletario non fa il nome di
Simone.

Matteo Garrone
È la
dipendenza reciproca, è la paura di ritorsioni, è l’ancestrale e vetusto
sentimento di “non dover tradire un amico”, anche quando questo amico ti
minaccia e ti promette denaro che, quando torni in quartiere un anno dopo, non
vuole darti. Per Marcello, dopo l’anno di carcere, la vita si è estinta.
Sbattuto fuori da ogni bar e ostracizzato dai borgatari, ogni bontà in lui si
spegne.Ha un piano, dice a Simone a cui ha appena regalato della cocaina
purissima (Marcello lo rifornisce da una vita, acquistando la droga da terzi).
Far venire da “Dogman” i trafficanti, e insieme pestarli quando si girano per
pesare il carico. Simone accetta. Ma gli tocca anche accettare di nascondersi
in una gabbia per cani. Reticenza; insistenza di Marcello; reticenza;
insistenza di Marcello. Che finge i pusher siano arrivati per mettere fretta al
pitbull che, forse odorando il sangue che verrà, si prepara a pestare, salvo
prima chiudersi nella gabbia che Marcello serra con il lucchetto. Marcello non
è più Marcello. La voce acuta è la voce di un uomo distrutto che ora distrugge,
e che sevizia, e che tortura, perché ha subito troppo. Ma Simone è forte,
riesce a liberarsi; Marcello, però, gli dà un colpo in testa. E lo cura (ecco
di nuovo la simbiosi tra i due, il desiderio del piccolo Marcello, dello
striminzito Marcello di farsi accettare dal titano), ma lo uccide anche, dopo
che gli ha legato alla gola una catena infissa sul muro, quella per i cani più
feroci.
