CAMPI ELISI
di
Vincenzo Talerico

Gino Meringolo
In
ricordo di Gino, il reichiano.
Il
13 giugno scorso è morto Carmine Meringolo. Noi che frequentavamo i movimenti
libertari e anarchici dalla fine degli anni ’60, a Cosenza e ad Acri, lo
abbiamo conosciuto come Gino; e io lo ritrovai al Circolo Cafiero di Via
Paglietta a Bologna, dove affrontava con interesse gli aspetti “organizzativi”
del movimento, il dibattito su questi aspetti, che erano e sono gli argomenti
sostanziali dello stesso anarchismo, avendo a che fare con l’autogestione delle
lotte che creano la nuova comunità. Lì a Bologna frequentava la facoltà di
chimica industriale e la sua formazione scientifica era evidente nel come
affrontava anche qualunque discorso sociale o politico. Rimasi impressionato
dalle raccolte di “schede perforate” che si portava in borsa assieme a libri di
anarchici e a quelli di Wilhelm Reich. Le prime gli servivano per preparare la
sua tesi di laurea sperimentale, facendo uso del calcolatore elettronico (uno dei
primi e pochi in Italia) che la sua facoltà con parsimonia faceva usare anche
ai laureandi; i libri erano il pane per l’arricchimento della mente, e Gino ne
aveva e ne leggeva tanti. Di Reich, all’epoca, gli piacevano le sue analisi
sulla “funzione dell’orgasmo” e le sue tesi su come la liberazione sessuale
potesse incidere sulla rivoluzione sociale in senso libertario. Erano,
innanzitutto, gli studi sulla psicologia di massa che gli interessavano, quelle
analisi che materializzano nelle dinamiche familiari (patriarcali) e sociali
(stesse strutture autoritarie e militariste in ogni organizzazione) l’ideologia
del fascismo; di quella peste bruna che aveva preso piede nell’Europa
degli anni 20-30, quando Reich la analizzava sul nascere e che in qualche modo
è rimasta tale nonostante le importanti lotte antifasciste.


Wilhelm Reich
Gino
si laurea prima della metà degli anni ’70 e lascia Bologna per tornare in
Calabria a fare il professore di chimica. Ma i suoi interessi principali
rimangono quelli sociali e culturali. Frequenta il gruppo anarchico di Cosenza,
nel quale propone le analisi reichiane. Anzi, in questo periodo Gino
approfondisce anche l’aspetto più terapeutico dello psicanalista “eretico”. E
propone a molti del gruppo anarchico di seguire delle vere e proprie sedute di vegetoterapia,
una tecnica psicoterapeutica con la quale si cerca di agire sui blocchi
energetici che la “corazza caratteriale” crea nel sistema nervoso
vegetativo o viscerale.
Gino
frequenta, nel contempo, altri gruppi reichiani napoletani (a Napoli si
stampava la rivista Quaderni reichiani, dove si svilupparono anche
argomenti di carattere pedagogico, legati all’esperienza dell’Asilo
Libertario creato proprio dal Centro Reich) dove conobbe Federico
Navarro (neuropsichiatra reichiano) e si iscrive ad una scuola di psicoterapia.
Egli stesso “entra in terapia” prima e dopo questa nuova laurea. Quando va in
pensione da professore, inizia a fare lo psicoterapeuta. In quel periodo Gino
ha rappresentato uno dei pochi in Italia che faceva conoscere le teorie reichiane
anche praticandole. Man mano inizia, però, una nuova fase di studi e di
interessi che progressivamente lo allontanano dall’originaria posizione
reichiana e anche da quella anarchica. All’energia “orgonica” (così
coniata da Reich, fondendo i termini di orgasmo e organismo, per
rappresentare l’energia vitale) inizia a sostituire l’idea di spirito,
prima come sinonimo di vita, poi come anima. Così che l’energia propria
di ogni organismo diventa spirito eterno.
A
Reich sostituisce Rudolf Steiner e la sua teosofia. Il suo avvicinamento
ai testi biblici avviene tramite l’interpretazione junghiana degli archetipi,
ma all’analisi del carattere reichiana sostituisce questi archetipi
atemporali (i santi e/o le figure della religione).
Così,
per me, alla lontananza geografica dei luoghi delle nostre vite si accompagna
la lontananza intellettuale. Ciononostante, quando tornavo in Calabria, andavo
sempre a fargli visita; d’estate si ritirava nella casa paterna del Vagno, una
piccola frazione di Acri sulle pendici di Serra di Vuda. Lì lo incontravo e,
mangiando dei frutti o dell’insalata appena raccolti, immancabilmente
discutevamo e, in modo sereno, senza mai alterarsi (era la sua cifra
stilistica), controbatteva alle mie critiche. Il mio anticlericalismo diventava
un’arma spuntata per contrastare i suoi ragionamenti, perché lui mi fermava
subito dicendo che non faceva parte di alcuna chiesa e/o partito; le
argomentazioni atee contro lo spiritualismo venivano ribaltate dal suo discorso
“materialista” secondo cui “l’energia” è parte costitutiva della “materia”.
Quando però le argomentazioni iniziavano ad approfondire la “trascendenza”
delle sue ipotesi, iniziava a non rispondere più in modo diretto, come se
volesse rinviare la discussione e io acconsentivo, nella speranza di riprendere
il ragionamento alla prossima visita. Purtroppo sono passati quattro anni senza
poter riprendere le discussioni e rimpiango di non averlo potuto fare.
