di Angelo Baracca
Comincio dalle cose che possono essere più
immediate, senza nessuna ambizione di esaurire i problemi. La perdita di
biodiversità è indubbiamente ben presente ai movimenti ambientalisti: ma il
problema non si riduce certo al riscaldamento globale o alla CO2.
Sono responsabili fattori molteplici di inquinamento, sfruttamento e
contaminazione che sconvolgono e riducono gli habitat naturali: la drastica
riduzione degli insetti è evidente (20 anni fa il parabrezza dell’auto si
oscurava per gli insetti spiaccicati, oggi non più), gli allarmi per la
riduzione degli insetti impollinatori si susseguono (Einstein diceva che se
scompariranno le api l’umanità non sopravvivrà), le specie in pericolo di
estinzione si moltiplicano, un autorevole lavoro dell’Accademia delle Scienze
Usa denuncia il rischio di una sesta estinzione di massa. La pesca
indiscriminata sta impoverendo i mari, e compromettendo l’alimentazione di
intere popolazioni a vantaggio della grande industria alimentare.
L’abuso sconsiderato di pesticidi
dell’agrobusiness è ben presente ai movimenti, e non è direttamente legato alle
emissioni di CO2: ed è un fattore fondamentale dei processi di
desertificazione, come pure la contaminazione delle acque, che diventerà sempre
più un’emergenza umanitaria (che colpisce in primo luogo le popolazioni
povere). Lo stesso dicasi per le plastiche, che sono certo un prodotto della
civiltà del petrolio, ma che continuerebbero ad avvelenare la catena alimentare
anche se azzerassimo dall’oggi al domani le emissioni di CO2. Più in generale il problema dell’accumulo
insostenibile di rifiuti è un problema che ha certamente legami con le
emissioni di CO2, ma richiede misure specifiche. Un altro problema di gravità epocale è l’aumento
scandaloso delle disuguaglianze, che è senza dubbio legato agli sviluppi del
capitalismo insaziabile, ma non è direttamente riconducibile al riscaldamento
globale.
L’insieme di tutti i fattori e le loro sinergie
stanno provocando danni alla salute a livello globale, che non sono riducibili
al riscaldamento globale. Da una ventina d’anni si è imposto il concetto di
“rivoluzione epidemiologica del 20o secolo”, un cambiamento radicale
dello stato di salute della popolazione mondiale, principalmente nei paesi
sviluppati: un secolo fa 50% dei decessi erano dovuti a patologie infettive
(tubercolosi, diarrea e patologie gastrointestinali e respiratorie, ecc.), poi
sono prevalsi i decessi per patologie cardiovascolari e tumori (circa 30%
ciascuna), e si abbassa l’età della loro insorgenza (anche se nascono nuove
emergenze infettive).
La minaccia di pandemie era stata più volte
agitata anni fa e da tempo non viene richiamata, ma non è affatto scomparsa,
rimane latente a causa delle manipolazioni sempre più profonde della materia
vivente, con la creazione di particelle virali mai esistite nei 4 miliardi di
anni de evoluzione biologica e in grado di saltare da un ospite a un altro. Qui
l’imputato è Big Pharma. Il deterioramento selettivo delle strutture sanitarie,
con le privatizzazioni e speculazioni galoppanti, e l’aggravamento delle
disuguaglianze potrebbero rendere sempre più devastante una prossima pandemia.
C’è poi un problema di fondo che di solito gli
ambientalisti inspiegabilmente ignorano: le attività militari sono un fattore
primario degli sconvolgimenti ambientali, e quando esplicano i loro effetti nelle
guerre provocano sconvolgimenti drammatici, oltre a mietere vite umane (agente
Orange, uranio depleto, ecc.). Collegare i temi e le vertenze ambientali con
gli obiettivi dei pacifisti è una necessità sempre più pressante, che fra
l’altro moltiplicherebbe le forze.
Last but not
least (ma
ovviamente il discorso non si chiude) non si devono dimenticare le
manipolazioni artificiali dell’ambiente che i militari attuano da decenni per
fini bellici, quella che viene chiamata geoingegneria, trascurata sia dagli
ambientalisti che dai pacifisti, su cui tanto ha insistito la rimpianta grande
scienziata Rosalie Bertell (il suo Pianeta
Terra, l’Ultima Risorsa di Guerra). In seno al movimento c’è chi privilegia un
aspetto, chi un altro: qui non voglio pronunciarmi, il mio scopo è di
evidenziare l’insieme di tanti fattori perché superare i settorialismi, o
addirittura le contrapposizioni, è oggi una necessità irrinunciabile in una
sfida in cui è in gioco il destino del genere umano.