GUERRE
E PEGGIO ANCORA
di Alessandro Pascolini - Università di Padova
L'esame
della situazione globale e delle prospettive mondiali non può che dar adito a
un profondo pessimismo. Parole come pace e disarmo sembrano divenute
irrilevanti per tracciare vie perseguibili. Il futuro è già ampiamente
pianificato per un mondo sempre più militarizzato, mentre si sta smantellando
l'architettura legale e operativa per la gestione pacifica dei conflitti e il
controllo degli armamenti.
Ancor più che le guerre attuali,
col loro carico di spietata crudeltà, preoccupa, per la sua rilevanza a
determinare il prossimo futuro, la rinnovata corsa agli armamenti sia nucleari
che convenzionali, con le potenzialità dirompenti dell'applicazione di nuove
tecnologie e dell'intelligenza artificiale a fini militari. Ma il fattore più
destabilizzante che si sta sviluppando, e che già infetta le relazioni
internazionali, è il ritorno al principio della "legge del più
forte", il catastrofico collasso delle norme sviluppate nel secolo scorso contro
l'uso della forza nei rapporti fra i paesi. La resistenza alla militarizzazione
delle società e al ritorno al "diritto della guerra" è tutta da
inventare, ma è la sola speranza per la sopravvivenza di una speranza di pace.
Terza guerra mondiale a pezzi
L’invasione russa dell’Ucraina ci ha colti
impreparati, costringendoci a prendere coscienza della vicinanza concreta della
guerra e della necessità inderogabile di confrontarci con le sue conseguenze. Oggi,
se il conflitto ucraino trova un impatto mediatico ormai attenuato, le stragi
quotidiane che colpiscono la popolazione civile a Gaza ci rammentano con forza l’inesorabile
brutalità che ogni guerra porta con sé. Ma queste due guerre "vicine" non
devono esaurire la nostra attenzione: il mondo sta vivendo un livello di
bellicosità senza precedenti. Secondo l'Uppsala Conflict Data Program, nel 2024 ci sono stati
61 conflitti armati coinvolgenti gli stati: il più alto numero dal 1946; altri
75 conflitti fra entità non statali hanno contribuito a un bilancio totale di
oltre 160 mila vittime, in gran parte civili. Fra le motivazioni della
presente ondata di guerre vanno considerate mire imperialiste, l'eredità di
decolonizzazioni incompiute, un aumento dei nazionalismi, l'arbitrarietà di
confini tracciati senza tener conto della situazione locale e il corrente
atteggiamento che dà preminenza alla violenza per risolvere dispute e conflitti.
I conflitti attuali sono sempre più intensi e complessi e impongono maggiori
problematiche alla loro risoluzione e per una migliore protezione dei civili. Le
perdite umane, di beni pubblici e privati, la distruzione di risorse economiche
e di strutture della vita sociale e i profondi danni ecologici incombono sul
futuro dei sopravvissuti e di tutta la comunità internazionale.
Oltre le guerre, la corsa agli armamenti
Le
spese militari stanno aumentando in tutto il mondo:
nel 2024 hanno raggiunto 2.718 miliardi di dollari
con un mostruoso aumento del 9,4% rispetto al 2023,
aumentando il
peso sul reddito globale lordo dal 2,2% al 2,5%. Questo
livello di spesa sui bilanci statali ha effetti sociali negativi poiché altre esigenze rimangono insoddisfatte. Gli impegnativi
piani di riarmo già decisi da molti paesi prevedono che la spesa continui a crescere. In
particolare, la Cina si propone di "avanzare globalmente la
modernizzazione della teoria militare, delle strutture organizzative, del
personale, degli armamenti e materiali entro il 2035; trasformare pienamente le
forze armate popolari in un esercito di ‘classe-mondiale’ per la metà del XXI
secolo”.
Il nuovo concetto strategico
della NATO imposta la sicurezza su una postura puramente militare: "forza
e determinazione per difendere ogni centimetro del territorio alleato... e
prevalere contro qualsiasi avversario con una capacità nucleare, convenzionale
e missilistica, integrate da capacità spaziali e cibernetiche." Da qui l'impegno
per ulteriori enormi investimenti nel settore militare, a raggiungere il 5% del
reddito nazionale lordo dei paesi membri. Una nuova corsa agli armamenti nucleari si sta
intensificando. Tutti i nove stati
dotati di armi nucleari continuano ad aggiornare i propri arsenali, alcuni anche aumentando il numero di ordigni e
introducendo nuove classi di vettori (sistemi ipersonici, cruise a propulsione
nucleare, ...). Nel solo 2024 per queste armi sono stati spesi oltre 100
miliardi di dollari e imponenti programmi pluriennali sono in corso. Particolarmente
destabilizzante appare lo sviluppo della difesa strategica antimissile, che, se funzionasse, costituirebbe uno "scudo" antinucleare a consentire a chi lo possiede di brandire impunemente la "spada" nucleare,
non essendo più
vincolato dalla deterrenza. Inevitabilmente, la prospettiva della difesa
antimissile sta incoraggiando investimenti in tecnologie atte a eluderla.
Tra i principali punti di
competizione dell'attuale
corsa alle armi nucleari, sono preminenti
le
capacità tecnologiche nel cyberspazio, nello spazio extra-atmosferico e negli oceani, in una competizione più
qualitativa che quantitativa,
rendendo inadeguate formule numeriche del controllo degli armamenti, in una totale assenza di prospettive di nuovi
negoziati per la limitazione di tali armi.
L'esperienza delle guerre in Ucraina e nel Medio-Oriente
sta infiammando la corsa anche di sistemi d'arma non nucleari, in particolare
di guerra cibernetica, armi ad alta precisione e di grande gittata, sistemi
autonomi e droni per obiettivi tattici e come strumenti di terrore contro le
popolazioni. Va osservato che attualmente non esiste un quadro internazionale
che disciplini i droni armati, e neppure una sede politica per discutere la
questione.
Il ritorno alla "legge del più forte"
Col progredire nel XXI secolo, abbiamo segni sempre più
evidenti di un assalto al principio che proibisce l'uso o la minaccia della
forza per risolvere le dispute internazionali, principio codificato con il
patto Kellog-Briant (1928) e istituzionalizzato
con la Carta dell'ONU del 1945.
Esempi
significativi sono l'invasione americana dell'Iraq nel 2003, l'espansione della
Cina nel Mar Cinese Meridionale, l'invasione russa dell'Ucraina, fino ai
recenti attacchi di Israele e Stati Uniti contro l'Iran e i piani israeliani di
annessione di Gaza e della Cisgiordania.
Anche
le minacce di Trump di annessione della Groenlandia e del Canale di Panama e
l'imposizione all'Ucraina di cedere territori alla Russia in cambio di un
armistizio vanno considerate come pericolosi segnali del ritorno alla
legalizzazione della guerra come strumento ordinario di applicazione di
interessi nazionali e dell'impiego di minacce militari per costringere i paesi
più deboli a svantaggiosi trattati politici o economici. Paradigmatica della
nuova tendenza è anche la ridenominazione del dipartimento americano 'della
difesa' in dipartimento 'della guerra'.
Come uscirne?
Se lasciata incontrollata,
l’erosione del divieto dell’uso della forza riporterà la geopolitica a una
cruda competizione di potere militare. Le conseguenze saranno gravi: una corsa
globale agli armamenti, guerre di conquista rinnovate, un restringimento del
commercio e il crollo della cooperazione necessaria ad affrontare le minacce
globali comuni.
L'ONU doveva essere lo strumento attuativo dei principi del
Patto Kellogg-Briant, ma la sua struttura per cui ogni azione deve passare per
il Consiglio di Sicurezza, ove Cina, Francia, Russia, UK e USA hanno il diritto
di veto, garantisce alle grandi potenze di perseguire ogni loro piano. Mantenere
il divieto dell’uso della forza richiede un nuovo modo di operare alle istituzioni
internazionali: un sistema rinnovato per garantire la pace e la sicurezza
internazionali deve consentire a una più ampia varietà di stati di condividere
la responsabilità di sostenere le norme giuridiche, rendendole resilienti ai
cambiamenti interni di qualsiasi singolo paese.
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in quanto organo responsabile del mantenimento
della pace e della sicurezza internazionale, deve rivendicare una maggiore autorità per far rispettare il
divieto sancito dalla Carta sull’uso della forza. Una recente riforma, nota
come “iniziativa sul veto”, rimanda qualsiasi risoluzione del Consiglio di
Sicurezza soggetta a veto all’Assemblea Generale per il dibattito; le risoluzioni dell’Assemblea Generale
approvate in base a questa disposizione forniscono agli stati un sostegno legale per coordinare
sanzioni contro comportamenti aggressivi di ogni potenza e per far rispettare le decisioni della Corte
Internazionale di Giustizia e della Corte Penale Internazionale.