LA RIVOLUZIONE DEL TRUMPISMO
Ecco
finalmente, e in italiano, il discorso di Todd a Budapest. È un discorso
importante, da leggere per intero, nel quale, da un lato, l’autore ripercorre
il proprio cammino intellettuale e, dall’altro, mette in ordine le pedine del
puzzle internazionale per identificare le tendenze e prevederne l’esito.
Come intellettuale, anche Todd ha una posizione politica - si definisce un
liberale di sinistra - ma l’ideologia e l’impegno politico non lo appassionano.
La sua passione è prevedere il futuro, e nelle vesti di futurologo, egli è,
come gli scrittori di fantascienza, incline a dipingere un futuro distopico -
le previsioni che l’hanno reso famoso sono infatti di decadenze e di crolli, e
quello che appare all’orizzonte oggi è un cataclisma globale. La differenza
dagli scrittori di fantascienza è che lui non lavora di fantasia, ma presenta e
analizza i fatti storici nei loro aspetti più crudi e significativi. Al centro
del quadro c’è la sconfitta dell’America nella guerra alla Russia, e questa
sconfitta è la vera causa immediata della vittoria di Trump. La stessa cosa sta
avvenendo in Europa che ancora non ha preso atto della sconfitta, ma dove il
trumpismo mette in crisi i partiti tradizionali - gli ultimi esempi sono la
Germania, la Romania e perfino l’Inghilterra, patria del bipartitismo,
dove Reform è ora il primo partito nei sondaggi - e con essi
il sistema di democrazia liberale, compromesso con il fallimento
americano. Poiché si tratta di movimenti irrazionali, contraddittori e con
aspetti nichilistici, la previsione non può che essere pessimistica, in
particolare per la debolezza del centro dell'Occidente, gli Stati Uniti, dove,
esaurita l’egemonia protestante, manca un collante nazionale. Todd tocca a
più riprese la questione protestante, spiegando il successo del movimento di
Riforma, in particolare negli Stati Uniti, con argomenti weberiani, ma non la
decadenza, della quale gli evangelicali, compresa la componente sionista,
sono oggi l’esempio più calzante – detto per inciso, essi sono anche un esempio
di come la lettura della Bibbia possa dare alla testa. Non volendo farci
sopraffare dal pessimismo di Todd, chiudiamo con Richard Falk che sollecitato
dai militanti Democratici a prendere posizione contro Trump, lo fa, ma a modo
suo, dicendo loro: d’accordo, ma prima dobbiamo renderci conto che la vittoria
di Trump è l’effetto del fallimento delle ambizioni imperialistiche
dell’America, quindi che è necessario batterci innanzitutto per un nuovo, vero
ordine internazionale, per la pace. Questa è la ricetta di sopravvivenza, o di
rinascita, anche per la sinistra europea. [Franco Astengo]
SOVRANITÀ
NAZIONALI E POPULISMI
di Emmanuel Todd
Siamo in
quella che presto verrà chiamata, o che viene già chiamata, una rivoluzione di
Trump, una rivoluzione del trumpismo. Ma una rivoluzione che segue una
sconfitta militare è un fenomeno storico classico. Ciò non significa che la
rivoluzione non abbia avuto cause interne alla società. Ma la sconfitta
militare ha prodotto una delegittimazione delle classi superiori che ha
spianato la strada a sconvolgimenti politici. Gli esempi storici sono
numerosissimi. Il più semplice e ovvio è quello delle rivoluzioni russe. La
rivoluzione russa del 1905 seguì la sconfitta del Giappone. La rivoluzione
russa del 1917 seguì la sconfitta della Germania. La rivoluzione tedesca del
1918 seguì la sconfitta della Germania nella guerra 1914-1918. Anche una
rivoluzione come quella francese, che sembra avere cause più endogene, seguì di
pochi anni la sconfitta molto significativa dell’Ancien Régime francese nella
Guerra dei Sette Anni, al termine della quale la Francia perse gran parte del
suo impero coloniale. E non vale nemmeno la pena di andare così lontano. La
caduta del comunismo è stata certamente il prodotto di sviluppi interni e dello
stallo dell’economia sovietica, ma è arrivata al termine di una sconfitta nella
corsa agli armamenti e di una sconfitta militare in Afghanistan. Ci troviamo in
una situazione di questo tipo. È un’ipotesi che sto facendo, ma se si vuole capire
la violenza, il rovesciamento, la molteplicità di azioni più o meno
contraddittorie del governo Trump, bisogna vedere la vittoria di Trump come il
risultato di una sconfitta. Sono convinto che se la guerra fosse stata vinta
dagli Stati Uniti e dal loro esercito ucraino, i democratici avrebbero vinto le
elezioni e saremmo in un periodo storico diverso. Possiamo divertirci a fare
altri parallelismi. La guerra non è finita. Il dilemma di Trump assomiglia a
quello del governo rivoluzionario russo nel 1917. Si potrebbe dire che Trump ha
un’opzione menscevica e un’opzione bolscevica. L’opzione menscevica: cercare di
continuare comunque la guerra con gli alleati dell’Europa occidentale.
L’opzione bolscevica: dedicarsi alla rivoluzione interna e abbandonare la
guerra internazionale il più rapidamente possibile. Se volessi essere ironico,
direi che la scelta fondamentale per l’amministrazione Trump è: preferiamo la
guerra internazionale o la guerra civile? L’idea che una sconfitta militare
apra la strada alla rivoluzione ci permette già di capire il divario che esiste
tra americani ed europei. Gli americani hanno capito la loro sconfitta. I
rapporti del Pentagono hanno compreso questa sconfitta. Il vicepresidente
americano, J.D. Vance, nei suoi colloqui con i leader politici, occidentali e
non, ammette questa sconfitta. È normale, l’America è al centro della guerra.
Sono stati il sistema di intelligence e gli armamenti americani ad alimentare
la guerra in Ucraina. Gli europei non sono a questo livello di consapevolezza
perché, pur avendo partecipato alla guerra attraverso le sanzioni economiche,
non erano agenti autonomi. Non sono stati loro a prendere le decisioni e,
poiché non hanno preso le decisioni e non hanno compreso appieno ciò che stava
accadendo da un capo all’altro, non sono in grado di capire la portata della
sconfitta. Ecco perché ci troviamo nell’assurda situazione in cui i governi
europei - penso agli inglesi e ai francesi - che non sono riusciti a vincere la
guerra con gli americani, immaginano di poterla vincere senza gli americani. C’è
un elemento di assurdità. Ma credo che nelle loro menti i governi europei siano
ancora in attesa della sconfitta. Penso anche che sentano che ammettere la
sconfitta produrrà in Europa, come negli Stati Uniti, una delegittimazione
delle classi superiori, una delegittimazione di quelle che io stesso chiamo le
oligarchie occidentali, e che la sconfitta potrebbe, in Europa, come negli
Stati Uniti, aprire la strada a un certo tipo di processo rivoluzionario. Il
tipo di crisi rivoluzionaria di cui parlo sarà il risultato di una
contraddizione che esiste ovunque.
Stati
Uniti: il pozzo senza fondo?
L’esperienza
di Trump è affascinante, e vorrei chiarire che non sono una di quelle élite
occidentali che disprezzano Trump, che nel 2016 pensavano che Trump non potesse
essere eletto. All’epoca tenevo una conferenza e dicevo che Trump aveva una
visione corretta della sofferenza nel cuore dell’America, nelle regioni
industriali devastate, con un aumento dei tassi di suicidio e del consumo di
oppioidi, in questa America distrutta dal sogno imperiale. (Alla fine del
sistema sovietico, anche la Russia era più in difficoltà al centro che alla
periferia). Ho sempre trovato che nel trumpismo ci fossero una diagnosi
ragionevole ed elementi ragionevoli. Vi ricordo i principali. Il protezionismo,
l’idea di proteggere l’industria americana o di ricostruirla, è una buona idea.
Ho avuto l’opportunità, 4 anni fa, di scrivere una recensione molto favorevole
del libro di un intellettuale americano chiamato Oren Cass, The Once and Future
Worker, che ho descritto come la versione civile ed elegante del Trumpismo e
del protezionismo. È un uomo il cui nome si vede sempre più spesso in questi
giorni. È una persona molto stimabile e interessante, molto più stimabile e
interessante di molti intellettuali o politici francesi. Penso anche che il
controllo dell’immigrazione che Trump vuole, anche se lo esprime in modo troppo
violento, sia legittimo. E per concludere con un’allegra nota positiva (non è
un gioco di parole), direi che l’idea di Trump che ci siano solo due sessi
nella razza umana, uomini e donne, mi sembra perfettamente ragionevole, e di
fatto condivisa dall’intera umanità fin dalle sue origini, con la recente
eccezione di alcuni segmenti culturali nel mondo occidentale. Questo per quanto
riguarda la parte positiva, ma ora cercherò di dire rapidamente perché non
credo che l’esperimento Trump possa avere successo. L’esperimento di Trump
combina dimensioni ragionevoli con elementi di nichilismo che avevo già
percepito nell’amministrazione Biden. Non saranno gli stessi elementi di
nichilismo, ma saranno altre tendenze, impulsi di autodistruzione, senza scopo,
che trovano la loro fonte in un disordine molto profondo nella società
americana.
Non credo che la politica protezionistica di Trump sia ponderata. Non sono scioccato dall’idea di aumentare bruscamente le tariffe del 25%. (Siamo saliti molto di più dall’inizio di questa conferenza) Si potrebbe chiamare terapia d’urto. Se vogliamo uscire dal mondo globalizzato, dobbiamo farlo in modo violento. Ma non si è riflettuto, non si è riflettuto sui settori interessati, e a volte mi chiedo se questo aumento delle tariffe, sia un progetto positivo o un desiderio di distruggere tutto che sarebbe nichilista. Ho lavorato sul protezionismo. Ho fatto ripubblicare in Francia l’opera classica sul protezionismo, Il sistema nazionale di economia politica di Friedrich List, il grande autore tedesco della prima metà del XIX secolo. Una politica protezionistica deve dare allo Stato un ruolo nel contribuire allo sviluppo delle industrie che vogliamo lanciare o rilanciare. Ma nella politica di Trump c’è un attacco allo Stato federale, un attacco agli investimenti federali. Tutto questo va contro l’idea di un protezionismo efficace o intelligente. Inoltre, quando i repubblicani parlano di lotta contro lo Stato federale, quando vedo Elon Musk che vuole epurare lo Stato federale, non vedo cose fondamentalmente economiche. Quando si pensa agli Stati Uniti, alle passioni americane, quando non si capisce cosa sta succedendo negli Stati Uniti, bisogna sempre pensare alla questione razziale, all’ossessione per i neri. La lotta contro lo Stato federale negli Stati Uniti non è una politica economica, è una lotta contro le cosiddette politiche DIE, “diversità, inclusione, uguaglianza”. È una lotta contro i neri: licenziare gli agenti federali significa licenziare un numero proporzionalmente maggiore di neri. Lo Stato federale proteggeva i neri e garantiva loro un lavoro.
Il trumpismo di Musk è anche un tentativo di distruggere la classe media nera. Al di là di questo, uno dei problemi del protezionismo di Trump e del suo tentativo di rifocalizzarsi sulla nazione è l’assenza negli Stati Uniti di una nazione in senso europeo. È un argomento di cui è molto facile parlare a Budapest. Se c’è qualcuno che sa cos’è una nazione, sono gli ungheresi. Il sentimento nazionale ungherese è il più chiaro e inequivocabile che abbia mai visto in Europa, e lo si può percepire oggi nella politica molto indipendente del governo ungherese nei confronti dell’Unione Europea. Ma anche i francesi, con le loro élite che si considerano globali e disincarnate, sono fondamentalmente una nazione etnica. C’è un modo di essere francesi che risale a centinaia o migliaia di anni fa. È lo stesso per i tedeschi, è lo stesso per ciascuno dei popoli scandinavi. Le nazioni europee hanno una profondità storica e morale che le rende nazioni in grado di riemergere. L’America è diversa. L’America era una nazione civica. C’era un nucleo centrale dirigente che le dava coerenza, che era il nucleo dei WASP, cioè dei protestanti bianchi anglosassoni, che, anche quando non erano più in maggioranza, gestivano il Paese. Ma una delle caratteristiche degli ultimi 30 o 40 anni è stata la scomparsa di questo nucleo centrale e la trasformazione dell’America in una società altamente frammentata. Mi descrivo come un patriota pacifico, per nulla aggressivo. Un patriottismo radicato nella storia è una risorsa economica per una società in difficoltà. È qualcosa che è ovviamente accessibile agli ungheresi, ai tedeschi, ai francesi, ma non sono sicuro che gli Stati Uniti abbiano questa risorsa.
Concludo questo esame pessimistico delle possibilità di Trump con qualcosa di meno metafisico, meno antropologico: la capacità produttiva. Se si vuole ricostruire un’industria dietro le barriere tariffarie, bisogna essere in grado di costruire macchine utensili. Le macchine utensili sono l’industria dell’industria. Oggi parleremmo meno di macchine utensili e più di robot industriali. Ma per l’America è già troppo tardi. Nel 2018, il 25% delle macchine utensili è stato prodotto dalla Cina, il 21% dal mondo germanofono in senso lato, ovvero Germania, Svizzera tedesca e Austria, e il 26% dal blocco dell’Asia orientale, ovvero Giappone, Corea e Taiwan. Gli Stati Uniti, con il 7% della produzione di macchine utensili, erano alla pari con l’Italia. Non voglio essere antiamericano, ma la Francia è ancora più in basso. Non posso dire quale sarà il destino della Francia in questo senso. Penso che sia un po’ tardi e se dovessi scommettere sull’esperimento di Trump, direi che fallirà. Possiamo quindi immaginare un’America smarrita che torna in guerra perché la Germania sembra pronta a fare la sua parte nella produzione di beni militari e perché i russi sembrano troppo intrattabili. Penso che il desiderio di Trump di uscire dalla guerra sia sincero. Penso che Trump preferirebbe la guerra civile alla guerra internazionale, se fosse una sua scelta. Ma l’America non ha le risorse per tornare a essere una normale potenza industriale. L’America era un impero e tutta la produzione industriale più importante si trova alla periferia dell’impero, in Asia orientale, in Germania e nell’Europa orientale. Il cuore industriale dell’America è vuoto e non credo che con i pochi ingegneri che produce, con le poche macchine utensili che produce, l’America possa riprendersi. Vedo che ho superato i miei 25 secondi, ma vorrei dire un’ultima parola che per me è molto importante e che esprime un’angoscia personale. Qualcosa che non posso giustificare, ma che mi preoccupa, che mi perseguita. L’America era la parte più avanzata del mondo. Ne sono molto consapevole. La famiglia di mia madre era rifugiata negli Stati Uniti durante la guerra. L’America è stata un rifugio sicuro per la mia famiglia, poiché una parte della mia famiglia era di origine ebraica. Il padre di mio padre divenne cittadino americano: era un ebreo viennese, il cui padre era un ebreo di Budapest. L’America era l’apice della civiltà e io vedo questo apice della civiltà crollare.
Vedo che produce
fenomeni di una brutalità e di una volgarità che io stesso, figlio della
borghesia parigina, faccio fatica ad accettare. Penso all’abominevole
spettacolo di Trump davanti a Zelinski… vedo una caduta morale. Ma questa è la
seconda volta nella storia che il mondo occidentale vede la caduta morale del
paese che ne è la componente più avanzata. All’inizio del XX secolo la Germania
era il Paese più avanzato del mondo occidentale. Le università tedesche erano
all’avanguardia nella ricerca. E abbiamo visto la Germania crollare nel
nazismo. E uno dei motivi per cui non siamo riusciti a impedire il nazismo è
che era inimmaginabile che il Paese più avanzato dell’Occidente producesse un
tale abominio. Il mio vero timore in questo momento, al di là di tutti gli
elementi razionali (e ammetto di non avere prove, ho detto che oggi dobbiamo
essere umili di fronte alla storia, che tutto quello che sto dicendo potrebbe
essere sbagliato tra due mesi, tra una settimana), il mio vero timore in questo
momento è che gli Stati Uniti siano sul punto di produrre cose per noi
inimmaginabili, minacce terribili, che saranno abominevoli perché non riusciamo
nemmeno a immaginarle.