“POETI” CONTRO L’INDIFFERENZA
di
Angelo Gaccione

Desmond Tutu
Avrei potuto scegliere fra tanti nomi
diversi per vergare questo scritto, ma poi mi sono detto: “La denuncia del
potere coloniale, delle dittature, del totalitarismo, la fanno, in maniera
efficace e drammatica, coloro che in quelle condizioni disumane sono costretti
a vivere; gli uomini e le donne che sono costretti a sopportare angherie,
carceri, assassinii; a pagare con la vita, a subire sui propri corpi le torture
e le umiliazioni a cui vengono sottoposti, e tuttavia non si arrendono”. Questi
uomini e queste donne non sono necessariamente poeti o intellettuali, sono
persone comuni; non hanno scritto e non scrivono poesie, ma le portano incise
sui lori corpi e nei loro cuori per consegnarle agli altri, alle future
generazioni come urli e messaggi di libertà e di giustizia perché ne facciano
tesoro, perché tengano viva la fiaccola della memoria, perché non si disperda.
Costoro hanno utilizzato, e utilizzano, parole e carne. E che parole toccanti
possono essere le loro, e che corpi gloriosi possono mettere sulla bilancia
dell’ingiustizia, sull’infamia della storia! Potevo scegliere fra molti, ma poi
mi sono affiorate alla mente in maniera prepotente le frasi di un uomo
speciale, di un vescovo, che tanto ha operato, agito, pronunciate parole,
parole pesanti come macigni, belle come i versi dei poeti.
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Desmond Tutu |
Consideriamole, allora, alcune di queste frasi, di queste
parole: “Se siete neutrali in situazioni di
ingiustizia, avete scelto la parte dell’oppressore”. Non sono poetiche e
meravigliose queste parole in un mondo feroce e disumano come quello in cui ci
troviamo a vivere? Non è vera poesia questa, davanti ai corpicini mutilati dei
bimbi di Gaza e Palestina, bombardati senza pietà e senza colpa dall’esercito
di un Paese che si ritiene una democrazia? Davanti ai corpi scheletriti ed
affamati dei bimbi palestinesi che grattano i residui di cibo da un misero
tegame, che lo grattano con le unghie dalla terrà dove qualche brandello si è
rovesciato, in mezzo ad una calca di morte fra urli e pianti e dolori e mamme
disperate perché si nega il cibo per sfamarle quelle loro creature… perché si
vuole arrivare alla “soluzione finale” come quella che, in un’altra
tragica temperie storica, l’oppressore di oggi aveva subìto? No, non possiamo
essere neutrali davanti a tanto orrore, non ci è concesso.
La frase che ho citato in corsivo è di Desmond Mpilo Tutu, arcivescovo anglicano di pelle nera di Città del Capo, in Sudafrica. È stato primate della Chiesa anglicana dell’Africa meridionale, e per le sue battaglie contro l’oppressione, la dittatura e il regime dell’apartheid, si meritò il premio Nobel per la pace nel 1984. Che cosa ci vogliono dire le poetiche parole di Desmond Tutu? Qual è il loro significato? Non c’è alcun senso nascosto in queste parole, nulla che non possiamo immediatamente comprendere e fare nostre. La neutralità, o peggio, l’indifferenza, davanti all’orrore della storia, al disumano, all’umiliazione degli uomini, equivale a sostenere gli artefici dell’ingiustizia e dell’orrore; a schierarsi con i carnefici contro le vittime, a lasciarli prosperare, a continuare ad opprimere. Non prendere posizione, non parteggiare con chi subisce le discriminazioni e le oppressioni da parte delle dittature; tollerare la cancellazione delle libertà civili e politiche ad opera di regimi autoritari e persecutori; tacere sulle disuguaglianze delle false democrazie, sullo schiavismo economico, sui conflitti rovinosi e distruttivi messe in essere dai Governi e dagli Stati guerrafondai; tutto questo fa di ciascun uomo un complice. Ne fa un essere indegno che ha deciso di bendarsi gli occhi per non vedere; otturarsi gli orecchi per non sentire; diventare muto per non parlare. Lasciar fare ai potenti e agli aguzzini come se tutto ciò che accade nel suo tempo non lo riguardasse.
Se restiamo indifferenti davanti al disumano, siamo già morti come esseri umani; abbiamo perduto definitivamente l’essenza che ci rende tali. Tutu ci ammonisce a non abituarci all’orrore, ad agire per arginarlo: con la parola, con lo scritto, con la presenza dei nostri corpi nell’agorà pubblica; per mostrarlo il nostro corpo, per farlo vedere, per far sentire che vibra di indignazione contro gli aguzzini e di compassione per gli oppressi e i perseguitati. “Non abbiamo bisogno di armi per cambiare il mondo. Abbiamo bisogno di amore e compassione”. È ancora Desmond Tutu che parla: non sono poetiche anche queste parole? In esse emerge la grande importanza dell’empatia e della solidarietà: due princìpi e pratiche morali di straordinaria umanità e poesia. Le armi uccidono e distruggono, i sentimenti affratellano, consolano e soccorrono. Provocano un cambiamento positivo all’interno dei rapporti umani e del vivere sociale; migliorano i costumi, rendono retto l’agire.
E che dire di questo assioma di Martin
Luther King che di versi ne vale mille? “La pace non è semplicemente
l’assenza di conflitto, ma la presenza della giustizia”. Era un sentire
comune di Gandhi, di King, di Tutu, di Mandela: quattro giganti della pace, quattro
“poeti” della parola. Siamo davanti ad un pensiero denso e di straordinaria
saggezza che i decisori che reggono le sorti del mondo dovrebbero meditare a
fondo. Rimuovere le cause dell’ingiustizia è il solo modo per garantire una
pace duratura fra tutte le nazioni. Se bandire le armi che provocano lutti e
dolori, morte e rovine è una necessità; sciogliere i nodi che generano i
conflitti è un obbligo. C’è un unico modo possibile per assicurare la sicurezza
e la prosperità collettiva: cooperando, condividendo. È su questo insegnamento
ideale della convivenza pacifica ed armonica che si sono mossi questi quattro coraggiosi
difensori dei diritti umani. King seguirà l’insegnamento di Gandhi come Nelson
Mandela, proseguirà il cammino tracciato dal vescovo Tutu. Un cammino
accidentato ma infine vincente, per quel Sudafrica arcobaleno, per quella
Rainbow Nation, fatta di etnie diverse e collaborative che avevano sognato.