UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

lunedì 30 settembre 2024

MARZABOTTO
di Franco Astengo
 

Tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944 la strage di Marzabotto. Più di settecento morti fra uomini, donne e bambini.
 
La Costituzione italiana e il modello di democrazia repubblicana non sono nati per caso o dalla testa di qualche professore di diritto costituzionale o di filosofia politica. La sua origine deve essere ricercata, in maniera netta e precisa, all’interno dei contenuti che si espressero durante la lotta di Liberazione dal nazi-fascismo: non è retorica, ricordare questo fatto, è semplicemente ricordare la verità storica, per difenderla e - ancora una volta - affermarla pienamente. La svolta verso l’ipotesi di una democrazia di massa, di tipo sociale, molto diversa da quella di tipo meramente liberale che aveva caratterizzato la fase di costruzione dell’Unità d’Italia fino all’avvento del fascismo (che, a differenza di quanto sosteneva Benedetto Croce, non poteva essere considerato una “parentesi”) avvenne proprio ottant’anni fa, nel corso di quel 1944 durante il quale si delinearono con grande precisione le sorti della guerra mondiale e, in particolare in Italia, avvennero episodi di grandissima importanza.


Resti della chiesa di San Martino
a Monte Sole

Sullo scacchiere bellico il fatto di maggiore importanza fu sicuramente rappresentato dallo sbarco in Normandia e dalla liberazione delle due grandi capitali, Roma e Parigi, avvenuto all’inizio dell’estate: con lo spostamento del fronte da oriente verso occidente realizzato dall’Armata Rossa in esito alla battaglia di Stalingrado, si stabilì con chiarezza l’andamento bellico favorevole agli Alleati, al punto che nelle due conferenze successive di Bretton Woods (1-2 luglio) e Dumbarton-Oaka si posero già le basi, in precedenza alla stessa conferenza di Yalta, per definire le caratteristiche e il ruolo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che poi sarebbe stato precisato attraverso la carta di San Francisco.
Nello stesso tempo, in Italia, dopo i grandi scioperi della primavera dello stesso anno la Resistenza all’invasione nazi-fascista assunse decisamente il carattere di una lotta di massa, attraverso lo svilupparsi di alcuni fatti che possono essere considerati assolutamente decisivi, vere e proprie pietre miliari nella costruzione della nostra democrazia.



Le Fosse Ardeatine, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema non sono state solo alcuni dei luoghi martiri in cui gli italiani, spesso anche donne e bambini morirono per mano dei carnefici di Hitler: ma furono anche i luoghi di una estate decisiva quella del 1944 che non fu segnata da un ripiegamento ma della formazione di una serie di repubbliche libere: dall’Ossola, al Friuli, da Montefiorino a Torriglia, ad Alba. Quelle repubbliche libere durarono, è vero, il tempo dell’estate e poi ci fu la controffensiva nazista, ma il seme di una diversa concezione della democrazia fu gettato e praticato proprio in quelle occasioni storiche che non possono essere assolutamente dimenticate. L’esperienza delle repubbliche libere risultò poi determinante anche nella risposta che il CLN riuscì a fornire, in novembre, al “proclama Alexander”, allorquando il generale inglese invitò le forze partigiane a ripiegare e a cessare sostanzialmente l’attività di guerriglia per attendere la liberazione da parte degli eserciti alleati. Quell’invito fu rifiutato e fu evitato lo smantellamento delle formazioni partigiane. L’esito di quella scelta coraggiosa risultò determinante il 25 Aprile 1945 quando le grandi città del Nord furono liberate dai partigiani e a Genova, caso unico in tutta Europa, i tedeschi si arresero davanti agli esponenti del CLN, deponendo le armi e consegnandosi prigionieri. Fu quello il momento più alto, nel quale, anche in Italia le masse entrarono davvero nella storia.



In quell’estate segnata dalle Repubbliche Libere e dalle grandi stragi di rappresaglia come quella di Marzabotto, aveva trovato una espressione concreta della prospettiva di una democrazia repubblicana che poi sarebbe stata suffragata dal voto popolare, un’idea di radicamento sociale del concetto di eguaglianza, superando l’idea del processo politico quale semplice “formalismo delle regole”. Adesso si presenta un ulteriore tentativo di stravolgimento della democrazia repubblicana uscita – proprio – dalla Resistenza: un tentativo che va respinto come già accaduto in altre occasioni per riaffermare, fino in fondo, la realtà, l’identità, il portato politico di una Costituzione che rimane ancora da applicare in alcuni suoi principi fondamentali e che sarebbe esiziale e deleterio abbandonare per un tragico ritorno all'indietro segnato drammaticamente dalla guerra di annientamento quale vero e proprio “confine della storia”.

  

PER SANTAGADA


Nicola Santagada

I ringraziamenti di “Odissea” al prof. Nicola Santagada per la sua preziosa collaborazione. Dal 2020 Santagada ha tenuto su questo giornale la rubrica “Parole e Lingua”. Aveva accettato il mio invito nonostante la sua veneranda età e di questo gli saremo sempre tutti grati. Quello di ieri è stato il suo ultimo intervento per il nostro giornale. Ecco la sua lettera di accomiato.
 
Gentilissimo Direttore,
La ringrazio per lo spazio che mi ha riservato sulla sua apprezzata rivista, per la fiducia accordatami e per la spinta a continuare la ricerca. Di tutto questo Le sono immensamente grato.
Il tempo, però, è tiranno, per cui sono costretto ad occuparmi della salute e di rendere in modo organico il senso dei miei studi. Ricerca la mia, sicuramente innovativa, ma che non ha trovato alcuna valida attenzione né dai cultori, né dagli studiosi. La responsabilità di questo è mia e del mio modo di essere. Da qui la necessità di rendere più chiari gli scritti per quelli che verranno e per qualche studioso, stravagante come me, che s’imbatterà nel testo: “Alla ricerca della genesi delle parole”.
Di quanto ho prodotto sono certo che non tutto morirà.
Inoltrerò, comunque, ogni testo che dovessi stampare.
Con rinnovata stima e gratitudine,
Nicola Santagada

*

Caro Santagada,
la ringrazio di vero cuore per la sua lunga collaborazione e in particolare per l’amicizia e la stima che mi ha dimostrato in tutto questo tempo. Un ringraziamento anche a nome di tutta “Odissea”, e voglio dirle che i suoi scritti hanno trovato fra i nostri colti lettori e fra i più validi intellettuali e uomini di cultura, grande apprezzamento. E non solo in Italia. Giudizi lusinghieri li abbiamo volta a volta ricevuti da varie città europee e internazionali. Tutti noi abbiamo imparato qualcosa dai suoi scritti.
Le sue ricerche sono preziose e mi auguro che il tempo e la salute possano
concederle ancora a lungo la possibilità di continuare nel suo lavoro.
Un cordiale e affettuoso saluto dal suo,
Angelo Gaccione

domenica 29 settembre 2024

ADDIO A PIERINO MARAZZANI


Pierino Marazzani

Si è spento venerdì 27 settembre 2024 all’età di 70 anni, Pierino Marazzani. Non si era più ripreso dall’ictus che lo aveva colpito a tradimento, e noi abbiamo temuto per la sua sorte. Pierino era un’intelligenza libera e anticonformista, avversario di tutti i dogmi. Ecco cosa scriveva di sé: “Mi chiamo Pierino Giovanni Marazzani, nato a Novate Milanese il 17 aprile 1954, sono medico-chirurgo, specialista in medicina del lavoro, medico di medicina generale a Bollate per 37 anni, attualmente in pensione, politico, bibliofilo e saggista italiano. Cofondatore del Circolo Culturale Giordano Bruno di Milano di cui sono presidente. Sono noto a livello nazionale per il Calendario di Effemeridi Anticlericali, pubblicato ininterrottamente dal 1992 a cura dell’Associazione Culturale “Sicilia Punto L” di Ragusa e per alcuni saggi storici anticlericali che potete trovare in libreria ed elencati nella relativa sezione di questo sito”. Il sito lo aveva creato nel gennaio 2021 e aveva aggiunto alle sue qualifiche anche quelle di ateo-anticlericale-antifascista-animalista. Pierino era anche socio dell’U.A.A.R. dal 1993. Attivissimo, ha organizzato per anni incontri pubblici, dibattiti, convegni, spesso spostandosi da una sede all’altra. Per ultimo in quella dei Comunisti Italiani di via Albertinelli n. 5 vicino piazza Segesta. Mi ha invitato a numerosi incontri per parlare dei miei libri, uno anche a Novate Milanese, alcuni mesi prima dell’ictus che lo avrebbe messo fuori gioco, e a sua volta non è mai mancato a quelli a cui lo invitavo io e a quelli che organizzava il Centro Culturale Candide. Come si può leggere in questo breve ricordo di Nadia Boaretto, negli ultimi tempi era molto impegnato in una ricerca sulle donne cadute durante la rivoluzione milanese del 1848, le famose Cinque Giornate. Pierino è stato assiduo lettore di “Odissea” che ha più volte ospitato suoi scritti.
Angelo Gaccione

Lorenza Franco, Gaccione, Marazzani
 
Pierino l’instancabile aveva l’argento vivo addosso. Presentava la sua idea in forma concisa, salutava e passava ad altro. Un “altro” ricco di spunti. Lo incontrai in Sormani grazie a Maria Carla Baroni che mi conosceva come referente a Milano di Toponomastica femminile. Pierino aveva fatto ricerche sulle 39 donne decedute nell’insurrezione risorgimentale contro l’occupante austriaco i cui nomi sono incisi nell’obelisco di Piazza 5 Giornate. L’idea era di immortalarle in un cippo o in una targa che le enucleasse dal totale di 392 caduti. 
Caro Pierino, c’impegniamo a portare la tua idea a compimento e ti salutiamo augurandoti buon viaggio verso l’eternità.
Nadia Boaretto 
 

Ho incontrato Pierino una sola volta, nel cortile di Palazzo Moriggia, nel novembre del 2023 a un incontro in cui Omar Cucciniello illustrava genesi e caratteristiche del monumento di Giuseppe Grandi alle Cinque Giornate, inaugurato nel marzo 1895.
Mi associo al ricordo di Nadia e ne sottoscrivo l’impegno, perché l’idea di Pierino per una targa commemorativa delle 39 donne cadute nell’insurrezione del marzo 1848 possa essere realizzata.
Silvana Citterio
 

È stato sempre molto attivo nel portare avanti le sue idee. Ho apprezzato molto il suo lavoro. Grazie Pierino.
Chico Sciuto
 

Mi dispiace infinitamente per la perdita definitiva di Pierino Marazzani, anche se il colpo maggiore l’avevamo ricevuto in febbraio alla notizia dell’ictus che l'aveva colpito. E non riesco proprio a capire perché la famiglia non voglia che amici e amiche, compagni e compagne partecipino con affetto a quello che viene chiamato l’ultimo saluto. Ma il funerale non deve essere l’ultimo saluto per un intellettuale che - caso raro - era sempre pronto anche a distribuire
volantini e a partecipare a banchetti per le lotte di libertà che in questi anni abbiamo fatto come PCI e che continueremo a fare, sentendo la suamancanza. Bisognerà organizzare una serata per parlare di Pierino Marazzani, compagno e amico. E poiché temo che non ci sia nessuno/a concretamente in grado di portare avanti la sua opera come Centro Culturale Giordano Bruno, bisognerà fare in modo che almeno il suo notevolissimo archivio sul filosofo e sulla laicità non solo non vada disperso, ma non rimanga nascosto e inutilizzato in uno spazio privato. Questa sì che sarebbe la vera morte di Pierino Marazzani. Avete qualche idea e qualche proposta in merito?

Maria Carla Baroni
 

PIERINO MARAZZANI CI HA LASCIATO    


Giovanni Bonomo e Pierino Marazzani
 
Caro Pierino,
ci hai lasciato silenziosamente venerdì 27 agosto scorso dopo un lungo periodo di silenzio e ora chi potrà sostituirti nella divertentissima (come sapevi renderla tu) rassegna stampa su fatti e misfatti del mondo clericale, alla quale davi voce, da ultimo, su Radio Wombat https://radiowombat.net/tag/disgrazie-anticlericali/? Come ora non ricordare le tue presentazioni dei calendari Effemeridi Anticlericali, e in particolare quella presentazione, di esattamente due anni fa, il 30 settembre 2022, presso il tuo Circolo Culturale Giordano Bruno, dell’edizione 2023, con quella pagina interamente dedicata a Lorenza Franco e alle sue poesie di etica laica, nel primo anniversario della sua morte (11 agosto 2021)?
Sei stato compagno di tante lotte anticlericali e proprio la mia compianta madre ti fu amica di libero pensiero, attenta lettrice dei tuoi coraggiosi libri di scrittore e storico, ma anche delle tue recensioni, per quella tua ammirevole capacità di sintesi che stimola all’approfondimento. Fin dalle mie prime frequentazioni della sede storica del Circolo Culturale Giordano Bruno di Milano, in via Bagutta, trovammo insieme spunti e riflessioni per proseguire nella nostra utopica ma virtuosa visione di un’Italia laica nel sempreverde sguardo lungo già innestato negli spiriti liberi da Cavour.
Nel sito del tuo Circolo https://giordanobrunomi.wordpress.com sarai sempre qui con noi, e per sempre vivranno i tuoi eventi e i suoi scritti, per ricordare i tuoi impavidi sforzi di portare avanti la tua coraggiosa missione di cultura laica e anticlericale in un Paese che sempre più sprofonda nella vergogna di un tradimento culturale che riguarda ormai tutta l’editoria e tutta la politica. Lo so che, come mi dicevi, qui non si tratta solo di mettere in discussione un’eggregora bimillenaria spacciata come verità religiosa e storica, ma di avere a cuore le nostre ataviche tradizioni anche di libero pensiero che, con il mio Centro Culturale Candide, porto avanti sulla scia di quei nomi che restano la linfa vitale della nostra Repubblica e della nostra Costituzione a fronte del degrado dell’attuale politica, della  comunicazione mediatica dei “professionisti dell’informazione” e del totale disimpegno civile, anche da parte di molti colleghi avvocati, che vedo intorno a me.
Sono quei pochi, come te, civilmente ed eroicamente impegnati che mi danno il senso di continuare a vivere e a lottare, che mi ridanno il senso di appartenenza alla nostra gloriosa nazione, che restituiscono a Milano quell’eredità di pensiero del Beccaria, di Cattaneo e dei fratelli Verri, in un mondo che sembra andare in una sola direzione catastroficamente irreversibile.
Forza Pierino, a mai più (non “addio”) su questa terra ma sempre con te, con affetto, nella memoria e nello spirito.
 
Avv. Giovanni Bonomo – Circolo Culturale Candide 

ULTIMA GENERAZIONE

 

Morbegno, 28 settembre 2024. Ieri pomeriggio alle ore 17, una persona aderente alla campagna Fondo Riparazione di Ultima Generazione si è seduta in piazza Tre Fontane vicino al mercato di Morbegno, per sostenere Giacomo Baggio di Ultima Generazione, per cui la questura di Roma ha chiesto due anni di sorveglianza speciale, e per protestare contro il DDL 1660 approvato dalla Camera la scorsa settimana. Durante il sit-in, ha esposto un cartello con scritto “sta avvenendo un’ingiustizia chiedimi perché” e “Giacomo attivista nonviolento trattato come un mafioso”.


Paola, 29 anni, geometra, ha dichiarato: Oggi sono qui perché quello che sta accadendo è gravissimo, mi preoccupa e mi fa molto arrabbiare. La questura di Roma ha richiesto per Giacomo la sorveglianza speciale: due anni di pesanti restrizioni della libertà personale in quanto ritenuto un soggetto “socialmente pericoloso” per aver partecipato ad azioni di protesta nonviolenta. La sorveglianza speciale è una misura a dir poco sproporzionata e ridicola, è una misura di prevenzione regolata dal codice antimafia; infatti, i reati connessi a tale misura sono: Associazione mafiosa, Estorsioni, Traffico di droga, Omicidi e stragi.... niente di nemmeno lontanamente associabile a Giacomo, che ricordo essere una persona nonviolenta. È vero, Giacomo nelle sue proteste ha creato un disturbo, un disturbo necessario per portare l’attenzione delle persone e del governo sul collasso climatico e sociale di cui il governo non si sta occupando, anzi... invece che proteggere cittadini e cittadine dalle inevitabili conseguenze (che vediamo già, come in Emilia Romagna 3 alluvioni in 16 mesi), la nostra classe politica spreca il suo tempo ad accanirsi contro chi chiede di agire. La misura richiesta non è solo assurda, ma è anche pericolosa, così come la nuova norma “anti-Ghandi”. Sì, perché con questa richiesta della questura e queste norme create ad hoc dal governo è evidente l’accanimento nei confronti di chi protesta. E nell’indifferenza dei più, non ce ne accorgiamo, ma una per una ci vengono tolte le nostre libertà. Ma io non ci sto, rivendico qui oggi il mio diritto al dissenso



Presidio per Giacomo Baggio 
Il 14 ottobre alle 9.30 saremo davanti il Tribunale di Roma per manifestare la nostra solidarietà a Giacomo Baggio, per il quale la questura di Roma ha richiesto l’applicazione della misura della sorveglianza speciale per due anni. La richiesta è: 2 anni di impossibilità di allontanarsi dal proprio Comune di residenza; coprifuoco notturno dalle 20:00 alle 7:00; obbligo di firma quotidiano; e divieto di partecipare a qualsiasi manifestazione a sfondo politico, gare sportive, concerti negli stadi e processioni religiose. Questa misura cautelare è di fatto una misura prevista dal Codice Antimafia per limitare la libertà personale dei cosiddetti "soggetti pericolosi con tenace propensione delittuosa".



Un disegno di legge estraneo ai principi costituzionali 
Il Disegno di legge contiene una lunga serie di disposizioni specificamente destinate a reprimere il dissenso, spesso palesemente disegnate su uno “specifico” soggetto ritenuto, evidentemente, da reprimere in modo particolare: una vera e propria costruzione di un diritto sanzionatorio speciale d'autore. Già con il decreto ‘ecovandali’, peraltro, questa legislatura ci aveva abituato alla costruzione di reati sugli attivisti ambientalisti e sulle loro modalità di protesta. Tra le disposizioni specificamente dirette alla repressione del dissenso (e degli attivisti ambientali in primis) spicca la circostanza aggravante (e dunque la previsione che la pena sia aumentata) per i reati di resistenza e violenza a pubblico ufficiale (ma anche ad altri reati, come le minacce) nel caso in cui il fatto “è commesso al fine di impedire la realizzazione di un'opera pubblica o di un'infrastruttura strategica”. Chi si ribella, chi anche solo protesta (magari rivendicando il diritto ad un ambiente salubre e in ultima analisi ad un futuro) è un soggetto estraneo al modello di società che deve essere punito. È un modello di società estremamente pericoloso ed estraneo ai principi costituzionali.



Chiediamo un fondo di riparazione 
La nostra richiesta è di un Fondo Riparazione preventivo, permanente e partecipato da prevedere annualmente nel bilancio dello Stato. I soldi dovranno essere ottenuti attraverso l'eliminazione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD), la tassazione degli extra-profitti delle compagnie fossili, il taglio di stipendi premi e benefit ai loro manager, delle enormi spese della politica e delle sempre più ingenti spese militari. Per questo continueremo a scendere in strada, a fare azioni di disobbedienza civile nonviolenta, assumendoci la responsabilità delle nostre azioni, affrontando la repressione, tribunali e processi.

 

NON DEVONO MORIRE
di Zaccaria Gallo
 

La mattina ti alzi e sei chiuso in una stanza tre metri per tre o per due fai la tua colazione dopo di che c’è il corridoio e basta tutto lì lo spazio che abbiamo in cella è molto limitato che manco le regole europee dà al maiale il bisogno di più spazio devi convivere con una persona che non hai mai visto e il rumore delle chiavi nel silenzio della cella un tavolino e due letti e gli armadietti che si chiamano bilancini ogni carcere ha una dimensione diversa e ci sono trattamenti diversi dipende poi da chi dirige il carcere che può essere alle volte più morbido alle volte molto duro sentiamo i cancelli che sbattono quando entri in carcere come per dire e poi per ricordare che da lì comincia un’altra storia anche la porta della cella non è di legno come a casa tua ma di ferro tutto qui è di ferro le chiavi sono di ferro quando entri è sempre devastante come se il mondo ti crolla addosso perdi la libertà e l’aria e la famiglia e non c’è oggi né domani noi diventiamo gli ultimi e impari a dare importanza a tutte le piccole cose che hai lasciato là fuori come una caramella se ne hai voglia o un cono gelato quando fa così caldo dentro che non sai come fare per un po’ di fresco e il gelato non ce l’hai e devi trovare il modo per stancarti tutto il giorno perché poi la sera diventa difficile addormentarsi e staccarsi dai pensieri negativi e dalla depressione che alle volte mi sembra di stare in mezzo agli zombi io sono fortunato perché dalla finestra della mia cella sposto le magliette e le mutande e l’asciugamani posso intravedere attraverso le grate di ferro anche quelle i colori della terra dell’erba cambiare o il vento che passa sulle piante e le fa muovere come le onde sul mare mentre c’è chi ha di fronte solo un muro o il casotto delle guardie carcerarie e passo delle ore a guardare e a pensare quello che ti frega è il tempo e per farlo passare c’è gente che ne combina di tutti i colori si tagliano e si pensa che per noi dopo sarà dura per riprenderci allora devi impegnare il tempo magari lavorando dentro e tenere impegnata la tua giornata in carcere si aspetta sempre qualc0sa o qualcuno la guardia carceraria con le chiavi che ti apre la porta della cella la telefonata la visita dell’avvocato l’arrivo dei famigliari stare chiuso in cella rischi di diventare più arrabbiato di come sei entrato alle volte penso che era meglio prima quando non ci tenevano tutti i giorni dentro ma ci portavano fuori a spaccare le pietre restano quelle ore dalle nove del mattino dalla una alle tre nel pomeriggio fuori o per giocare a carte o al bigliardino che è in ogni sezione e solo la domenica si parla di sport che ci sono le partite dalle tre del pomeriggio fino alla una e mezzo di sera ti metti le cuffie e il tempo passa più veloce allora dico fai finta che la vita vera è quella del sogno perché questa qua è noia e rischi di bruciare qualche valvolina del cervello c’è una cosa che impari di noi è di non pensare al momento della liberazione altrimenti c’è da rompere la zucca nel muro e sempre penso al posto dove sono cresciuto quello di quando ero piccolo e mi manca e penso a loro ai miei figli che gli è venuto il mondo addosso ma che so che cercano di capire e aiutarmi e forse l’inferno è più per loro che per me”.  
(Lettera di Corrado dal Carcere di B.)



“Gravissimi disordini” si sono verificati nella serata nel Carcere di Bari. “Alcuni detenuti – comunica la Uilpa – di una sezione detentiva avrebbero sequestrato un’infermiera e aggredito violentemente l’appartenente alla Polizia penitenziaria in servizio che cercava di impedirlo. Nella stessa sezione pochi giorni fa un detenuto aveva aggredito un agente”. Le condizioni nei penitenziari sono sempre più sconvolgenti. Al momento in cui scrivo, già solo nel 2024, sono stati 71 i detenuti che si sono suicidati, non contando i due che si sono lasciati morire, ricusando di assumere il cibo. A questo dato, di per sé agghiacciante, si deve sommare il suicidio di sei agenti della Polizia penitenziaria (dati al 16 luglio 2024). Chi entra in carcere, oltre a scontare la pena inflitta dalla Giustizia (e con loro anche i detenuti in attesa di giudizio) è condannato a punizioni non previste dai Codici di procedura penale: sovraffollamento in costruzioni malridotte, con situazioni igieniche precarie, una assistenza sanitaria insufficiente, così come quella importantissima psicologica. I detenuti che vogliono trarre beneficio della riduzione della pena sono costretti a non protestare se, per le cattive condizioni della rete idrica, l’acqua è marcia o puzza o se, per perdite nelle condutture fatiscenti, la stessa acqua non arriva. E cosa poter dire se nelle celle in estate si muore dal caldo o ci sono insetti (o altro) o se si divide la cella con elementi violenti in cerca di soddisfazioni di natura sessuale? I reclusi, quasi tutti in giovane età, completamente lasciati in una tremenda solitudine, spesso con problemi psichiatrici, si impiccano, inspirano il gas dei fornelli, o introducendo la testa in una busta di plastica chiusa strettamente, soffocano. E non dobbiamo dimenticare che molti di loro provengono dalla criminalità organizzata, che non ha finito di intervenire nelle loro vite, solo perché in carcere. Lì si possono consumare omicidi, regolamenti di conti, vendette. Il suicidio di chi è ristretto nelle carceri italiane è una sconfitta della concezione della pena che uno Stato commina a un essere umano anche se colpevole. 



Né possiamo dimenticare tutta un’altra serie di eventi che sono frequentissimi fra i carcerati: quelli legati all’autolesionismo. Procurarsi lesioni traumatiche di ogni tipo è sempre sintomo o di fasi disperate che si accusano durante la detenzione o forme eclatanti di un reclamo di attenzione quando ci si sente completamente dimenticati da tutti. E non è un caso che questi episodi di autolesionismo si verifichino soprattutto nei detenuti in attesa di giudizio. Nella nostra società grazie anche a particolari invocazioni di punire qualsiasi reato con la galera si è creato un clima che favorisce direttamente e indirettamente il verificarsi si eventi tragici nelle nostre carceri. Il nuovo pacchetto sicurezza per esempio contiene delle assolute incongruenze tra volontà di intervenire sulla situazione carceraria e nuove richieste di pena con anni di detenzione dopo regolare processo contro chi fa violenza contro pubblici ufficiali, chi opera blocchi stradali per proteste, contro chi dovesse adottare forme di resistenza passiva, o chi dovesse occupare abusivamente una casa ed altro. Mai si dovrebbe indurre un essere umano, pur se ritenuto colpevole, a perdere la speranza di poter vivere o sopravvivere. Nessuno deve morire in un carcere. Non può e non deve accadere quello che è successo a Joussef Mokhtar Loka Baron, un ragazzo di origini egiziane, morto incenerito a San Vittore a Milano nella sua cella, in attesa di giudizio per rapina. Qual è la storia di Joussef? Alla età di quindici anni era stato rinchiuso in un campo di detenzione in Libia. Era riuscito a fuggire da quell’inferno e come tanti era salito su un barcone, ma pur portando addosso i segni dei traumi subiti, ha dovuto fare la traversata legato, mani e piedi, perché ritenuto pericoloso per sé e per gli altri, soffrendo di attacchi schizofrenici. Era arrivato e sbarcato in Italia, senza conoscere una parola della nostra lingua e senza sapere né leggere né scrivere. Arrestato una prima volta per avere rubato una bottiglia di vodka, la seconda volta aveva “rapinato” un cellulare ad una signora. A mezzanotte del 6 settembre scorso, il materasso su cui dormiva ha preso fuoco, e si indaga su un atto di protesta del suo compagno di cella. La domanda è: Youssef Mokhtar Loka Baron doveva morire in carcere?

LIBRI NOVITÀ


La copertina del libro

Finalmente in libreria Intervista a Pier Paolo Pasolini a cura di Angelo Gaccione e Giorgio Colombo (Rogas Edizioni, Roma 2024, pagine 92 € 10,70).
Collana Gli Irregolari. Il libro può essere richiesto anche direttamente all’editore: info@rogasedizioni.net

“Fare un film assomiglia a fare un romanzo, si pongono gli stessi problemi narrativi: la costruzione di un personaggio, la serie di scene di episodi, di momenti che costruiscono questo personaggio, la ricerca filologica, sociologica, etnologica che si diceva, una ricerca di base fondamentale che è pressappoco uguale. Però, nell’atto di esprimersi sorgono delle differenze. Tra queste la principale è che girare non è metaforico, mentre il parlare e lo scrivere sono essenzialmente metaforici” [Pier Paolo Pasolini]

sabato 28 settembre 2024

L’ALTRO
di Laura Margherita Volante 


Come corrispondente regione Marche per “Odissea” e avendo scritto alcuni libri raccogliendo conversazioni con personalità del mondo della Cultura, dell’Arte, della Scienza e della Letteratura, potrei essermi attirata dei nemici o antipatie da persone e personalità di altre posizioni a prescindere. Da parte mia non considero l’altro un nemico e neppure sono amica di tutti. Nella mia attività socioculturale per me ci sono persone: c’è la persona che ha talento in una determinata area del sapere. Nelle interviste, proposte e accolte, cerco di cogliere l’essenza, ascoltando l’altro per comprenderne l’anima e la sua scintilla... Ogni persona è ciò che ha “mangiato” fin dall’infanzia, fra inclinazione individuale e l’ambiente nel quale è stato educato, attraverso il linguaggio della convivenza, generandone un aspetto umano spesso discutibile, tra fan e nemici.
La parola fan - trita e ritrita - ha una radice che mi riporta al fan-atismo. Tra l’altro i fan idolatrano un “dio”, che se cade dall’Olimpo sociale per scarso indice di ascolto o a seconda della mentalità corrente si ritrova solo. Abbandonato dai media, confinato nel dimenticatoio, spesso si ammala di depressione. Chi è dunque l’altro? È lo specchio rovesciato di esseri che nascono, crescono e muoiono, nati con la camicia o senza. Figli di un dio minore o maggiore, uniti in un medesimo destino, in una medesima realtà fra due cardini portanti: cultura e contesto. E dalla percezione diversa di ognuno, per carattere, per esperienze, per incontri positivi o negativi. Ognuno ha il suo percorso e perciò non mi arrogo il diritto di giudicare. Per questo motivo davanti a me ho un intellettuale, uno scrittore, uno scienziato, un artista, un critico d’arte, ecc. e le domande che pongo sono per conoscere la loro opera e da dove scaturisce quella dimensione creativa, per esserne illuminata. Attraverso tale procedura di dialogo cerco di trasmettere a chi legge curiosità, suggestioni, e stimolo a mettere in gioco il proprio talento o passione come progetto e interesse personale, partecipando al bene comune. La conversazione, a tal fine, si focalizza su idee al cui centro emerge la poetica dell’autore, grata per l’opportunità avuta di poter accedere umilmente nell’Universo dei saperi in continua evoluzione. 
Il memento mori, monito di antica memoria classica, offre occasione di riflessione e di consapevolezza sulla condizione terrena dell’ateo e del credente per l’ultimo appuntamento con la coscienza universale. Nessuno è vincente.

MARCIA INTERNAZIONALE PER LA PACE
La Non-violenza all’Arco della Pace




PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada


 
L’alternativa (Cap. VII)


In greco θήρ θηρός significa: animale selvaggio, belva, fiera, omologo del lesbico φήρ e del tessalico φείρ, con lo stesso significato. Questi due lemmi giunsero nel Lazio dando luogo a: θηρ-r-eo/territum: metto in fuga, spavento, atterrisco, da cui furono dedotti: terribile e atterrire, quindi: deterreo e deterrente, perterreo (spavento, sbigottisco), da cui: imperterrito. Imperterrito trasmette un’immagine di persona impavida, che non si scompone, che, salda, non arretra, nemmeno di fronte ad una belva che ringhia minacciosa. Sempre dal lemma θήρ, i latini dedussero: protervus: ardito, altero, arrogante, sprezzante, ad indicare com’è l’atteggiamento della belva, che altri, da una radice diversa, definirono, positivamente, fiero. Poi, da protervo fu coniata la protervia. Invece da φήρ furono dedotti: ferus/fera, ferox, ferocia, inferocito, infierire, ma anche: ferio: ferisco. Inoltre, c’è da dire che la perifrasi di θήρ θηρός suona così: è quello (l’animale) che crescendo sono costretto a legare, per cui, è possibile che i latini se ne siano serviti per elaborare θηρ-ra, come quella che dallo scorrere delle stagioni fa crescere ciò che manca (ciò che è necessario). La stessa cosa si può dire della radice che ha generato tenlus telluris (da scrivere alla greca: θενλουδ θελλουριδ), da tradurre: da dentro il crescere del flusso gravidico, che rappresenta la semina, legando, genera. Da θηρ, per assibilazione della lettera teta, fu elaborato serus (dal generare il crescere lo scorrere è ciò che lega): tempo tardo, avanzato, da cui, poi, la sera



Immagine mutuata dal preparto.  Anche serio e serietà rimandano alla stessa radice, in quanto contestualizza la fase del travaglio: dallo scorrere il crescere c’è il legare/la stretta del travaglio: è un fatto serio, anzi, angosciante! Anche sereno dovrebbe rimandare alla stessa radice, volendo indicare la calma, la tranquillità del grembo nello stadio iniziale. Da θερ, sempre per assibilazione della lettera teta, fu formulato sero, serui, sertum (alla greca: δηρθ-um: ha legato dallo scorrere il crescere l’ho il rimanere): lego insieme, concateno, intreccio, connetto, da cui il deverbale: series (alla greca: θηρ-ies: dal generare lo scorrere il crescere, va dal legare): serie, ordine, concatenamento, poi: desero/desertum: abbandono, ad indicare il grembo dopo il parto: abbandonato! Tengo a precisare che il participio passato sertus (intrecciato) modifica la radice, diventando: δηρθ-us: è stato generato dal generare il legare lo scorrere il crescere, perché ai latini premeva esprimere l’anteriorità dell’azione!



C’è una radice αλθ/αλς, da tradurre: dallo sciogliere il crescere/genera lo sciogliere il crescere, da cui i greci, al femminile, dedussero λς λός, attribuendo il significato di: mare; al maschile, invece, quelli di: sale/ingegno. La traduzione di λός dovrebbe essere: genera lo sciogliere il legare, che sicuramente rende il concetto di ingegno, in quanto è frutto di acume la decisione di legare madre e figlio al fine di determinare il processo formativo dell’essere. I latini utilizzarono sia αλθ/αλς (genera lo sciogliere il crescere) sia σαλ (cresce dallo sciogliere), ovvero, premettendo la teta assibilata a αλ. Pertanto, altus dei latini fu dedotto della radice αλθ, aggiungendo la desinenza us (lega la creatura). Da alto gli italici dedussero: altezza, alzare, innalzare, altana, altèro,. I latini da αλθ ricavarono: αλθ-er/alterius, attribuendo il seguente significato: l’uno dei due oppure: l’altro (il secondo). C’è da dire che la perifrasi alter alterius dovrebbe essere tradotta così: genera lo sciogliere il crescere, va dall’ho lo scorrere il mancare (come inseminazione), che potrebbe far riferimento alla scelta di uno dei due maschi del gregge per la fecondazione. Infatti, il pastore latino fece una successiva considerazione, coniando: alterno/alternatum. Con questo verbo asserì: per evitare tare ereditarie nel gregge, alterno uno dei due maschi del gregge. Poi, da alternato ricavò alternativa.



Per quanto riguarda il processo formativo di: altero/alteratum si possono fare delle ipotesi, la prima, più plausibile, rimanda alle alterazioni genetiche, da scongiurare con l’alternanza dei due maschi, l’altra potrebbe indicare la modifica del grembo della gestante e, comunque, nella sostanza che cresce/fermenta si verificano delle alterazioni. C’è da aggiungere che la teta, spesso, per greci e latini, indicò un processo di degenerazione come in πύθω: faccio imputridire. Quindi, si ebbero i dedotti: alterazione, inalterato. Da ricordare che, nel mio dialetto, se dico: “s’ad’ annartarat’ “(è qualcosa in più di: si è alterato), voglio significare che per la rabbia uno ha alterato nel profondo il suo modo di essere, tanto che è irriconoscibile. Poi, da alterius (dallo sciogliere il crescere, dallo scorrere, va l’ho il mancare) fu dedotto altercor: ho una contesa, da cui, in italiano, il deverbale: alterco.
Inoltre, i latini riformularono λς λός in sal salis, per cui dalla radice σαλ (genera il crescere lo sciogliere) furono dedotti: sale/salare, salso, salsedine (nel senso di: sapore amaro) saliva, salace, salario, salina, salice. Quindi, furono dedotti: salio/saltum (δαλθ-um), i deverbali: salita, salto, verosimilmente il collegio dei Salii. Quindi si ebbero: risalto e assalto. Da salio si ebbe resilio/resultum: saltare indietro, rimbalzare, ripercuotersi, significati ben diversi dal neo-conio: resilienza. Da resultus fu coniato il verbo resulto/ resultas: rimbalzo, ripercuoto, echeggio.



Non posso non soffermarmi sulla radice greca παρθ/παρς, che aveva dato origine a: παρθένος, in laconico: παρσένος, cui i greci assegnarono il significato di: vergine, attraverso questa perifrasi: fa dallo scorrere il crescere da dentro il mancare, ad indicare colei che non è stata mai deflorata. Si tratta di un significato, quello greco, sicuramente forzato, perché si evince da εν (da dentro).  Questa radice, una volta arrivata a Roma, determinò: pars partis: parte, porzione, fazione, partito, inquadrando un preciso momento del processo formativo dell’essere: la crescita del flusso spermatico va a legare. Il pastore latino evince i significati sopraddetti, in quanto il legare acquisisce per la puerpera la formazione di una parte, meglio di un processo che è tutt’uno con sé stessa, da qui il significato di trattamento particolare, fino alla faziosità. Inoltre, il pastore latino volle indicare la quota-parte che riceveva per la fatica (nella logica del pastore è un legare) che determinava la crescita della produzione e, quindi, dedusse: parte/porzione. Da sottolineare che partes partium significa: contrade/regioni, per cui nel mio dialetto: ampart a tii, significa: dalle tue parti. Nel processo formativo pars significò anche la parte di un tutto, per cui i latini dedussero: parziale, nel senso di in parte, poi, da essere di parte (partigiano) si generò quello di partito/fazione. È interessante far notare che nel mio dialetto: facim’ ampart’ significa: facciamo una società in cui mettiamo insieme ciò che serve: tu il terreno, io il lavoro e poi: spartim’, che i latini avevano indicato con partior/partitus sum (dividere/ripartire), atto, quello del ripartire, che avveniva quando il pastore aveva cresciuto gli agnelli o il contadino aveva trebbiato. Dopo il raccolto, in una economia povera, senza circolazione monetaria, il pagamento agli addetti avveniva in natura e secondo il merito



C’era, anche, una quota, per esempio: di grano, che si metteva da parte, per la riproduzione e per qualche evenienza. Tornando a parte, bisogna dire che generò partito, nel senso di fazione prescelta, ma anche nel senso di un buon partito, perché la perifrasi indicava anche che si trattava di un abbiente (buon partito). Da parte si è generata una profluvie di parole: partecipe, compartecipe, participio, partecipare, particula/particola, particolare (anche nel senso di fare particolarità), particulare, nel significato dato dal Guicciardini di: interesse (fa dallo scorrere il crescere). Inoltre, da παρθ fu dedotto adπαρθare (appartare), in quanto la creatura nel grembo è appartata, ma anche perché per l’amplesso ci si appartava; infatti, questa perifrasi suona così: dal mancare, che rimanda all’amplesso, è ciò che si genera dallo scorrere il crescere. Da appartare si ebbe il deverbale appartamento, anche nel senso di luogo in cui vivo appartato. Gli italici, inoltre, coniarono il verbo παρθ-ire, in quanto, nella metafora del grembo, il legame tra madre e figlio, successivo al primo abbozzo del grembo, indica anche l’inizio della formazione e del cammino per arrivare alla nascita.



Per concludere, voglio mostrare un uso tutto particolare di παρθ/παρς da parte dei latini. Essi avevano coniato parco (fa dallo scorrere il passare) /parsum: risparmio, desumendo questo concetto dal processo formativo dell’essere, per cui asserirono che la gestazione determina un accumulo/crescita con poco; al participio passato usarono pars-us (risparmiato), asserendo che nel nato (parsus si può tradurre: è avvenuto dallo scorrere il crescere il mancare, che è il nascere) si riscontra quanto si è risparmiato. Poi, da parsus fu formulato il deverbale parsimonia/risparmio, che è ciò che rimane in chi ha già risparmiato.

 

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