BOLOGNA:
LA PROVA PIÙ DIFFICILE PER LA DEMOCRAZIA
di
Franco Astengo
Opera di Max Hamlet Sauvage
2022
Non
lasceremo trascorrere anche questo 2 agosto 2022 senza rinnovare il ricordo
della tragica strage della Stazione di Bologna: quell’esplosione tremenda,
quell’orologio fermo alle 10,25 del mattino, quelle vittime ignare colpite dal
fulmine nel crocevia delle vacanze. Sarà come per tanti altri fatti della
storia d’Italia più recente, che non intendiamo far cadere nell’oblio: fatti
che ci ricordano il doppio stato, i segreti, i misteri che hanno resto la
nostra democrazia, quella scritta nella Costituzione Repubblicana, monca,
distorta, lontana dai reali bisogni delle grandi masse.
Correva l’anno 1980 fu messa alla prova la democrazia e che si concluse con i
35 giorni alla Fiat e la marcia dei cosiddetti “quarantamila”.
In quel 1980 si mise in evidenza, almeno agli occhi degli osservatori più
attenti ma inascoltati, non tanto il “ritorno” al terrorismo fascista (che pure
si era verificato) ma l’esigenza di una “teoria politica del terrorismo” che,
almeno da Piazza della Fontana in avanti, aveva rappresentato uno degli
elementi costitutivi della gestione del potere nel nostro Paese.
Furono svolti alcuni tentativi di analisi in questa direzione, di collegamento
tra il terrorismo stragista di evidente matrice “nera”, i servizi segreti, la
massoneria occulta della quale la Loggia P2 appariva come l’espressione più
evidente .
Il 1980, sempre per cercare di non dimenticare, fu anche l’anno in cui Sergio
Turone e Gherardo Colombo scoprirono gli elenchi di Castiglion Fibocchi che
comprendevano anche le prove del collegamento tra P2 e Mafia, attraverso logge
coperte siciliane provviste anche di diramazioni nel Ponente Ligure: tanto per
ricordare che, quanto alla mafia al nord, nessuno ha scoperto nulla di nuovo. Altri
denunciarono il fatto che, in quella direzione, non si fosse mai svolta una
valutazione di fondo: il Centro di Riforma dello Stato, diretto da Pietro
Ingrao, convocò un convegno su questo tema, proprio ad Arezzo; alcuni
coraggiosi tentarono analisi anche in sede locale.
Intanto che le indagini sulla strage marcavano il passo qualcuno rispose che
sarebbe stata sufficiente la riforma dei servizi segreti e che una collocazione
diversa della sinistra nel quadro politico (c’erano già stati il “governo delle
astensioni” e la “solidarietà nazionale”) avrebbe rappresentato un’ulteriore
garanzia per il successo dell’operazione di riforma che tendeva a cambiare il
modo di agire d’interi pezzi dello stato e che, comunque, il terrorismo nero,
cui si era accompagnato quel tipo di attività dei servizi di sicurezza fosse
ormai in declino, se non addirittura in via di estinzione.
Di fronte a questa sconcertante analisi che pure, a sinistra, ebbe piena
cittadinanza, si replicò – pur nel rischio di rimanere profeti inascoltati – al
riguardo della necessità di vedere lo stragismo attraverso una nuova lente, da
parte di una sinistra istituzionalmente matura e capace di vedere lo spessore
del meccanismo statuale, che riproduceva abilmente se stesso attraverso
l’espansione dei corpi separati, aggiungendo come, almeno da Piazza della
Fontana in avanti, analizzando i passaggi procedurali si poteva ben vedere come
vi fosse stata una gestione politica dei procedimenti.
La sinistra, all’epoca, sulla base di queste analisi avrebbe dovuto elaborare
un’idea di riforma dello Stato non attraverso una serie di “elemosine
riformistiche”, ma realizzando, non tanto e non solo una magari ottima serie di
proposte di legge, ma lavorando a realizzare una trasformazione radicale del
quadro politico.
Al centro, insomma, doveva ritornare, secondo questa ipotesi, il tema della
“volontà politica”. Ciò non avvenne, per molteplici ragioni che non ho qui lo
spazio per analizzare e che comunque riguardano l’intero corso della storia
d’Italia, e abbiamo così assistito – da quel fatidico 2 agosto 1980 – al
realizzarsi progressivo di quel meccanismo di autoritarismo, negazione della
democrazia, affermazione di poteri occulti contenuti proprio nel documento
sulla “Rinascita Nazionale” elaborato nel 1975, proprio dalla Loggia P2 di
Licio Gelli, che in tempi successivi tornò a sostenere che la strage non c’era
mai stata. Memoria, quindi, assolutamente da mantenere accompagnata da un’
analisi di ciò che è stato allora rispetto alla realtà del nostro sistema
politico e di ciò che sta avvenendo adesso in un quadro di pericolosa presenza
di tentativi limitazione dell’agibilità democratica.
Vale la pena ogni volta che si scende alla stazione di Bologna, fermarsi a
leggere i nomi scolpiti nella lapide che ricorda quel tragico giorno: un utile
esercizio della memoria di un momento fondamentale nella storia d’Italia, non
soltanto di tragedia per le famiglie delle vittime ma di dramma per la qualità
della nostra democrazia.
Opera di Max Hamlet Sauvage 2022 |