SINDACATO E SCALA
MOBILE
di Franco Astengo
Nella previsione del documento di bilancio 2026 il governo pensa di
detassare al 5% gli incrementi salariali che deriveranno dalla stipula dei
nuovi contratti e nella bozza lascia intravedere l’ipotesi di un piccolo
aumento forzoso in caso di mancati rinnovi. Come
fa notare Emiliano Brancaccio in un suo articolo apparso oggi, 18 ottobre, su
“il Manifesto” questo accenno è bastato “Corriere della Sera” per interpretare
questo passaggio come una “nuova scala mobile” mentre da Confindustria sono
arrivate grida di “spirale inflazionistica”.
Il tema dell’adeguamento dei salari al tasso di inflazione (considerata anche la perdita del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni durante la fase inflazionistica 2021-2022) dovrebbe invece stimolare proprio nei sindacati una riflessione sul tema non più rinviabile. Nella storia della sinistra italiana l’argomento del rapporto tra tasso d’inflazione e crescita del salario è stato elemento fondamentalmente divisivo: il quadro generale del mondo del lavoro è quello di un frastagliamento, di un intreccio perverso che tiene chi vi appartiene, in particolare i giovani, gli immigrati, le donne, nella tragica connessione tra precarietà e povertà.
Abbiamo registrato nel corso degli anni una frammentazione degli stessi strumenti di ammortizzazione sociale: ai margini del mercato del lavoro si situa un esercito ancora diverso da quello marxianamente definito come “di riserva” posto a disposizione di un allargamento delle forme di sfruttamento in gran parte “sotterranee”. Si calcola di tre milioni di lavoratrici e lavoratori in nero. Non vanno dimenticate le differenziazioni territoriali causate da una politica di disgregazione che si vorrebbe portare avanti con l’autonomia differenziata. Attuate le privatizzazioni la disgregazione territoriale ha contribuito all’abbattimento del welfare state sostituito per la gran parte dall’elargizione di incentivi destinati all’individualismo competitivo e consumistico. Si tralascia in questa sede l’analisi (che pur sarebbe necessario sviluppare) dell’impatto su questo stato di cose dell’innovazione tecnologica e della conseguente diversificazione del quadro delle contraddizioni sociali “classiche” e del rapporto dato tra struttura e sovrastruttura. Così torna per intero il tema dell’adeguamento dei salari alla crescita dei prezzi in un mondo del lavoro dove il numero dei cosiddetti “garantiti” è diminuito di numero e la gran parte dei pensionati (molti dei quali partiti nella nuova condizione dalla situazione di “pre” espulsi prematuramente dal processo produttivo) in buona parte sulla soglia della povertà.
In questa occasione
si chiede uno sforzo di ripensamento a sinistra su quanto avvenne all’inizio
degli anni’80. Sicuramente vivevamo in tempi diversi dagli attuali, quando la
presenza dell’industria e quindi delle grandi concentrazioni operaie era ancora
forte. All’inizio degli anni ’80, a fronte del mutare delle condizioni
economiche con l’elevarsi dell’inflazione, la crescita del debito pubblico in
maniera esponenziale (siamo agli inizi del pentapartito), la crisi delle
partecipazioni statali, l’avviarsi del progetto di divisione del sindacato del
resto contenuto nello stesso documento di “Rinascita Nazionale” elaborato dalla
P2 nel 1975, si avviò un’intensa campagna ideologica contro l’istituto
dell’adeguamento salariale al tasso d’inflazione, accusato - ingiustamente - di
essere parte della crescita esponenziale del fenomeno inflattivo stesso, di “schiacciare”
in una dimensione eccessivamente egualitaria i salari, di togliere spazio alla
contrattazione. Sono due le categorie
sulle quali andrebbe riaperto il discorso:
1) Il valore del
Contratto Collettivo nazionale di categoria; 2) La scala mobile intesa come
strumento di adeguamento dei salari all’inflazione (a questo dovrebbero essere
destinate parte delle ulteriori tassazioni dei superprofitti di banche e
assicurazioni non certo per il riarmo).
Oggi, a distanza di
tanti anni, credo si debba cercare di comprendere meglio il valore di quelle
battaglie perdute nel tempo dell’ondata neo-liberista che travolse sul piano
ideologico anche la sinistra storica.