IL NOCCHIERO EPICURO
di Luigi Mazzella

Giacinto Brandi
Allegoria della filosofia
Compendio filosofico ad
uso dei razionalisti.
L’idea di scrivere un breve testo
comprendente una raccolta concisa di informazioni e analisi relative a un
insieme molto ridotto e circoscritto di filosofi che possono essere amati
dai razionalisti mi è stata suggerita da un lettore dei miei libri che,
non a caso, usa lo pseudonimo di Giordano Bruno.
Il consiglio ricevuto mi
ha riportato alla mente un’esperienza culturale dei miei anni
pre-adolescenziali. Nella
biblioteca del mio nonno paterno, esercitavano su di me, giovanissimo virgulto
ma già scolaro attento e versato per gli studi, un fascino del tutto
particolare e insolito: dieci grossi e ponderosi volumi (che oggi sarebbero
considerati: vintage) ben rilegati, con il dorso in pelle di color
marrone scuro e con iscrizioni in oro, intitolati: Usi e costumi di
tutti i popoli dell’Universo, seguito dal sottotitolo: “ovvero storia,
del governo, delle leggi, della milizia, della religione, di tutte le Nazioni
dai tempi più remoti”. Ero attratto da quei volumi e nutrivo per essi un vero
“amore”. Avvertivo un forte interesse nel cogliere il raffronto tra le
condizioni di vita della gente con la mentalità dominante nelle varie
parti del Pianeta.
Mi avvicinavo, senza
esserne consapevole, alla politica nel suo senso più nobile di “filosofia della pratica”.
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Giacinto Brandi Allegoria della filosofia |
Sono nato a Salerno, nel
Sud d’Italia, nella cosiddetta Magna Grecia e mi ha sempre
incuriosito sapere da che cosa nascessero i miei dubbi e le mie perplessità
sulla “cultura” in cui mi sentivo avvolto (costretto a un respiro
corto come quello, nelle fasce rigide, dei neonati, a quei tempi ancora
usuali, almeno nel Meridione d’Italia). Una volta giunto agli studi classici della
mia maturità giovanile, dubbi e perplessità si erano trasformati in un
fastidio, quasi doloroso, che provavo nel pensare alla distruzione del
patrimonio culturale dei sofisti (per le questioni cosmologiche) e dei
filosofi presocratici (per i problemi dell’uomo) che prima di Socrate e del suo
ventriloquo Platone (nonché della immigrazione pacifica, ma ugualmente
“barbarica”, dei dualisti religiosi provenienti dal Medio Oriente) avevano
tentato di avere una visione razionale dell’unico mondo visibile e
tangibile, empiristicamente conoscibile e sperimentalmente verificabile. Naturalmente, intuivo
vagamente che, essendo uno studente modello, sul piano culturale, informativo e
formativo più apprendevo e più mi sarebbe stato difficile liberarmi da un
fardello pesante di nozioni errate e fuorvianti. Oggi, infatti, posso dire che solo
dopo un ostinato e duro work in progress sono approdato alla
visione negativa della vita in un Occidente caratterizzato dalla latitanza della
razionalità; visione che ho trasfuso in tanti i miei libri e in molti miei
scritti (anche se legati a eventi più di tipo giornalistico che letterario
o filosofico). Per comodità dei lettori, la riassumo in breve. Sono convinto che
usi, credenze e costumi dei popoli mediorientali (“barbari”, per i Greci)
e, insieme sia pure in modo distante, le visioni fantasiose (iperuraniche)
di un filosofo, come Platone, con propensioni speculative “dualistiche”
tendenti ad avvicinarsi alle analoghe credenze “mediorientali” (due mondi:
uno visibile e tangibile: l’altro immaginativo e fantasioso) siano divenute una
“valanga” (tendente velocemente ad ingrossarsi) grazie alla scoperta della
“propaganda” realizzata dai religiosi in modo rudimentale con le prediche, gli
apologhi, le parabole, le favole edificanti e via dicendo e dai laici con
la furbesca e subdola invenzione dell’autoritario Platone
dell’Accademia (oggi: Università), una schola avente, in
buona sostanza, un duplice fine:
a) sbertucciare, per
ridicolizzarne il pensiero e il ricordo, con aneddoti ameni, i filosofi
presocratici e sofisti (diversi da lui, sommo e ineguagliabile), dandone una
visione divertente con aneddoti inventati (Anassimandro e i
pantaloni nel caos da lui scoperto come origine di tutto; Eraclito e
l’elogio del forno in luogo di un’eterna combustione; Diogene con
la lanterna alla ricerca dell’Uomo; Zenone di Cizio,
stoico, abbracciato a una colonna fredda; Pitagora, il valore dei
numeri e le bollette esose; Protagora, il relativismo e le tasse da
pagare; Gorgia, “l’ars oratoria” e la difficoltà di trovare
lavoro e via dicendo), e a stabilire la fissità e immutabilità del suo
pensiero con il giuramento degli scholari in verba magistri (se volevano fare carriera);
b) cancellare del
tutto le caratteristiche di una “civiltà” veramente degna di tale nome,
considerando le sue elaborazioni dottrinarie “materialistiche” e
“relativistiche” (e tali accuse sono frequenti e ricorrenti ancora oggi, nel
linguaggio passionale dei credenti - o creduloni - di ogni specie) oltre
che pericolose per il mantenimento dell’ordine tradizionale, religioso,
giuridico, sociale e democratico.

Epicuro
Oggi, lo stato delle
cose è questo: il pensiero assolutistico si è imposto e ha sostituito gli
usi e i costumi dei nostri antenati, fuorviandone l’antica tendenza al
raziocinio. È
un tipo di pensiero (quello assolutista) che induce chi crede di
essere “privilegiato” possessore di comportamenti da padrone incontestabile, da
despota che ha il diritto di pretendere che la sua sola volontà sia regola per
tutti; da intollerante, che non accetta e non ammette in altri idee,
convinzioni e opinioni contrastanti o solo diverse dalle proprie; da ostinato
che rifiuta ogni discussione e pretende di imporre con intransigente
fermezza una esagerata affermazione della propria autorità. Il punto
di arrivo del pensiero assoluto è il prodotto di un’astrazione, ed è quindi
privo di ogni corrispondenza con la realtà oggettiva e con i dati dell’esperienza
sensibile: si nutre di fantasie campate nel vuoto e non dimostrabili, di utopie
sognate e sperate che agli occhi e alle orecchie di persone concrete e
razionali appaiono come farneticazioni demenziali. Il pensiero
assolutista, nelle sue varie e diverse configurazioni, permea tutta la
cosiddetta “cultura” occidentale.
Da qui la domanda del
lettore circa un “compendio” che dovrebbe indicare: chi imbarcare sulla nave
della razionalità, “arca laica” del buon senso smarrito? Tento di dare una
breve e concisa risposta.


Spinoza
In primis, sofisti e
presocratici, lasciando a terra Platone, Aristotele, i loro scholari dell’altro
ieri, gli idealisti hegeliani di ieri e di oggi (compresi i sedicenti
“liberali” sia di destra - in Italia: Gentiliani filo-fascisti - sia di
sinistra - in Italia: Crociani pseudo-progressisti). In secondo luogo,
dare il timone dell’Arca, come affidabile nocchiero, a Epicuro, il più
svillaneggiato, ingiuriato, offeso, diffamato e temuto dai conformisti di ieri
e di oggi perché considerato il più lucido pensatore mai comparso sulla Terra
(che egli non considerava luogo “di lacrime” e di transito verso la vita
eterna ma di possibile “gioia”). Secondo Epicuro la vita può dare
felicità se si impara a stare bene con se stessi: solo l’imperturbabilità consente,
infatti, un’autentica libertà. A differenza di quanto hanno tramandato ai
posteri i suoi feroci detrattori, Epicuro affermava che uno stato di equilibrio
e di serenità poteva conseguire solo a una vita vissuta con moderazione, saggezza
e chiara visione della natura umana.


Schopenhauer
Dopo l’avvento della
follia religiosa mediorientale (con i suoi tre monoteismi) e quella filosofica
post platonica e idealistica tedesca (con nazi-fascismo e
social-comunismo) chi si potrebbe imbarcare sull’Arca (che diremo di
Epicuro)? Posso
porre solo alcune domande e lasciare ai lettori la risposta: Forse, Baruch Spinoza, che
dopo avere affermato che la ragione deve sempre prevalere sulle passioni, a
differenza degli Stoici che vedevano il Logos informare e pervadere il
mondo, sostiene che tutto è Dio e in Dio, la cui esistenza con la Ragione ha
ben poco da spartire? O Arthur
Schopenhauer, il cui pensiero del “mondo come volontà e rappresentazione” (il
mondo è ciò che ciascuna persona vede per il tramite della sua volontà)
recupera elementi dell’illuminismo (con la sua coda del tutto irrazionale del
Terrore), della filosofia di Platone, del romanticismo, dell’idealismo, a
dispetto del proclamato ateismo? O Giacomo Leopardi, che, a parte ogni
valutazione del suo pessimismo cosmico (il dolore come condizione universale e
inevitabile dell’esistenza), esalta l’importanza e la rilevanza
dell’immaginazione e del bello poetico che sono espressione non di
razionalità ma di pensiero come fantasia?
