PROCESSO THYSSENKRUPP
Sono
passati 8 anni e più dal 5 dicembre 2007 quando alla ThyssenKrupp di Torino, morirono sette
operai. Nel rogo del 2007 i sette
operai stavano lavorando in uno stabilimento in via di chiusura, dove gli
impianti non si erano fermati, nonostante le norme sulla sicurezza non fossero
più rispettate.
L’assenza sindacale, degli
istituti di controllo come le ASL si possono evidenziare al punto che 12
estintori avevano il controllo semestrale scaduto sui 18 estintori dotati di
cartellino.
La mancanza di personale
costringeva inoltre a turni che poteva superare le dodici ore.
La moglie di una delle
vittime aggiunge che i sindacati – che erano a conoscenza della situazione –
avevano taciuto.
A fine giugno 2008 i
familiari delle vittime hanno raggiunto un accordo con l'azienda ottenendo un
risarcimento che sfiora i 13 milioni di euro, ma rinunciando a costituirsi
parte civile.
Il sostituto pg della Cassazione, Paola
Filippi, aveva chiesto di annullare le condanne per omicidio colposo per tutti
e sei gli imputati del processo Thyssen nel processo di appello bis per
rideterminare le pene per i reati di omicidio colposo plurimo e per rivalutare
il 'no' alle attenuanti per quattro degli imputati.
Per il pg doveva servire
un terzo processo di appello.
Dopo aver ascoltato le
richieste della procura della Cassazione, i familiari delle vittime del rogo
alla Thyssen di Torino sono usciti dall'aula in segno di protesta.
Alcune madri, sorelle e
moglie sono scoppiate in lacrime.
Altri hanno gridato 'venduti'
all'indirizzo dei giudici e sono stati invitati alla calma da carabinieri e
poliziotti.
Al contrario la Cassazione
ha confermato le pene nei confronti dei sei imputati per il rogo di Torino nel
quale, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, morirono sette operai.
La più alta è stata
inflitta all'ad Harald Espenhahn.
La Cassazione ha infatti
confermato le condanne dell'appello-bis nei confronti dei sei imputati per il
rogo alla Thyssen nel quale, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007,
morirono 7 operai.
La pena più alta è di 9
anni e 8 mesi ed è stata inflitta all'ad Harald Espenhahn, quella più bassa, di
6 anni e 3 mesi per i manager Marco Pucci e Gerald Priegnitz.
Condannati anche gli altri
dirigenti Daniele Moroni a 7 anni e 6 mesi, Raffaele Salerno a 7 anni e 2 mesi
e Cosimo Cafueri a 6 anni e 8 mesi.
La Cassazione ha dunque
confermato il verdetto della Corte d'Assise d'Appello di Torino del 29 maggio
2015 e bocciato la richiesta del procuratore generale Paola Filippi che aveva
chiesto un terzo processo sollevando asprissime polemiche tra i famigliari
delle vittime.
Giustizia fatta?
In parte perché gli
infortuni e i morti sul lavoro continuano ad aumentare, e annullando le
condanne e rimandando il giudizio sarebbe stato come dare un segnale di
tolleranza.
Perché le aziende spinte
da un diffuso senso d’impunità vedono spesso nelle norme sulla sicurezza e
nella formazione dei lavoratori solo un costo aggiuntivo; i lavoratori –
soprattutto quelli più deboli – subiscono il ricatto del licenziamento e non
vengono tutelati da sindacati referenziali ai partiti che, a loro volta, devono
rispondere di finanziamenti e connivenze con il mondo dell’industria.
Basta pensare al ferroviere Dante De Angelis:
chiede spiegazioni sul malfunzionamento degli Eurostar, l’azienda, invece di
rispondere, lo licenzia.
Ancor più clamoroso il
caso di Giorgio Del Papa, titolare dell’azienda olearia Umbria Olii,
contraddistintosi per la richiesta di risarcimento (35 milioni di euro)
avanzata ai parenti dei quattro operai morti nello scoppio di un silos del
proprio stabilimento nel novembre 2006, e al sopravvissuto Klaudio Demiri, per
la presunta imperizia sul lavoro che avrebbe causato l’incidente.