UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

martedì 4 gennaio 2022

LE GRINFIE SULLE BANCHE POPOLARI
di Marco Vitale
 


La battaglia per la democrazia economica non finisce mai.  
 
L’Assemblea Straordinaria dei soci della Banca Popolare di Sondrio del 29 dicembre 2021, votando, a larga maggioranza, la trasformazione ormai obbligatoria (date le sanzioni minacciate) della Banca Popolare in Società per azioni, ha posto fine ad una delle vicende più tristi, squallide, umilianti e dannose della storia bancaria italiana.
Essa inizia nel 2015, con un atto di governo mascherato da provvedimento legislativo ed etichettato come riforma delle banche popolari, mentre fu solo un atto di violenza burocratica-governativa finalizzato a far scomparire (come tali) le maggiori banche popolari. Descrivo tale pseudo riforma con le parole di uno dei più profondi, rispettati ed equilibrati studiosi del sistema bancario, Marco Onado, che inizia uno dei suoi più importanti articoli in materia (2021) con queste parole: “Una delle riforme più controverse in campo bancario è quella che nel 2015 ha imposto alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di trasformarsi in società per azioni. Non è stata una riforma efficace e tempestiva, come è dimostrato dal fatto che quattro delle dieci banche colpite dal provvedimento sono state o poste in amministrazione straordinaria o addirittura liquidate, come nel caso delle due venete. Ma il punto più delicato della riforma era la soluzione giuridica adottata, quella di intervento sul modello societario, dunque su un aspetto strettamente attinente alla libertà associativa e imprenditoriale, tanto da suscitare autorevoli dubbi sulla sua costituzionalità.


All’inizio, come scrive Onado, il provvedimento sollevò una vivace controversia ma, ben presto, la discussione si spense, soffocata dalla tradizionale viltà della classe dirigente italiana e dalla potenza della cricca burocratica-bancaria romana. Sicché, in verità, anche per l’assenza di un giornalismo serio se non per poche eccezioni, non c’è mai stato un dibattito vero, così come non ci fu mai una discussione parlamentare. Infatti, il provvedimento assunse la forma di decreto-legge che avrebbe dovuto convertirsi in legge dopo un dibattito parlamentare che non ci fu, perché il decreto fu convertito con un voto di fiducia. Ora l’atto che chiude l’intera storia è un’assemblea societaria lunare (una non assemblea) nella quale è stato impedito ai soci di partecipare e di dibattere anche in remoto. Una svolta storica imposta dai vertici burocratici bancari italiani ed europei senza partecipazione dei soci che potevano pronunciare solo un sì o un no, in via telematica, ad un incaricato estraneo all’assemblea, al consiglio dei soci ed alla banca senza possibilità di formulare qualsiasi proposta correttiva del tipo di quelle molto ragionevoli, legali e sostenibili suggerite dal Comitato a sostegno dell’Autonomia e Indipendenza della Banca Popolare di Sondrio. Perciò nessuna meraviglia che a chiudere una vicenda allucinante abbiano votato in assemblea straordinaria per la trasformazione soltanto 2514 soci pari al 1,67% degli aventi diritto di voto. Se fossimo ancora un paese democratico e di diritto qualcuno potrebbe porre in dubbio la validità di una delibera di trasformazione di questa importanza storica, presa da una così esigua superminoranza di soci e senza facoltà di esprimere pareri e commenti. Ma siamo un paese dove il governo impone una riforma di questa portata con un decreto legge convertito in voto di fiducia, il sindaco di Milano viene eletto da circa il 25% dei cittadini e, con questa modesta legittimazione, può letteralmente fare quello che vuole e dove parlamento e consigli comunali sono privati di ogni funzione se non quella di ricordarci la grande verità che John F. Kennedy pronunciò nel suo discorso all’ONU nel 1961: “Il conformismo è il carceriere della libertà e il nemico dello sviluppo”.


Nel 2026 si festeggerà il 150° anniversario della fondazione dell’Associazione delle Banche Popolari avvenuta nel 1876. Dodici anni prima, nel 1864, era nata la prima banca popolare italiana, la Banca Agricola Popolare di Lodi, con il contributo di Tiziano Zalli e di Luigi Luzzati. Due anni prima Tiziano Zalli, già fondatore della Società Generale di Mutuo Soccorso degli Operai, di cui presidente onorario era Giuseppe Garibaldi, aveva proposto la creazione di una cassa “perché senza ricorrere all’usura privata sempre ruinosa o al Monte di Pietà, l’operaio onesto potesse ottenere credito per provvedere a’ suoi bisogni domestici ed industriali sulla garanzia della sua onoratezza e del suo amore al lavoro.  Il contributo che le Banche Popolari, hanno dato al Paese ed ai propri territori nel corso di 150 anni, è stato immenso e non può, in questa sede, neppure essere riassunto.
L’esigenza di questo bilanciamento fra potere del capitale e democrazia economica non fu solo italiana ma fu presente in tutti i principali paesi, in primo luogo in Germania ma anche negli Stati Uniti proprio nel periodo della formazione dei grandi trust, delle grandi banche d'affari, dell'accumulo dei grandi patrimoni e della concentrazione dei redditi. Per conoscere questo periodo e le forti analogie con i nostri anni siamo oggi favoriti da un libro da poco uscito in Italia, edito negli Stati Uniti nel 1913 che unisce nove articoli pubblicati nello stesso anno, su Harper's Weekly, dal giurista ed economista Louis D. Brandeis, «I soldi degli altri e come i banchieri li usano», (Edizioni di storia e letteratura, 2014). Louis D. Brandeis è stato un eminente giurista ed economista americano della prima metà del '900. Ha as­sistito al formarsi delle grandi concentrazioni di potere finanziario, alla nascita dei grandi trust dell'acciaio, del petrolio, delle ferrovie, all'emergere delle grandi banche favorite dall'unione tra le attività di banca commerciale o di deposito e le attività di banche d'affari (la loro forza era basata, appunto, sulla possibilità di usare i soldi degli altri, dei depositanti, per i propri investimenti e affari). Si è battuto per l'intera vita contro la concentrazione del potere finanziario, come coautore della legislazione antitrust, come pubblicista battagliero, come stretto col­laboratore di Wilson nella campagna per la presidenza (vinta da Wilson) nel 1912. È interessante osservare che l'unico antidoto che Brandeis vede possibile per oppor­si allo strapotere dei grandi conglomerati finanziari è proprio il modello europeo del credito cooperativo e l'unico italiano citato nel libro è Luzzati, alfiere dello stesso. Dal 1915 al 1939, Brandeis è stato giudice della Corte Suprema degli USA, da dove ha condotto le sue continue battaglie contro i monopoli e le concentrazioni economiche e finanziarie, per la riforma del sistema bancario e la tutela dei diritti civili e del lavoro. Nel 1933, con Roosevelt vedrà realizzarsi il suo sogno del­la separazione, con il Glass-Steagall-Act, tra le banche commerciali (accettare depositi e fare prestiti) e le banche d’affari (fare emissioni e negoziazioni di titoli).  Nel frattempo, però l'oligarchia finanziaria, usando e abusando dei «soldi degli altri» aveva guadagnato cifre colossali e acquisito un potere, anche politico, enorme, che continua ancora oggi.


L'inquietante interesse del libro è che scopriamo che oggi — dopo lo svuotamento di fatto della legisla­zione antitrust, l'abrogazione, sotto la presidenza Clin­ton, del Glass-Steagall-Act, e il ritorno all'unione tra banche commerciali e di deposito e banche d'affari, la conseguente ripartenza virulenta della concentrazione di ricchezza economica e finanziaria, il proliferare di strumenti finanziari fuori da ogni controllo ("shadow banking system") — siamo più o meno ritornati nel si­stema generale ed anche da noi, all'inizio del ‘900. Co­me scrive, nell'eccellente introduzione, Lapo Berti: «La sconcertante conclusione che possiamo trarre noi oggi dal libro a cento anni esatti dalla sua prima pubblicazione e nel pieno di una crisi iniziata proprio con le banche e poi dilagata all'economia intera è che i fenomeni che analizza e discute sono gli stessi nostri, nonché, per chi voglia vederle, buona parte delle soluzioni che offre».  Dunque, tutto quello che sfugge a questo insensato e perico­losissimo gigantismo va cancellato. Il credito cooperativo e di territorio è estraneo al gigantismo finanziario e, per questo, va cancellato. Questa è l'unica verosimile motivazione del provvedimento che ha portato alla scomparsa delle principali banche popolari con il suo epilogo il 29.12.2021.
 



Quando scoppiò la crisi finanziaria del 2008, per qual­che tempo ci si è interrogati seriamente sulle cause della crisi e tra esse un grande peso fu assegnato al giganti­smo bancario.  Furo­no molte le voci che, allora, sostennero che la soluzione consisteva nel frenare e smontare il gigantismo banca­rio. In questo senso, per menzionare solo una persona che era parte del sistema, è possibile citare l'allora di­rettore della Banca dei Regolamenti Internazionali che si dichiarò apertamente nella direzione di smontare i gruppi bancari troppo grandi.
Ma anche la Banca Centrale Svizzera pubblicò un rapporto sui pericoli del gigantismo bancario e il suo vicepresidente Philipp Hildebrand si espresse aperta­mente per la riduzione dimensionale delle banche troppo grosse "senza remore e senza tabù". Tra i maggiori stu­diosi si può ricordare William Sharpe che dichiarò: «C'è una seria discussione da affrontare sulle istituzioni troppo grandi non solo per lasciarle fallire ma anche per poterle regolare...  Sicuramente certi gruppi erano diventati troppo grandi per poter funzionare non solo per poter fallire». Ma già nell'estate 2009 era possibile scrivere, che «l'in­tervento pubblico ha salvato, senza condizioni, il sistema bancario internazionale e la strategia del "too big to fail" ha stravinto» (Marco Vitale)[1], o come scrisse Bob Monks: «Solo gli storici saranno in grado di appurare se un Dipartimento del Tesoro, dal personale quasi interamente di formazione Goldman-Sachs, «segnalò" in qualche mo­do a un gruppo di pochi eletti che il gioco — prestiti 3.3:1, assicurati da asset incomprensibili — poteva continuare, contando sul fatto che ci sarebbe stato un estremo salva­taggio federale sotto forma di ristrutturazione del debito, garanzia o liquidità». Già, nel 2001 il rapporto del Working Par­ty presieduto da Roger W Ferguson, vicepresidente del Board of Governors del Federal Reserve System, ai quali parteciparono gli esperti di governo e banche centrali di molti paesi aveva illustrato le sei aree dove si concentravano le maggiori criticità del processo di concentrazione bancario allora da poco iniziato.
E cosa intende il famoso commentatore del Financial Times, Wolf, quando scrive: «Un'impresa bancaria troppo gran­de per essere lasciata fallire, non può essere gestita sulla base degli interessi degli azionisti, perché non fa più parte del mercato. O è possibile chiuderla oppure va gestita in un altro modo. È semplicemente e brutalmente così»? (Il Sole 24 Ore, 25 Giugno 2009).
E il confiteor di Greenspan, (a lungo osannato Governatore della Federal Bank americana e uno dei maggiori re­sponsabili del disastro del 2008), a chi è diretto, quando, nel 2013, scrive: «Le grandi banche sono entità sempre più complesse che generano un potenziale di rischi siste­mici ben più ampio del passato... Le ricerche condotte dal Federal Reserve. non hanno riscontrato economie di scala nelle banche, di là da quelle di modeste dimensioni. Non vedo alternative: bisogna costringere le banche a dimagrire al di sotto di una soglia tale che, se falliscono, cesseranno di costituire una minaccia per la stabilità della finanza dell'America»?
Sono tutte vecchie credenze che dobbiamo archivia­re, come il voto capitario? O sono solo cose giuste che qualcuno vuole cancellare, nonostante l'impressionante con­ferma empirica ricevuta dal 2008? E perché vogliono cancellarle? Perché sono estranee al sistema, esattamen­te come il credito cooperativo, come il voto capitario.
 


Ma questo pensiero dominante e sottostante alla pseudoriforma delle popolari del 2015 non è esattamente lo stesso che ci ha portato diritti al disastro finanziario del 2008? 0, come molti membri del pensiero dominante hanno scritto, questo è stato solo un piccolo incidente di percorso che non cambia la direzione di fondo? Le banche devono diventare sempre più grandi, sempre più omogenee, sempre più burocratiche, sempre più rigide, sempre più patrimonializzate, sempre più anonime e staccate dal territorio e da simili sentimentalismi, senza anima, identità e cultura? L'unica cosa che conta per costoro è che siano ben patrimonializzate ma, soprattutto, contendibili, per la gioia dei raider mondiali.
Questo e solo questo, ‘la contendibilità’, è, alla fine, l’unico vero motivo del d.l. 37/2015 che ha imposto alle 10 maggiori banche popolari di trasformarsi in SPA abbandonando quella grande invenzione che è stato ed è il voto capitario per bilanciare strapotere del capitale e democrazia economica. 
Tutti gli altri motivi addotti peer sostenere il colpo di mano per l’abolizione  delle principali banche popolari, (colpo di mano riuscito grazie ad un voto di fiducia che ha impedito ogni seria discussione pubblica o anche solo parlamentare, all’avventurismo del governo Renzi appoggiato dalla Banca d’Italia) sono manifestamente inconsistenti.
Non eravamo in pochi a sostenere questa posizione nel 2015. Basta rileggere l’analisi seria contenuta nell’appello sottoscritto allora da ben 156 economisti provenienti da un numero impressionante di Università di tutta Italia. Eppure, quest’analisi seria non è stata ritenuta neppure degna di discussione pubblica, se non altro per confutarla. Era dunque legittima la mia domanda (2016): “Ma che paese siamo diventati se procediamo a colpi di fiducia senza accettare un serio dibattito anche su argomenti di questa importanza sistemica e di questa complessità?” E come è possibile sostenere, senza vergognarsi che “La stella polare è la forza patrimoniale delle banche” (lectio magistralis del Direttore Generale della Banca d’Italia al Collegio Borromeo di Pavia, marzo 2015), come se questo fosse l’unico vero criterio?

 
La verità è che non esiste capitale sufficientemente alto per evitare gli effetti della “mala gestio”. Forse che il Monte dei Paschi di Siena (MPS), per fare un solo esempio, non aveva accumulato un patrimonio sufficientemente grande nei suoi 600 anni di storia senza distribuzione di dividenti, prima che questo patrimonio, una volta diventato SPA, venisse, in breve tempo, dilapidato da un dirigenza disastrosa, facilitata dalla forma di SPA, che ha operato indisturbata dagli organismi di vigilanza e secondo una strategia basata su quelle fusioni e acquisizioni così amate e raccomandate in alto luogo? Allora avevano torto i grandi banchieri come Mattioli o Dall’Amore, ed i fondatori di banche sane (come Tovini), quando dicevano che la solidità di una banca non è determinata dal patrimonio ma dall’onestà dei gestori e da corretti ed equilibrati rapporti tra le varie forme di attività e di passività?”. 
Poi la maggioranza dei 156 economisti di valore se la sono squagliata come neve al sole, per confermare,  una volta di più, la validità della riflessione sul coraggio del grande Manzoni; la maggioranza delle dieci banche popolari colpite dal provvedimento si sono affrettate a trasformarsi in SPA, senza se e senza ma, senza farsi domande di sorta e, così, senza se e senza ma, sono rapidamente, come tali, sparite; gli organi associativi delle banche popolari hanno  sollevato solo qualche tenue belato giornalistico; le altre banche minori (Bcc e banche private minori e territoriali) non hanno capito che la partita in gioco era di interesse generale e che bisognava unire le forze per difendere il ruolo delle banche minori e la loro diversità, contrastando la pericolosa e insensata isteria delle concentrazioni, che ancora oggi imperversa in certi ambienti pur in conflitto con le ormai poderose evidenze empiriche e con studi profondi ormai imponenti e che ha portato il sistema bancario italiano ad una concentrazione oligopolista senza eguali.
 


Solo la BPS ha resistito all’ingiunzione di doversi comunque trasformare in SPA. Ciò non è certo dovuto a spirito ribelle che è cosa lontanissima da questa banca e soprattutto dal suo servile consiglio di amministrazione e dalla sua tremolante presidenza, ma al fatto che non la banca ma alcuni suoi soci, con primo firmatario chi vi scrive, hanno voluto sottoporre al dovuto giudizio della magistratura la costituzionalità e la legalità del provvedimento legislativo. Abbiamo presentato ricorso alla Corte Costituzionale per verificare se il provvedimento di legge fosse costituzionale. In verità gli argomenti a favore della incostituzionalità della legge sono poderosi e molto convincenti, ma non sufficientemente convincenti per la Corte Costituzionale che, con una sentenza debolissima e balbettante, ha confermato la costituzionalità. Poi abbiamo fatto ricorso alla Corte di giustizia europea perché verificasse se il provvedimento italiano non violasse principi o norme dell’Unione Europea. E se così non è come si spiega che in nessun altro paese dell’Unione Europea e del mondo i governi hanno mai pensato di proibire la forma cooperativa a banche con un attivo superiore agli otto miliardi di euro? In Europa operano tante cooperative bancarie, presenti sui mercati internazionali, con attività che superano ampiamente non solo gli otto miliardi ma i 1000 miliardi di euro. Basti pensare ai colossi francesi e olandesi come Credit Agricole e Rabobank. I primi 50 gruppi bancari cooperativi europei presentano tutti un attivo di gran lunga superiore agli otto miliardi di euro con una media di 154 miliardi. Negli Stati Uniti le “Community Banks” (la forma bancaria minore più vicina alle nostre popolari e alle nostre BCC) sono molte e svolgono un ruolo importante per il sistema economico americano come gli studi approfonditi di Rainer Masera, anche recentemente, hanno illustrato e delle quali il Financial Times del 29 agosto 2021 ha scritto: “How US community banks became irreplaceable? La Corte europea, pur confermando la necessità del rispetto di alcuni fondamentali principi europei, come il principio di proporzionalità, ha concluso che questo controllo deve essere esercitato dallo Stato nazionale. Così siamo ricorsi al Consiglio di Stato che, con una lunga e impegnativa decisione, ha confermato la costituzionalità e legalità del provvedimento ma ha anche affermato la possibilità di uno schema basato su una banca SPA posseduta da una cooperativa, con tutte le caratteristiche proprie delle cooperative, compreso il voto capitario. Si è aperta così una possibilità nuova negata dalla Banca d’Italia e dalla BCE, nonostante il Consiglio di Stato la ammetta apertamente. Bene ha fatto la BPS ad attendere doverosamente l’esito di questo lungo e difficile iter giudiziario prima di dar corso alla trasformazione.

 
Ma ora la trasformazione era inevitabile essendosi esaurite le difese giudiziarie. Però si è avviato un dibattito sulla possibilità che la trasformazione in SPA venga accompagnata da alcune difese legali per mantenere, almeno in parte, le caratteristiche proprie di banca territoriale e socialmente responsabile, come è sempre stato nel suo statuto e nel suo operare. L’unica dichiarazione nell’assemblea lunare è stata quella del consigliere delegato e direttore generale Mario Alberto Pedranzini, un intervento onesto, lucido e appassionato che ha ripercorso la storia della Banca e che ha ribadito l’impegno a conservare gli antichi valori anche nella nuova forma giuridica. Ma non potrà mantenere la sua promessa da solo.
Secondo un gruppo di persone, valtellinesi o meno, compreso chi vi parla, ciò è, almeno in parte, possibile ma è escluso che il vertice della Banca riesca a realizzare queste difese da solo, senza il sostegno, lo stimolo e l’appoggio di un numero consistente di quei soci che si rendono conto che una BPS, senza difese, verrebbe necessariamente, prima o poi,  fagocitata da qualche gruppo finanziario forte e ciò sarebbe una grande perdita per il territorio e la popolazione valtellinese soprattutto per i ceti imprenditoriali, artigianali, professionali. Queste persone hanno perciò costituito un Comitato per sostenere l’autonomia e l’indipendenza della BPS. Il Comitato ha ad oggi raccolto oltre 800 adesioni oltre molti giudizi apertamente positivi da parte di personalità, operatori e studiosi del sistema bancario.
L’obiettivo del Comitato è unico, semplice e chiaro:
suscitare un dibattito pubblico per rendere la popolazione sempre più consapevole dell’importanza della partita in gioco. Per questo ci ripromettiamo di partecipare a dibattiti in Valle ovunque vi siano gruppi interessati. Personalmente mi auguro che, partendo da questo caso emblematico, si riapra anche un dibattito nazionale sullo stato del sistema bancario che, per le banche minori, comprese le BCC, e per le imprese minori, è pessimo e destinato a peggiorare, senza un riesame serio dell’intera questione.
 


La lettura della stampa locale successivamente alla trasformazione mi ha confortato. Finalmente un dibattito serio c’è stato, finalmente il territorio ha fatto sentire la sua voce, finalmente esponenti di alcuni ceti produttivi hanno espresso i loro timori e le loro esigenze. Anche il tema della Società Benefit sollevato dal Comitato è entrato nel dibattito e sulla stampa locale. Questo era l’obiettivo principale dichiarato dal Comitato in questa fase. Mario Pedranzini nel corso della conferenza stampa successiva, ha chiaramente espresso che la banca proseguirà nella sua strategia di grande attenzione e sostegno allo sviluppo del territorio.
Nessuna banca popolare ha avuto un addio così vivo e partecipato ed onorevole. Nessuna ha avuto la possibilità di esprimere pubblicamente l’orgoglio della propria storia unitamente a quella del proprio territorio. Sono tutte morte in silenzio, quasi vergognandosi. Ma l’esperienza di altre banche popolari che, all’inizio, hanno espresso analoghi sentimenti ed impegni, ma che   poi non hanno resistito all’offensiva del capitale e alla favola delle grandi dimensioni, ci dimostra che queste dichiarazioni di impegni, ancorché pronunciate con convinzione e in buona fede, non sono sufficienti. Bisogna apprestare delle appropriate difese.  Perciò il Comitato continuerà la sua battaglia nella convinzione che non si tratta di una battaglia solo per la BPS ma per la democrazia economica nella profonda convinzione che una oligarchia bancaria come quella che si è creata oggi in Italia è inaccettabile per un sistema economico basato sulla vitalità delle imprese piccole e medie. Il 18 gennaio 2016 scrivevo: La nostra Costituzione è un grande baluardo per resistere a ulteriori concentrazioni di potere finanzia­rio, per una economia ed una finanza partecipativa dove c'è posto per i grandi e per i piccoli, per un'eco­nomia del libero intraprendere ma nel rispetto di di­ritti sovraordinati, in rapporto a quelli, pur legittimi, della buona finanza; per un'economia, una società, una cultura equilibrate che si oppongano all'unifor­mità ed omogeneizzazione tecnocratica per le quali solo le grandi dimensioni meritano rispetto. Ecco perché non perdono occasione per tentare di scardinarla. Questa, e semplicemente questa, è la partita in gioco nel tentativo in atto di omogeneiz­zare e banalizzare tutte le nostre strutture bancarie, per sottoporle al pensiero unico di chi pensa che le banche popolari, e tutto il credito cooperativo, sia­no un'anomalia del sistema. Ed in effetti si tratta di un'anomalia rispetto al LORO sistema. Ma il loro siste­ma è esattamente quello che i padri costituenti non volevano”.
 
E che anche noi continuiamo a non volere, nonostante le battaglie perse.
 


Nota
[1] Marco Vitale, Passaggio al Futuro. Oltre la crisi attraverso la crisi, Ed. Egea (2010). È impressionante rileggere queste pagine, scritte nell'estate 2009. Il Working Party Ferguson fu diffuso da BRI, OECD, Fondo Monetario con il titolo: "Report on Consolidation in the finan­cial sector" datato gennaio 2001. La Banca d'Italia lo circolarizzò con traduzione italiana intorno al febbraio 2001.
 
[Milano, 29 dicembre 2021]
 


Privacy Policy