LETTERA APERTA
di Chiara Landonio
Ricostruire il corpo
sociale
C’è
un nuovo fermento in questi ultimi mesi, nato dallo sdegno per il genocidio a
Gaza e acuito dal fatto che sia il primo genocidio trasmesso in diretta, cosa
che ha accresciuto il senso di impotenza delle moltitudini. Le persone si
incontrano alle manifestazioni, si riuniscono, ma il lavoro che abbiamo di
fronte è lungo e va preparato. Abbiamo vissuto dagli anni Ottanta in poi in
maniera sempre più disgregata, ci siamo chiusi nella privatezza delle nostre
vite e abbiamo delegato sempre più le funzioni sociali che ci competevano. I
sindacati si sono trasformati vieppiù in agenzie di servizi alla persona,
mentre hanno dimenticato le rivendicazioni sociali, in un mercato del lavoro
che si è atomizzato e precarizzato. Si è andata creando una spaccatura tra i popoli
e la vita politica, una disaffezione dovuta alla sensazione che i politici
siano sempre più attratti dal potere in quanto tale o cooptati da poteri forti
che promuovono la propria agenda piuttosto che il bene della collettività. Il
meccanismo del voto è stato svuotato dall’interno, passando da un proporzionale
puro ad un maggioritario che ormai tiene fuori il dissenso, fino a fare del
non-voto l’ultima forma di resistenza dei cittadini.
Tutti fattori che hanno
contribuito alla crescita di idee individualistiche, al ripiegamento su se
stessi, alla fine del dialogo e che hanno avuto come portato lo smembramento
del corpo sociale.
È venuto il tempo di
mettere a fuoco cosa sia il potere che abbiamo di fronte, sempre più nascosto,
sempre meno nominato perché non ha nomi, perché si avvale di burocrazie ligie
al programma e che si avvicendano in una comunanza dei fini. Vedere quanto noi
lo supportiamo con i nostri comportamenti quotidiani, con il nostro
individualismo, e quanto esso ci abbia fatto credere di essere liberi mentre ci
imprigionava con gli stessi mezzi che noi abbiamo considerato legati alla
nostra emancipazione. E per fare questo è necessario ricostruire un corpo
sociale vivente, il che significa individualità sempre più coscienti e che
ricomincino ad avere fiducia nel proprio potere, che sappiano organizzare
alleanze.
Il potere ha forza nella
disgregazione e la insinua nei luoghi che prima erano luoghi aggreganti come i
luoghi di lavoro, le fabbriche, le scuole, gli ospedali… da qui bisogna ricominciare
dialogando, unendosi per sentirsi più determinati e aprirsi all’esterno per
cercare le alleanze che supportino queste forze. Ieri è giunta la prima notizia
di una possibile convergenza tra USB e CGIL per uno sciopero generale. È un
inizio, una risposta alle persone che dal basso, sia fuori che dentro al
sindacato chiedevano convergenza e hanno urlato contro i protagonismi,
piuttosto che venire dalle dirigenze in quanto tali. È come se ci fosse un'intelligenza
che ci supera come singoli, come quando si guardano gli storni che entrano
nella schiera e si muovono come un corpo unico e nuovo e dimentico almeno un
po’ dell’individualità. E allora bisogna credere a questa possibilità di stare
insieme.
Vorrei fare un esempio di
questa forza: la scuola si è nel tempo sempre più isolata, si è trasformata in
un’azienda che doveva fare profitto e cooptare più ragazzi possibili. I
dirigenti si sono sempre più allontanati dal corpo docente e il corpo docente
dai genitori e dagli alunni. Ognuno pensa di essere solo e di dover portare il
proprio peso, ma questo può essere cambiato. I genitori che si uniscono, che si
informano possono diventare un sostegno da fuori contro le politiche
suprematiste, belligeranti che si insinuano nei programmi scolastici, possono
diventare alleati degli insegnanti che si battono contro questa deriva
dell’educazione. E questo vale anche per gli alunni che devono essere informati
della situazione vigente, devono poter dire la loro per trovare il proprio modo
di intervenire nel mondo. Oggi abbiamo bisogno di dialogo e di alleanze,
ricreare “loci” forti e attivi di contropotere per la Palestina, contro la
guerra europea che si profila all’orizzonte, contro il modello capitalistico
dell’Occidente che ormai appare in tutta la sua nefandezza.