Milano-Roma-Madrid-Parigi-Berlino-
Bruxelles.
Un
viaggio in Europa per tornare in Italia
di Felice Besostri
Felice Besostri |
Scrivere a spoglio ancora in corso ha
il vantaggio di poter essere smentito, cioè correre il rischio di fare proposte
nette, prescindendo da interessi di bottega. La sinistra è in braghe di tela,
ma ciascuno porta le sue. Forse essere totalmente nudi imporrebbe una scelta
chiara. I risultati di Milano e Roma sono praticamente identici, nel senso di
essere ininfluenti per l’esito del ballottaggio, con un leggero vantaggio di
Roma, dove Stefano Fassina ha
un’alternativa di voto per M5S e non solo di chiamarsi fuori come Basilio Rizzo
a Milano. Una forza di sinistra, che si propone di cambiare la società,
l’ordine economico sociale prevalente o addirittura il mondo, fosse, per caso,
rimasta internazionalista, se viaggia intorno al 5%, più sotto che sopra, è
meglio che cambi radicalmente ovvero cambi obiettivi: ma se rinuncia al
cambiamento dell’ordine sociale esistente non ha senso che esista. Un 5%, ma
anche un quasi 10% (9,7%) raggiunto da Rifondazione al suo apogeo, produrrebbe
effetto se fosse un gruppo di rivoluzionari, avanguardia cosciente del proletariato,
presente nelle istituzioni solo come testimonianza e strumento di propaganda
per accelerare la prossima, meglio se imminente, palingenesi. Se, invece, sulla
base delle tragiche esperienze del realexistierendes
Sozialismus, si fa la scelta irrevocabile, che socialismo e libertà sono
indissolubilmente legati e che il poter si conquista e si gestisce
democraticamente, la proposta della sinistra ( torneremo sulla polisemia del
termine, al limite dell’ambiguità) deve essere naturalmente maggioritaria, cioè
rappresentare la maggioranza, se non dei cittadini, almeno degli elettori.
Dovrebbe essere semplice, se effettivamente valesse il principio una testa/un
voto e il potere economico-finanziario e politico, di contro, è detenuto da un
1%: quello denunciato da Occupay Wall
Street. Non è così, anzi, anche limitando lo sguardo all’Europa ed ai paesi
politicamente europei( Australia, Canada e Nuova Zelanda per esempio. L’America
Latina, che se cominciassimo a chiamare indio-afro-latina sarebbe più esatto va
trattata a parte, come gli Stati Uniti) i partiti socialisti, socialdemocratici
e laburisti sono in perdita di consenso elettorale, paradossalmente accentuata
con lo scoppio della crisi nel 2007/2009. Su questo fatto c’è attenzione, ma di
meno sull’altra faccia, cioè che la crisi dei partiti membri del PSE, non si è
tradotta in un rafforzamento significativo e durevole di forze alla loro
sinistra, fatta eccezione della Grecia con Syriza. In ogni caso mai hanno
potuto rappresentare la sostituzione di un’egemonia esercitata sia nei singolo
paesi, che a livello europeo dai partiti membri del PSE, che dal 2009 neppure
sono più soltanto socialisti, ma una più generica alleanza progressista di socialisti e democratici. Grazie alle politiche economiche e sociali
perseguite in Francia Hollande è precipitato al 14% ebbene Mélenchon è passato
al 12% dal 11,2% delle presidenziali 2012. Si votasse oggi un candidato unico
della sinistra potrebbe non arrivare al ballottaggio.
In Germania le perdite
della SPD sono andate inizialmente per i 2/3 all’astensione e 1/3 distribuito
tra Verdi e Linke, che non hanno mantenuto i guadagni. Il fatto preoccupante,
che le maggioranze SPD-Linke nei Länder, già meno di quelle numericamente
possibili( in Turingia per esempio) non hanno superato la prova del voto,
tranne in un caso, che purtroppo non è stato Berlino, quella politicamente più
significativa. Le alleanze SPD Verdi sono a guida Verde(Land Baden-Württemberg)
e neppure sulla carta esiste più, come nel 2005, nel Bundestag una maggioranza rosso-rosso-verde, anche per i pessimi
rapporti tra Verdi e Linke. In questo quadro dopo la sconfitta in Norvegia e
Danimarca delle coalizioni rosso-verdi, le uniche novità di una nuova dinamica
a sinistra sono venute dalla Gran Bretagna con l’elezione di Corbyn alla guida
del Labour Party. Il LP non ha, però, riconquistato il bastione scozzese, senza
il quale non può vincere in Gran Bretagna, ma è stato capace di conquistare la
Grande Londra, con un candidato di origini pachistane, proletarie e di
religione mussulmana, non per queste ragioni, ma perché laburista. Il Labour
Party non ha mai avuto competitori a sinistra, che ne potessero contestare
l’egemonia. La sua sconfitta è stata determinata da un partito di sinistra
identitaria autonomista, con pulsioni indipendentiste, lo Scottish National
Party. In Portogallo si è superata una ostilità a sinistra, che data dal tempo
della rivoluzione dei garofani, dal
connubio con i militari di settori della sinistra, ideologicamente ostili ai
socialisti, benché inizialmente molto di
sinistra come il PSP. La vera occasione perduta è stata la Spagna, perché la
forte perdita di voti socialisti a favore di Podemos non metteva in discussione
la leadership socialista di un governo di sinistra, ancorché senza maggioranza
assoluta precostituita. Una risposta portoghese sarebbe stata necessaria, per
mandare comunque a casa il governo della destra e le sue politiche
anti-popolari. L’effetto del mancato accordo sarà che alle elezioni prossime
del 26 giugno si instaurerà a sinistra una dinamica concorrenziale e distruttiva.
Da un lato il riflesso identitario del PSOE, in particolare dei suoi baroni
andalusi, e dall’altro la tentazione egemonica di Podemos, che presuppone una
dura sconfitta del PSOE. Soltanto IU aveva capito il pericolo, ma il sistema
elettorale spagnolo l’ha punita e deve sopravvivere e quindi ha stretto
un’alleanza elettorale col nome UNIDOS PODEMOS A sinistra è m ancata una
visione federale della Spagna, vecchio cavallo di battaglia dei socialisti
catalani: unico antidoto all’indipendentismo nazionalista ad egemonia
ideologica borghese di Esquerra Republicana
de Catalunya e del centrismo
pujolista. L’occasione è stata perduta e se vogliamo la responsabilità
maggiore è state del PSOE, ma anche del catalanismo estremista, che Podemos non
poteva tenere a bada e dalle contraddizioni interne a Podemos, che non hanno
consentito a IU di formare un gruppo
parlamentare. Nelle prossime elezioni spagnole ne avremo la prova. La somma di
UNIDOS PODEMOS+ PSOE sarà inferiore a quella delle precedenti elezioni. Ma non
sarà possibile trovare un'intesa persino nel caso che la somma sia superiore
perché questa campagna elettorale è
stata fatta all'insegna del sorpasso come se fosse la panacea dei problemi
strutturali della sinistra, che sono tali per cui invertendo l'ordine dei
fattori il prodotto non cambia. Se Unidos Podemos sorpassa il PSOE, ma non c’è una maggioranza di sinistra più i
regionalisti, il PP continuerà al Governo stavolta con l’appoggio di
Ciudadanos. Nell’ipotesi migliore Unidos Podemos potrebbe ridurre il PSOE al
PASOK, esito molto improbabile, ma stando all’opposizione e non al governo come
Syriza, sia pure con l’appoggio di un partito di destra. Nei tempi migliori la
socialdemocrazia era alternativa ai conservatori. Ora a sinistra non c’è una
proposta alternativa credibile. La maggioranza della sinistra-sinistra tiferà e
si esalterà per Unidos Podemos, anche grazie alla presenza di una più
rassicurante IU, garanzia contro il populismo del solo Podemos: una
consolazione alle proprie frustrazioni. Niente di più, non ne uscirà nulla come
progetto per l’Italia, come nulla è nato dagli entusiasmi per la Linke come per
Tsipras o Mélenchon. Sinistra Italiana è una creatura fragile, come fa a
risolvere il problema di un rapporto con M5S? M5S non ha il patrocinio
bolivariano di Podemos, pone quindi
maggiori problemi. Il punto è che l’Italia è tripolare, un tripolarismo
che ha distrutto il centro. La sinistra intende essere parte del terzo polo
alternativo al PD ovvero impegnarsi in una lunga traversata del deserto per
costruire un quarto polo? Con questa legge elettorale non ci sono speranze.
Una riflessione si impone a sinistra, che tenti di passare
oltre alla sola ricerca delle responsabilità di chi ha tradito. La crisi del
PSE riguarda tutta la sinistra europea. Se Atene piange Sparta non ride, anche
perché la perdita di iniziativa politica dei socialisti sta compromettendo
l’esistenza di un progetto europeo. La crisi dell’Europa non è solo economica e
politica, ma anche morale e di civiltà. Se l’ungherese Orban, che appartiene al PPE,
traccia una strada, che può essere assunta dallo slovacco Fico del PSE e da un
governo come quello austriaco popolare e socialdemocratico, ci si dovrebbe
rendere conto della gravità del momento. Una reazione conservatrice degli assetti
di potere del Manuale Cencelli, che regge la UE, cioè un accordo eterno
PPE-PSE, tra l’atro a egemonia conservatrice, non lascia speranza. Non lo si
contrasta con una sinistra senza più ambizioni di cambiare la società nella
direzione di meno diseguaglianze economiche e sociali e più libertà civili e
politiche: men che meno con una sinistra che riscopre la sovranità nazionale
ridotta a sovranità monetaria. Dovremo cominciare dal linguaggio. La parola
sinistra indica soltanto una statica posizione relativa(a sinistra di…) nello
spazio e non una direzione di marcia con una meta. Dobbiamo riscoprire il
valore di parole che appartengono ai nostri filoni ideali storici, quelli
socialista, comunista e libertario, da
tradurre in programmi all’altezza delle sfide planetarie del cambiamento
climatico, delle migrazioni di massa, dello sviluppo compatibile e dell’accesso
ai beni primari, come l’acqua potabile, l’istruzione e la salute. Sono compiti
immani, ma se non siamo capaci di avere un progetto per i luoghi dove viviamo e
si sviluppano localmente le contraddizioni globali, cioè le nostre città non
avremo futuro, che si parta dal 1%, piuttosto che dal 3% o dal 5%,ma nemmeno da
un 25/30% che diventi maggioranza assoluta grazie ad artifizi di una legge
elettorale. Per parlare di corda in casa dell’impiccato dobbiamo dire, alla
luce dei risultati del primo turno, che sono i veri e decisivi risultati
politici in termini di rappresentanza, che i progetti in campo di aggregazione
a sinistra sono falliti, quello di Sinistra Italiana a Roma e quello
alternativo a Torino. Fassina con l’onestà intellettuale, che lo
contraddistingue, l’ha detto con chiarezza. All’opposto non sono Zedda a
Cagliari e Mastelloni a Bologna, non a caso indicati con nome e cognome del
candidato sindaco, a ribaltare il giudizio negativo. Il primo ha vinto e il
secondo ha superato il 5%, ma non sono progetti con respiro nazionale:
obiettivamente, se non lo sono stati Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli,
non possiamo aspettarci altro. L’elezione diretta dei Sindaci ha esaurito,
anche grazie al calo generalizzato di affluenza alle urne, la sua spinta
propulsiva di sistema ben prima dell’Unione Sovietica. Quello che poteva dare, l’ha
dato portando senza elezioni il Sindaco di Firenze a Sindaco d’Italia.
L’Italikum prima di essere la consacrazione da 18 Brumaio[1]
di Renzi, attraverso una elezione di fatto diretta del Primo Ministro grazie ad
un ballottaggio a carte truccate, deve ancora passare al vaglio di
costituzionalità, di cui l’udienza del 4 ottobre 2016 dinnanzi alla Corte
Costituzionale è solo la prima, ma non decisiva, tappa, e, senza l’approvazione
della deforma costituzionale nel referendum di ottobre, neppure funzionerebbe.
[1] Il
riferimento è agli avvenimenti trattati nel volumetto di Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, con
introduzione di Michele Prospero, Editori Riuniti University Press, 2015