L’ALIENAZIONE “GLOBALE”
di
Anna Rutigliano
Nel postulare il problema dell’alienazione secondo una prospettiva “globale”, ritengo interessante la citazione dell’autore slavo Kangrga, appartenente al gruppo marxista di “Praxis”, il quale sostiene che “quando parliamo di alienazione, si tratta in ogni caso di alienazione dell’uomo, in altre parole, senza l’uomo non si dà alienazione, ed essa esiste e può solo esistere là dove è presente l’uomo”. Concordo pienamente con la seconda proposizione una volta che si concepisca l’alienazione come relazione sociale, i cui poli sono l’uomo e i suoi prodotti, fra cui, rientra la Natura, trasformata dall’uomo.
L’alienazione o “Entfremdung”/”Entäusserung”, in termini marxiani, consiste nel rapporto tra l’uomo ed i suoi prodotti, i quali immessi in un determinato meccanismo sociale, quello rappresentato dal modo di produzione capitalistico, e sottoposti alle leggi che regolano questo meccanismo, le leggi della logica del profitto, talvolta sfuggono alla volontà dell’uomo, divenendo autonomi rispetto agli scopi assegnati dal loro artefice. L’attributo “globale” si richiama ad una visione planetaria dell’alienazione, per parallelismo al fenomeno della globalizzazione cui assistiamo ormai da diversi lustri. L’umanità è stata totalmente inglobata nell’attuale processo di comunicazione, nei meccanismi di produzione basati sulle leggi della grande industria e dell’automazione, sul pluslavoro, sul profitto, per cui anche il campo del sapere e della meditazione sono soggetti alle leggi del libero mercato: l’Arte, la Scienza e i vari settori del pensiero umano sembra siano stati contagiati da tale sindrome di alienazione.
L’apparato concettuale della teoria marxiana è illuminante a tal proposito. L’alienazione/Entfremdung è una forma particolare di oggettivizzazione o “Vergegenständlichung”, risultato di determinate situazioni storiche, perché in effetti, siamo di fronte a una questione oggettiva e non relativa alla condition humaine cui fanno appello alcuni esistenzialisti, la cui inevitabile conseguenza risiederebbe nel fenomeno dell’autoalienazione (Selbstentfremdung), prerogativa dell’individuo moderno. Nel momento in cui la forza-lavoro è stata sostituita dalla macchina industriale, nel momento in cui, nelle società mercantili, è stata acquistata la forza intellettuale per produrre merci all’infinito, allorché la forza intellettuale è stata assoggettata alla produzione capitalistica, divenendo essa stessa merce, ecco che è entrato in azione il meccanismo dell’Entfremdung. Del resto, termini quali produttività, guadagno, sono stati ribaditi più volte in campo giuridico. Riporto, a riguardo, uno dei punti fondamentali della Legge Emerson (The Emerson Bill), presentata al Parlamento, negli Stati Uniti, il 4 Gennaio del 1995: “By leraning English, immigrants will be empowered with the language skills and literacy necessary to become responsible citizens and productive workers in the United States”, in cui, significativo è il binomio costituito da productive workers (lavoratori produttivi) connesso all’apprendimento della lingua Inglese da parte degli immigrati, senza la quale non si acquisirebbe l’appellativo di “lavoratori produttivi”, rischiando l’esclusione dal grande turbinio dell’apparato socio-economico statunitense, con conseguente povertà, dilagante emarginazione sociale e alto tasso di criminalità.
Tuttavia
di alienazione/i, intesa giuridicamente, come cessione del diritto di proprietà
ad altri, in termini tecnici “Entäusserung”,
è ricco l’ambito artistico; penso alle cessioni Gulbenkian e Mellon risalenti
agli anni venti in Russia, quando bisognava sanare i bilanci statali con la
vendita di capolavori internazionali e di provenienza italiana, di proprietà
del Museo dell’Ermitage, quali il Trittico del Perugino o alcune tele
del Rembrandt, per citarne solo alcuni. E cosa dire della figura del poeta, del
letterato nell’era digitale globale? La condizione del poeta alienato si
verifica nel momento in cui si deve riconoscere il mercato letterario come
istanza oggettiva; i suoi capolavori artistici e letterari sono costretti ad
assumere la fisionomia di merce per soddisfare le esigenze di un pubblico ormai
massificato. È il mercato che si cerca di conquistare ed in questo particolare
contesto il poeta riconosce la propria “prostituzione”, per dirla con il
filosofo tedesco Benjamin, sentendosi smarrito nell’immenso labirinto metropolitano. Ad accentuare la sensazione di estraneazione, “Entfremndung”,
vi è poi la rèclame, la quale si accinge a coprire col suo bagliore il carattere di merce delle
cose. Una delle conseguenze del processo di mercificazione, avviato e osannato
dalla produzione mondializzata, consiste, nel caso specifico dei capolavori
artistici, nell’esser stati privati della loro aura, di benjaminiana
memoria, della loro unicità ed irripetibilità mediante la riproducibilità
tecnica. In un rapporto invece, causale, all’alienazione, in senso marxiano, è
connesso il concetto di autoalienazione (Selbstentfremdung), secondo
cui, sulla base delle teorie psicoanalitiche freudiane, l’uomo si isola dal
proprio simile se non a scindersi dal proprio Io, per ragioni di natura non
sociale, bensì psichica. Seguendo la stessa linea marxiana, l’autoalienazione è
una diretta conseguenza dei distorti rapporti socio-economici, originatisi con
l’avvento del capitalismo sino al neocapitalismo, con il suo frenetico consumismo,
onnipresente nella sfera quotidiana ed esacerbato dal fenomeno della digitalizzazione che, se da
un lato ha velocizzato la comunicazione, la ricerca nei vari settori
scientifici e la tempistica burocratica, dall’altro, ha reso qualitativamente
mediocri e sterili le relazioni sociali. Il filosofo Serres sostiene che i
nativi digitali non siano altro che abitanti di un sesto
continente virtuale, ancora ai suoi primi albori. Purtroppo, da tempo immemore,
si riscontra nei continenti già esistenti, la violazione dei propri diritti di
esseri umani e della dignità totalmente calpestata, attraverso le guerre. Cosa
vi è di più alienante a livello globale?