LIBRI
LA
POLITICA DELL’IMPOSSIBILE
di Angelo
Gaccione
Stig Dagerman |
Quando penso allo
scrittore svedese Stig Dagerman suicidatosi ad appena 31 anni all’apice del suo
trionfo letterario, penso a cosa abbiano perso la letteratura mondiale, il
movimento libertario e la cultura nel suo insieme, con la scomparsa di questo
precocissimo geniale talento, in termini di intelligenza, acume, lucidità. Chi
prende in mano il recente volume edito da Iperborea, “La politica dell’impossibile”, in cui compaiono una serie di
scritti dal carattere politico, morale, letterario, rimarrà sorpreso
dall’acutezza, dalla profondità e dalla consapevolezza, con cui affronta i temi
più brucianti e controversi negli anni a cavallo tra 1943 e il 1952. Ricordiamo
ai lettori che Stig Dagerman aveva pubblicato il romanzo “Il serpente” nel 1945, all’età di appena 22 anni, ed era già
celebre ed osannato, e l’anno dopo (1946) a 23, pubblicherà quel visionario
capolavoro che è “L’isola dei condannati”.
Ne ha ancora meno quando pubblica sulla rivista anarchica “Storm”, “Cuori
ardenti”, il primo dei testi riportati in questa raccolta di Iperborea: è il
dicembre del 1943 e Dagerman non ha ancora compiuto vent’anni. L’ultimo, quello
che chiude il libro con il titolo “Passeggiando per le strade di Klara”, esce
sul quotidiano anarchico “Arbetaren” nel dicembre del 1952, e Dagerman di anni
ne ha ventinove.
Ho
volutamente insistito sull’età di Dagerman, non solo per sottolineare la
precocità del suo talento, ma perché come dimostrano i temi e le idee degli
scritti giovanili contenuti ne “La
politica dell’impossibile”, è davvero raro che uno scrittore abbia, nello
stesso tempo, genialità artistica e consapevolezza politica a questo livello di
profondità, in una età tanto giovane.
Ovviamente
non sappiamo con precisione quando la maturità in un uomo si forma nella sua
completezza e può dirsi tale. L’esperienza e la vita non sono uguali per tutti,
così come non lo sono sensibilità ed intelligenza. Se genio e talento non hanno
età, è probabile che anche la “coscienza” nel suo formarsi, non rispetta né
regole né età, e dunque quella che il mondo medievale e quello rinascimentale
fissavano nell’età di mezzo, non ha
alcuna attendibilità. Di certo c’è, come ha ben evidenziato Goffredo Fofi nella
sua postfazione al libro, che Dagerman “non
è mai invecchiato” perché si è tolto la vita nella sua piena giovinezza. È
perciò che rimaniamo così felicemente sorpresi e ammirati per come affronta
questioni attinenti a coscienza e funzione dello scrittore nella società,
libertà e dispotismo comunista, internazionalismo e pace, nazifascismo e
società borghese, armamenti e terrore atomico, mondo del lavoro e fraternità,
solidarietà di classe e letteratura, pessimismo intellettuale ed anarchismo,
cultura e sua demistificazione. E ancora: conformismo culturale e verità,
stampa e servilismo, lotta per la vita e dignità umana, memoria della scrittura
e cancellazione di luoghi simbolici. Si sarà capito che nulla di quanto scrive
in questi articoli di stampa lo scrittore svedese, è passato di moda o non ci
appartiene. Il suo ragionamento ed il suo pensiero non hanno perso nulla della
loro drammatica attualità ed urgenza, della loro radicalità. Sono ancora qui ad
interrogarci e soprattutto ci chiedono di prendere posizione, a capire da che
parte stare. Sono l’impulso morale e ideale, assieme al metodo libertario delle
analisi e dell’argomentare di Dagerman - alla luce di ciò che è stato nella
storia del Novecento e che tuttora permane - ad essere rimasti vitali. Un
antidoto per tentare almeno di contenere la barbarie.
Ci
mettono in guardia e ci spronano, come ha magistralmente scritto nell’articolo
dal titolo “Il mio punto di vista sull’anarchismo”, a rifiutare ogni politica
del possibile. In quanto scrittore, essere sociale e individuo, egli rivendica
per sé il ruolo del “politico
dell’impossibile in un mondo dove sono troppi i politici del possibile”,
inconcludenti e incapaci di una superiore visione che metta al riparo l’umanità
dalla catastrofe. Perché “nel mondo del possibile l’essere umano non è che un
prigioniero, incatenato alla galera della paura e dell’indifferenza. Di fronte
al possibile l’essere umano è impotente come di fronte alla morte” (“Il
movimento dei cittadini del mondo” pag. 83 e seguenti). Non per nulla la
schiera del possibile, dei pratici, annovera esseri senza
immaginazione e conformisti, come buona parte della politica e della diplomazia
che hanno sempre prodotto disastri nella storia. Osare ed agire, come singoli
individui ed esseri umani, soprattutto su “questioni di vita e di morte che
finora sono state considerate terreno esclusivo degli stati, dei gruppi di
potere e dei governi”. Il disarmo ad esempio, la fine degli ordigni di
sterminio, il saccheggio delle risorse naturali. O per noi oggi: i mutamenti
climatici, la nuova schiavitù del lavoro, la deportazione e gli esodi, la
devastazione dell’ecosistema, l’acqua come bene comune fuori dal profitto.
Perché, come conclude Dagerman, “Non è
mai senza senso scegliere l’impossibile invece del possibile. L’unica cosa
insensata è accettare il possibile”.
I
lettori meno giovani troveranno in questi concetti l’eco di quanto gli anni
Sessanta del Novecento sintetizzeranno nello slogan operaio e studentesco del
Maggio parigino: “Siate realisti,
chiedete l’impossibile!”. Ma è l’intero libro di Dagerman che è pieno di
anticipazioni e di idee destinate a generare altre idee; che siano scritti
occasionali, risposte a questionari o interviste, lo sguardo è sempre più in là
della contingenza, e il tocco e lo stile sono di chi non dimentica mai di essere
fino in fondo uno scrittore.
A
questo riguardo voglio soffermarmi sullo scritto “Passeggiando per le strade di
Klara” che chiude il libro. Riguarda la memoria di ciascuno scrittore, e penso
che chiunque pratichi questo strano ed insano mestiere, può farlo proprio, a
qualunque luogo egli appartenga. Lo scritto ragiona, con malinconica amarezza
poetica, sulla cancellazione-ristrutturazione-ammodernamento del vecchio quartiere Klara di Stoccolma. Poiché “la
nostra memoria è sedentaria”, come scrive magnificamente Proust - e per un
certo tipo di scrittore lo è al massimo grado -, cancellare un luogo, o
semplicemente manometterne anche un solo elemento che è stato parte della sua
creatività e della sua immaginazione, vuol dire alterarne il contesto e dunque
eliminare quella che per lui era una creatura viva. Sacrificare, assieme a
questa, anche una parte della vita del suo creatore.
Personalmente
ne so qualcosa, e scrivendo i racconti de “L’incendio
di Roccabruna”, ho conferito una seconda vita, seppure sulle pagine di un
libro, a nomi e luoghi che mi erano stati cari.
Per
Dagerman la memoria non si rassegna: “è
gelosa e del tutto irragionevole” e se “la ruspa sa di essere al servizio dell’espansione,
e l’espansione ha sempre ragione”, tuttavia la memoria resta irragionevole e si mette a strillare: “Non
abbattetele, sono le mie case. Non potete demolire il quartiere di Klara!”. E
se la ragione chiede perché no, la memoria risponde: “Perché è in questa parte
di mondo che hai vissuto i momenti più lucidi e intensi della tua vita”. Quelle
case e quel quartiere sono stati lo “scenario” di “sogni” e “cospirazioni”: in
uno di quei palazzi ormai demoliti ha preso vita la storia di un uomo e della
sua morte, e con quella sparizione definitiva autore e personaggio hanno perso
per sempre il luogo fisico del loro incontro, sono cioè morti entrambi. Per le
vie dove ora lo scrittore-creatore si avventura, è sceso il lutto, un lutto che
non si potrà più colmare, perché Klara era un intero mondo dove si respirava
un’aria di indipendenza e di libertà. Qui aveva sede il giornale anarchico
“Arbetaren”; qui c’era la redazione di “Storm” che Dagerman per un certo tempo
diresse, e qui giovani “cospiratori” proletari e antifascisti, coltivavano la
passione ardente dei loro sogni per un mondo migliore e più giusto.
“Se
la rivoluzione scoppiasse in Svezia, il suo quartier generale sarebbe Klara”,
scrive Dagerman. Ora Klara è un’altra cosa, un luogo freddo e senz’anima; come
è avvenuto qui a Milano per il vecchio, popolare, ribelle quartiere Ticinese,
simbolo della nostra inquieta giovinezza. Quella meravigliosa “enclave” libertaria non esiste più. Al
suo posto moda e movida, speculazione
e affari.
Anche
la mia memoria non si rassegna e “resta
irragionevole” Forse è nostalgia, forse è vecchiaia. O forse solo rabbia.
La copertina del libro |
Stig
Dagerman
“La politica dell’impossibile”
Iperborea,
2016
Pagg.
144 € 15,00