RISCOPRIRCI
INSIEME A TUTTI GLI ALTRI
di Chiara Landonio

Perugia per Gaza
Dobbiamo
fare un passo in più, un passo che ormai sento necessario: cominciare a pensare
che il genocidio in corso a Gaza non è causato solo dal sionismo, dallo stato
di Israele o dal governo Netanyahu. Queste affermazioni ci inducono di nuovo a
dividere il mondo in buoni e cattivi: sono gli altri che stanno compiendo
queste efferatezze, complici anche i nostri governi, ma noi siamo la parte
buona, la parte che denuncia il genocidio. Ricordiamo la frase di Merz di pochi
mesi fa? “Lo stato d’Israele sta facendo il lavoro sporco per l’Occidente”:
frase terribile, ma sulla quale dobbiamo fare una riflessione profonda. Il
genocidio, la rapina, la sottomissione di altri popoli sono connaturati alla
politica dell’Occidente che per lungo tempo è riuscita a far credere ai propri
cittadini che gli altri fossero il male, che fossero barbari, che avessero
norme abiette, che disprezzassero i diritti umani, che avessero a capo tiranni
e che il nostro mondo avesse il diritto di portare loro libertà e valori
inalienabili. La realtà è che i nostri privilegi, a partire dal nostro
passaporto, dalla possibilità di movimento, dalle libertà individuali, dal
nostro benessere, si basano tutte sulla rapina, sulla sottomissione,
sull’azzeramento della cultura di altri popoli. Lo voglio ripetere: i nostri
privilegi derivano dall’oppressione dell’altro. Ma che cos’è questo Occidente?
Siamo proprio noi, si identifica completamente con la nostra cultura o in
qualche modo è un qualcosa che nel suo sviluppo ha mangiato anche noi, senza
che ce ne rendessimo conto? Perché l’Occidente più che essere una cultura è un
sistema basato su un capitalismo predatorio, che ha bisogno di espansione
continua e che impone una crescita infinita e per fare ciò ha bisogno di
bruciare, di distruggere, di annientare tutto ciò che rappresenta una qualche
forma di resistenza alla sua espansione. Alla fine della Seconda guerra
mondiale tanti intellettuali italiani, come Carlo Levi, Nuto Revelli, Ignazio Silone
e altri cominciarono a raccontare il tramonto del mondo contadino, quello che
Pasolini chiamava un genocidio culturale a favore di un mondo dei consumi in
cui anche noi fummo rapinati del nostro passato e che ci ha fatti diversi,
colonizzati e dimentichi di ciò, attori della nuova colonizzazione. Ne Il mondo
dei vinti, scriveva Nuto Revelli:
“Quando dall’alto della
Pedaggera e dei Tre Cunei cerco la vita nelle ampie conche, riconosco più case
grigie, spente, morte, che case fresche di calce, vive, giovani; riconosco i
noccioleti che parlano di stanchezza, di abbandono, e i fazzoletti di vigna
come bandiere stinte, eroiche, e i dirupi del Belbo che rivogliono il bosco.
Non mi lascio tradire dall’edilizia residenziale, dalle ville di zucchero,
estranee, ostili come i castelli e le torri che dominavano la miseria antica.
Non mi lascio tradire dalla seconda, dalla terza casa degli ‘altri’. L’Alta
Langa, come tutta la campagna povera ormai è un cronicario immenso, è il
dormitorio di centinaia di pendolari, è il rifugio degli scarti, degli
invalidi, degli emarginati dalla società del benessere”.
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Perugia per Gaza |

Perugia per Gaza
La Fiat arriva nelle
campagne e promette ai contadini la liberazione: il trattore e i contadini
firmano cambiali che non riescono a pagare. Saranno i figli che andranno a
lavorare in Fiat per ripagare i debiti dei padri. E poi arriva la Michelin che
arruola nelle fabbriche migliaia di contadini e la campagna stessa diventa
terra predata dalle multinazionali che comprano terreni, che si impossessano
delle acque, delle sorgenti, che depredano il suolo e il sottosuolo mentre gli
uomini si rifugiano nelle città che offrono sicurezza e confort.
Così fiduciosi abbiamo
vissuto dal boom economico in poi, come se fossimo al riparo, abbiamo vissuto
per un po’ nella parte del mondo agiata, ma il mondo oggi si fa piccolo e non
c’è più luogo dove allargarsi. E i potenti, che sono uno sparuto numero di
persone che si nasconde dietro a multinazionali e lobby, non ha alcuna pietà
per noi come per il resto del mondo. Concludo con ciò che diceva Carlo Levi in Paura
della libertà: “L’individuo conchiuso tende a staccarsi e a vivere
autonomo: il contatto con gli altri è possibile soltanto attraverso quello che
a tutti è comune, attraverso l’indifferenziato, che col suo permanere fa
comprensibili tutte le differenziazioni”. Riscoprirci nelle piazze come vinti,
come diseredati, insieme a tutti gli altri in ogni luogo sarà forse l’inizio di
un vero cambiamento.
