di Franco Astengo
Riprendiamo di seguito
una nota introduttiva riguardante il testo: Fascismo e antifascismo. Storia,
memoria e culture politiche di Alberto De Bernardi, già presidente nazionale
degli Istituti Storici della Resistenza.
“La
vittoria elettorale della destra populista il 4 marzo 2018 ha sortito, tra gli
altri, l'effetto di reintrodurre prepotentemente nel dibattito pubblico la
parola «fascismo», attribuendole una nuova attualità come esito possibile della
crisi politica italiana e facendo riemergere, soprattutto nella sinistra, la
chiamata alle armi sotto la bandiera dell'antifascismo. La contrapposizione
fascismo/antifascismo, come non accadeva dagli anni di Tangentopoli, ha
riassunto i caratteri di una chiave di lettura per il tempo presente, capace di
proiettarsi anche in una dimensione europea. La forza di questo paradigma si
traduce in una sovraesposizione dell'uso pubblico della storia, con costanti
riferimenti alla Resistenza, alla crisi del 1920-1922, al duce, al razzismo, al
neofascismo. La storia torna a essere - come in altre fasi critiche della
vicenda repubblicana - uno strumento di lotta politica, con tutto il carico che
questo comporta in termini di semplificazioni, strumentalizzazioni, rimozioni e
a volte mistificazioni, che rischiano di inficiare la comprensione della
realtà. Scopo di questo libro è fare chiarezza cercando di diradare la nebulosa
di incrostazioni ideologiche e di false concettualizzazioni che innervano l'uso
della storia nel dibattito pubblico e nella lotta politica. Tornano essenziali,
a questo fine, i risultati più maturi della ricerca storica, che in questi
ultimi anni ha elaborato nuove conoscenze e griglie interpretative del fascismo
e dell'antifascismo, in grado di contrastare i forti rischi insiti in quel
paradigma. Alberto De Bernardi ricostruisce l'itinerario storico nel quale
questa coppia di opposti ha dominato la vita politica e civile dell'Italia,
assumendo di volta in volta connotazioni e significati assai diversi. Si parte
dalle origini, tra il 1920 e il 1924, in cui le due parole entrano nel lessico
della politica italiana ed europea; si prosegue con gli anni trenta, l'epoca
dell'egemonia del fascismo in Europa e della sconfitta dell'antifascismo; si
passa poi agli anni tra il 1943 e il 1948 con il collasso del fascismo e la
nascita della Repubblica fondata sulla Resistenza e sulla Costituzione
antifascista; si ricostruisce lo scontro tra fascismo e antifascismo negli anni
del terrorismo e dell'«attacco al cuore dello Stato»; per arrivare infine alla
crisi della prima Repubblica, da cui prende le mosse una lunga fase dominata
dal «post», tra cui anche il post-fascismo e il post-antifascismo, alla ricerca
irrisolta di una nuova identità repubblicana. Alla fine del percorso, il
lettore avrà acquisito una preziosa «cassetta degli attrezzi», utilissima per
leggere il presente fuori dagli stereotipi, dai riflessi condizionati, dalle
retoriche”.
Al
riguardo del testo di De Bernardi è bene precisare subito che non possono
essere messi in discussione il valore storico e l’attualità politica
dell’antifascismo.
Il
tema è naturalmente di grande attualità e si accompagna a quello della crisi
della democrazia liberale.
Crisi
dovuta anche al ritorno in campo dell’accoppiata “amico/nemico” di derivazione
schmittiana che ha portato al superamento di quel “politically correct” che
sembra ormai essere diventata cifra abituale nel confronto politico.
Per
avviare un ragionamento di merito va, prima di tutto, tenuto ben conto del fatto
che debba essere mantenuto l’intreccio storia / politica e del come esista e
permanga quell’“uso politico della storia” che viene utilizzato da più parti e
non certo a senso unico (anche chi ne proclama la necessità del superamento non
fa altro che reiterare proprio “l’uso politico della storia”).
Premesso
questo è il caso di precisare alcuni punti.
Da
dove deriva, infatti, la riattualizzazione, in particolare nella situazione italiana,
del confronto fascismo/antifascismo?
Prima
di tutto dall’emergere nel dibattito politico di alcuni punti distintivi che
vanno attentamente analizzati:
1) Razzismo. E’
indubitabile che esista e si stia affermando, anche e soprattutto a livello di
governo, una politica che non può che essere giudicata come razzista. Una politica
che si esercita soprattutto nell’identificazione del “diverso” e
nell’affermazione di un presunto primato per “alcuni” che poi si traduce
concretamente nei tentativi, non sempre riusciti, di respingimento dei migranti
oppure in provvedimenti come quelli assunti attraverso il cosiddetto “decreto
sicurezza” attraverso i quali, però si rischia di incentivare la clandestinità
fattore propedeutico dell’insicurezza per tutti. Razzismo che si è ancora ben
espresso in queste ultime ore a Roma con lo sgombero dei migranti dal centro di
Baobab. Sgombero per il quale si è proceduto usando i mezzi blindati della
polizia mentre qualche giorno prima lo sgombero che sarebbe dovuto svolgersi
nell’immobile occupato da Casa Pound in pieno centro di Roma è terminato , come
si diceva una volta, a tarallucci e vino;
2) Militarismo. Questo
potrà apparire un punto secondario, ma non è così. Ne abbiamo avuto la riprova
ascoltando determinati accenti, soprattutto provenienti dall’ambiente militare,
in occasione della ricorrenza del centenario del massacro collettivo denominato
“Prima Guerra Mondiale”: Abbiamo anche sentito l’espressione di idee
riguardanti il ripristino della leva militare obbligatoria intesa come
strumento di “educazione nazionale” per le giovani generazioni. C’è n’è da
vendere per considerare pericoloso questo “militarismo” di ritorno;
3) Politiche sociali.
Sotto quest’aspetto si torna indietro anche rispetto al clientelismo DC, del
quale pure si scorgono tracce evidenti. Siamo di fronte ad una generalizzazione
dell’assistenzialismo, introdotto come filosofia di vita attraverso una
proposta di reddito di cittadinanza che è stata intesa e ha prodotto consenso
proprio perché valutata di mera assistenza. Tanto è vero che si sta cercando
frettolosamente di porre riparo. C’è poi il capitolo doloroso della politica
della famiglia e della natalità emblematizzata dalla proposta del “pezzo di
terra” per chi mette in cantiere un terzo figlio tra il 2019, 2029, 2021. Roba
da “Agro Pontino” e da “battaglia del grano”, tanto per intenderci. Sul piano
culturale, si direbbe quasi antropologico ci troviamo orami davvero sull’orlo
dell’abisso;
4) Comunicazione. Come
scrive oggi, 14 novembre, Vincenzo Vita sulle colonne del “Manifesto” circola
l’idea del “senza dio” e “senza legge” per i dati naviganti in rete e quindi la
“non sopportazione” degli apparati comunicativi la cui decostruzione appare
come la premessa indispensabile per l’apoteosi tra l’uno e la folla, il capo
verso la moltitudine aclassista e omologata. C’è da notare, in questo, come si
sia verificato un salto di qualità rispetto a quando, poco tempo fa, il tema
della comunicazione era affrontato attraverso l’accumulo di proprietà di TV e
giornali, che aveva caratterizzato l’era definita sbrigativamente come del “berlusconismo”.
5) Autoritarismo. Il tutto
è condito da una crescita verticale nella presenza dell’autoritarismo nella
vicenda politica italiana. La tendenza all’autoritarismo nasce, è bene
ricordarlo, fin dagli anni’80 del XX secolo quando si cominciò a parlare,
scrivere e praticare di “decisionismo”. La linea era già stata tracciata
allora: la complessità della domanda sociale, frutto della crescita degli
anni’70, andava tagliata riducendo lo spazio tra di essa e la politica
(Luhmann). Per fare questo occorreva un di più di segno del comando da
realizzarsi attraverso la personalizzazione. Più o meno la ricetta degli
anni’20, mutatis mutandis. Oggi il tutto appare ulteriormente esasperato, dopo
i venti anni di bipolarismo temperato fondato soprattutto sull’ esasperante
esibizionismo dei singoli e sull’incapacità (reciproca da parte dei due poli)
di leggere l’allargarsi e il trasformarsi delle contraddizioni sociali dentro
la crisi. In
questo quadro, del resto esposto con assoluta schematicità, appare proprio il
caso di tenerci le “pericolose incrostazioni insite nel paradigma “fascismo
/Antifascismo”, denunciate incautamente da De Bernardi mantenendo stretta la concezione del valore
dell’Antifascismo. Valore
dell’Antifascismo quale elemento d’identità indispensabile tale da consentirci
sia sul piano storico sia su quello politico, di stare agganciati a spirito e
lettera della Costituzione Repubblicana. Che
sia proprio la Costituzione nuovamente il bersaglio di queste operazioni di
taglio revisionista?