SCAFFALI
di Angelo Gaccione

Luciano Bassani
I racconti di Luciano Bassani fra ironia, tenerezza e commozione.

Quante storie! sì, proprio con il punto esclamativo, questo è il titolo
del libro di Luciano Bassani, perché di storie ne contiene ben 31: e che
storie! Ne leggerete delle più surreali con personaggi strambi, svampiti,
esagerati, canagliescamente simpatici, ambigui, pieni di fisime, speso lestofanti
nei comportamenti e non proprio raccomandabili che la penna dello scrittore
disegna con compiaciuta ironia. Ma ne incontrerete anche di intransigenti nelle
loro scelte, di moralmente e professionalmente rigorosi, altri ancora colti, amichevoli, generosi, disponibili
e pronti al sacrificio verso gli altri. E non mancano le storie più private ricche
di ritratti familiari intrisi di tenerezza, di nostalgia, di sentimenti
dolorosi, di perdite, di tragedie che commuovono e prendono il lettore alla
gola. Molti di questi personaggi sono entrati nella sfera del narratore
attraverso la pratica medica della sua professione; Bassani li ha curati
risolvendo problemi che li avevano angustiati a lungo, restituendo loro fiducia
e una qualità di vita accettabile. Li ha curati, ma li ha anche osservati a
fondo; ne ha colto il lato buono, ne ha carpito alcune inclinazioni e spesso ne
è diventato amico; li ha frequentati al di fuori del suo studio professionale
vinto dalla curiosità e scambiando umanità con umanità. Sono, nel bene e nel
male, entrati nella sua sfera emotiva e sentimentale, e lui non ne è rimasto
indifferente. C’è sempre qualcosa degli altri che si “deposita” in noi e ne
diventa parte. È stato questo che gli ha permesso di scriverne e di fissarne un
ritratto vivido e coinvolgente sulla pagina. Il materiale “letterario” è venuto
a lui direttamente, senza che egli abbia avuto bisogno di andarselo a cercare.
Che si tratti di un personaggio spavaldo e umanamente simpatico come Antonio
Amato detto O’ Guagliò, del robivecchi siculo-brianzolo Leone
Bartolomeo, della sensitiva Paula Kovacs con le sue sedute spiritiche, del
medico Alberto “sosia” di Aldo Moro, del furbo e mestatore inquilino della
villa di Andora, del barbiere di Piazza Grandi, del giovane con la valigetta, la
salutista, poco importa. Hanno lasciato una traccia e sono assurti a personaggi
da racconto, come poteva accadere ad un impiegato della burocrazia zarista per
la penna di Gogol. Sono tanti i racconti su cui mi sono soffermato e che mi
hanno coinvolto sul piano emotivo. La tragica fine del cane bassotto Teo (‘Il
racconto sionista’) mi ha fatto rivivere la dolorosa vicenda del nostro
cagnetto Brando. Il racconto sulla scomparsa della madre dell’autore è dolente
e insieme ricco di interrogativi: “Mi domando perché una volta invecchiare
era più facile e mi do la risposta da solo: non ci sono più le famiglie
di una volta, quelle famiglie che ti prendevano dalla nascita e ti portavano
alla morte senza mai lasciarti, quelle famiglie ‘fortezza’ che
rappresentavano il baluardo contro tutto e contro tutti…”. E il vuoto, il
tremendo vuoto che ci lasciano quelle morti: “Che tristezza tornare a Milano
senza di lei, che sensazione di mancanza nella sua casa dove tutto parla di
lei, ma dove lei non c’è più (…). Un anno è quasi passato da
quando mia mamma ci ha lasciati, un anno difficile, ingombro di immagini
lontane, un anno di domande senza risposte, un anno di struggente tristezza, un
anno dove tutto sa di cose e persone che non torneranno”. È con una prosa
piana, concreta, essenziale che Luciano Bassani racconta i suoi personaggi e le
loro vicende; lo fa con controllata bonomia, anche quando meriterebbero qualche
giudizio più severo, qualche aggettivo più duro. Consapevole, come scrive
nell’epilogo congedandosi dai lettori, che “Tutti a loro modo, hanno avuto o
hanno un percorso che si è intrecciato con il mio e a loro modo lo hanno
arricchito”.

La copertina del libro
![]() |
| La copertina del libro |

