GUERRA
BATTERIOLOGICA
di Jean Olaniszyn
Hirohito
Il grande segreto del Giappone:
gli indicibili crimini dell’Unità 731.
Circa un anno fa, nell’estate
del 2023, archeologi cinesi dell’Istituto di reperti culturali e archeologia
della provincia di Heilongjiang, identificarono nella Cina nord-orientale, i
resti di un grande bunker del famigerato “Dipartimento di prevenzione epidemica
e purificazione dell’acqua dell’esercito di Guandong, Gruppo dell’Esercito
Imperiale Giapponese, dal suo nome ufficiale, meglio conosciuto oggi con il
nome in codice usato negli anni ’30: Unità 731, guidata dal tenente generale
Shiro Ishii.
Durante l’occupazione giapponese della Cina dal 1931 al
1945, un centro operativo dell’Unità 731 a Pingfang (provincia di
Heilongjiang e amministrato dalla prefettura di Harbin) ospitò un
laboratorio sotterraneo segreto, da allora soprannominato “il Bunker dell’Orrore”,
dove i militari e gli scienziati giapponesi condussero raccapriccianti
esperimenti su soggetti umani.
L’Esercito imperiale del Giappone si macchiò di crimini
di guerra talmente orribili che osservatori dell’alleato
tedesco lo definirono “una macchina bestiale”, riferito in
particolar modo al noto “Massacro di Nanchino”.
In quel tempo Nanchino era la capitale della Repubblica
della Cina caduta in mano ai giapponesi il 13 dicembre 1937. In sei settimane i
soldati giapponesi uccisero oltre 300.000 persone, con torture, stupri di
donne, ragazze e anziane, ma anche di bambini in tenera età uccisi per
divertimento e in modi orribili a decine di migliaia dai militari giapponesi.
Già nell’agosto del 1937 l’Esercito imperiale giapponese
nell’avanzata verso la “Battaglia di Shangai” fu particolarmente crudele verso
i cinesi, sia militari che civili (seguendo anche le direttive dell’imperatore
Hirohito che impose di non rispettare i vincoli imposti dalle convenzioni
internazionali), ciò che fa pensare che il massacro di Nanchino non sia stato
un evento isolato.
Il Tribunale Militare
Internazionale per l’Estremo Oriente ha calcolato che vennero stuprate più di
20.000 donne, anche bambine e anziane. Gli stupri durante il giorno spesso
avvenivano in pubblico, il più delle volte di fronte ai mariti o a componenti
della famiglia, che venivano immobilizzati e costretti a guardare. Un gran
numero di tali atti fu frutto di un’organizzazione sistematica, con i soldati
che cercavano le ragazze di casa in casa, sottoponendole a stupri di gruppo. Le
donne venivano spesso uccise subito dopo lo stupro, non prima di aver inflitto
loro mutilazioni o sventrando quelle incinte. Ci sono testimonianze ancora più
raccapriccianti di episodi talmente orribili che in questo contesto evito di
raccontarne i dettagli.
Shiro Azuma col suo diario
Lager
dell’unità 731 a Pingfang
In un tale oceano di sofferenza durante l’avanzata
dell’esercito giapponese verso Nankino, la morte di circa 3.000 prigionieri
cinesi e in piccola misura russi, a Pingfang, vicino ad Harbin, potrebbe essere
vista come un epifenomeno. Ma
nell’inferno di Pingfang, nel cuore della Manciuria, furono commessi fra
i crimini più atroci della “Grande Guerra Asiatica”.
L’Unità 731 effettuò, su larga scala, esperimenti biologici
e vivisezioni su cavie umane (prigionieri cinesi, coreani, russi, ma anche
britannici e olandesi), testando i
limiti della sofferenza umana su uomini, donne e bambini, per fornire
alle forze armate giapponesi armi batteriologiche e chimiche.
Un sopravvissuto, Fang Zhen
Yu, in un’intervista a ‘Le Monde’ ha raccontato: “Era il 1941. Avevo diciannove anni e lavoravo come magazziniere, prigioniero
nel campo giapponese. Punito, fui rinchiuso in una cella, da dove potevo vedere
i treni arrivare e scaricare come animali i poveri disperati destinati agli
esperimenti; un giorno è arrivato un convoglio di vagoni merci, scesero degli
uomini con le mani legate, alcuni avevano capelli biondi” (…) “Dal magazzino portavano molto cibo al ‘laboratorio’, da dove provenivano perennemente urla strazianti di
uomini, donne e bambini”.
Il cibo era destinato per testare sulle cavie umane il
miglior vettore infettivo. Le verdure furono riconosciute come le più adatte
alla guerra batteriologica, in particolare quelle con molte foglie, seguivano
in ordine successivo: la frutta, il pesce e infine la carne.
Nel piccolo museo di Pingfang, inaugurato nel 1982, un
plastico ricorda quello che era l'immenso complesso (70 edifici) dell'Unità
731. Dietro il lungo edificio amministrativo a due piani, si trovava un
quadrilatero formato dalla prigione e dai “laboratori”, oltre agli alloggi per
i tremila giapponesi (medici, veterinari, infermieri, soldati) che gestivano
gli orrendi crimini.
All’epoca il campo di prova comprendeva anche
installazioni in superficie che non esistono più, ad eccezione di una pista di
atterraggio, perché nell’agosto del 1945 fu tutto fatto saltare in aria dai
giapponesi per cancellare ogni traccia di ciò che accadeva nel sottosuolo, in
locali destinati a contenere e controllare soprattutto la diffusione di agenti
infettivi. I documenti storici hanno rivelato che nei vari laboratori (Unità
731, Unità 1644, Unità 100) del famigerato
Dipartimento di prevenzione epidemica e purificazione dell’acqua dell’esercito Imperiale
giapponese, furono
almeno 12.000 cavie (uomini, donne e bambini) che furono uccise durante test con
agenti batterici e malattie mortali (sifilide, antrace, colera, febbre
tifoide), ma anche con altri perversi metodi: immessi in centrifughe rotanti,
iniettati con sangue animale contaminato, esposti ai raggi X, al freddo, alla
disidratazione, bruciati vivi con lanciafiamme.
I disgraziati venivano anche vivisezionati, senza anestesia ovviamente. Pulci infettate da Yersinia pestis e sviluppate in laboratorio per essere particolarmente letali, causa della peste bubbonica e polmonare, venivano lanciate anche da aerei a bassa quota sulle città cinesi del Manchukuo, uno stato conosciuto come “fantoccio”, territorio della Manciuria controllato dall’Impero del Giappone nel nord-est della Cina tra il 1932 e il 1945. L’avanzata dei sovietici in Manciuria e le bombe atomiche americane sganciate su Hiroshima e Nagasaki fermarono i folli progetti giapponesi per l’uso delle armi batteriologiche sviluppate dall’Unità 731. Tra questi il programmato bombardamento batteriologico di San Diego (California), nome in codice “Operazioni Fiori di Ciliegio nella Notte”.
Il governo giapponese cercò sempre
di nascondere l’esistenza e i crimini dell’Unità 731. Catturati dalle truppe americane al termine del
conflitto, il comandante Ishii e il suo stato maggiore, Darkum
Neik, Masaji Kitano, Yoshio Shinozuka, Yasuji Kaneki, ottennero l’immunità in cambio della
consegna all’OSS (precursore della CIA) di tutte le informazioni delle loro
‘ricerche’ sulla guerra batteriologica. L’accordo avvenne con il beneplacito del generale Douglas
MacArthur che ricevette
istruzioni di garantire ufficialmente la piena immunità agli scienziati
dell’Unità 731. All’infuori del
Giappone, solo gli USA avevano quindi le
prove dei crimini dell’Unità 731 in Cina, ma furono sottaciute. I crimini contro l’umanità commessi in Manciuria dai giapponesi, a
quanto pare, non avevano responsabili. L’Unione Sovietica protestò
veementemente, senza alcun risultato tangibile.
Anche altri scienziati coinvolti
nell’Unità 731 ricevettero nel 1946 l’immunità da ogni accusa dal Tribunale
internazionale per l’Estremo Oriente (Tribunale di Tokyo), avendo fornito agli
Stati Uniti tutti i dati - definiti dall’allora segretario alla Sanità Usa
“inestimabili” - della loro criminale
attività.
La documentazione e gli archivi
dell’Unità 731 furono trasferiti sul
continente americano, più precisamente a Fort Detrick, il famoso centro
biomedico militare americano, dove furono utilizzati per sviluppare armi
batteriologiche. I criminali giapponesi trasferiti negli Stai Uniti furono
utilizzati in vari laboratori, sia su territorio americano che in altri paesi,
ovviamente sotto il controllo del Pentagono.
Il documento rinvenuto nel 2023 |