IL PROCESSO AL CRIMINALE NAZISTA
di Anna Lina Molteni e Giuseppe Mendicino
Seifert a vent'anni
La
battaglia legale di Arnaldo Loner e Bartolomeo Costantini per dare giustizia
alle vittime del lager di Bolzano.
L’occasione
di scrivere del Lager di Bolzano e del processo Seifert è conseguenza di una recente
stesura a quattro mani della biografia di Arnaldo Loner, avvocato, bibliofilo,
appassionato cultore di storia e di tutela del paesaggio. Loner è stato infatti
legale di parte civile del Comune di Bolzano nel processo a Michael Seifert, il
“boia del Lager di Bolzano”, processato dal Tribunale militare di Verona, estradato
dal Canada nel 2008, morto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere nel
2010. Con Walter Reder per la strage di Marzabotto, Herbert Kappler ed Erich
Priebke per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, è uno dei soli quattro criminali
di guerra tedeschi che abbiano scontato il carcere in Italia.
A
Bolzano oggi del Lager rimane solo il muro perimetrale e un percorso di
pannelli con immagini della sua storia; è stato il processo Seifert a fornire prove
documentali inconfutabili che non sia stato solo un campo di transito, come
diceva il nome Polizeiliches
Durchgangslager Bozen, ma un vero e proprio campo di sterminio in cui si torturò, si seviziò,
si uccise. Fu aperto nell’estate del 1944, in contemporanea con la chiusura
dell’altro campo d’internamento e di transito italiano, quello di Fossoli in
Emilia, i cui prigionieri non ancora deportati vi furono trasferiti in blocco,
insieme alle SS, al personale addetto, al comandante Karl Friedrich Titho e al vicecomandante
Hans Haage.
Seifert a vent'anni |
Amministrativamente dipendeva dalle
SS di Verona. Rimase attivo fino al 3 maggio 1945. In dieci mesi di attività vi
transitarono circa 11.000 arrestati: civili, partigiani, soldati sbandati,
famiglie di renitenti alla leva e ricercati, rastrellati, ebrei, sinti che
furono trasferiti a Mauthausen, Flossenbürg, Dachau, Ravensbrück e Auschwitz. Gli internati erano uomini
e donne di ogni età, ragazzi e bambini di entrambi i sessi, provenivano da
tutte le regioni dell’Italia del nord e soprattutto dalla Zona di Operazione
delle Prealpi, Alpenvorland,
comprendente le provincie di Bolzano, Trento e Belluno. Quasi tutti furono
adibiti a lavori interni al lager o nelle fabbriche di materiale bellico, alla
raccolta di mele per conto di privati, allo sgombero delle macerie nel centro
storico di Bolzano dopo i bombardamenti, allo scavo per la posa di tubature e
cavi elettrici.
Il processo contro Michael Seifert, accusato di aver causato la morte di 18
internati nel lager di Bolzano, è stato celebrato presso il Tribunale Militare
di Verona nel 2000. La prima sentenza, del 24 novembre 2000, lo riconobbe
colpevole di 11 omicidi provocati con torture e sevizie e lo condannò
all’ergastolo. Impugnata dall’imputato, venne confermata in data 18 ottobre
2001 dalla Corte Militare d’Appello di Verona. L’ulteriore ricorso venne
rigettato dalla Corte di Cassazione a Roma in data 8 ottobre 2002 e la sentenza
divenne definitiva. Proseguiva intanto la pratica per la estradizione, richiesta
nel 1999 dalla Procura e infine accolta dall’Alta Corte di Giustizia del Canada,
che nel 2008 consegnò Michael Seifert alle autorità italiane, la sua latitanza
era durata 63 anni.
Nel processo spiccano due figure, Arnaldo Loner, avvocato di parte civile,
e il pubblico ministero Bartolomeo Costantini. Ognuno nel proprio ambito, agirono
entrambi avendo ben chiaro il significato che il procedimento aveva sia dal
punto di vista storico sia da quello etico. Non si trattava, come qualcuno
disse, di “archeologia giudiziaria”, né di inutile giustizia a posteriori o di accanimento contro un
imputato ormai anziano, ma di un atto dovuto alla verità storica e alla memoria
delle vittime e di coloro che, pur sopravvissuti, avevano portato per tutta la
vita i segni delle torture e della violenza subite. “Certi delitti non si
possono, non dico perdonare, ma nemmeno dimenticare. Non
dimenticare è quindi un obbligo morale, ma è anche in certo senso un obbligo
giuridico” afferma il pubblico ministero Costantini.
“La
materia di questo processo riguarda crimini che aggrediscono i valori
fondamentali dell’uomo, l’integrità della vita fisica e la dignità della
persona umana” conclude l’avvocato Loner nell’arringa finale.
Dalle carte del processo emerge la brutalità dell’imputato che in molti
casi era stata solo un cieco soddisfacimento della sua natura sadica, senza una
qualsiasi ragione, pur aberrante, che la potesse giustificare. La violenza per
la violenza, l’uccidere per il gusto di uccidere. Non a caso Seifert, dopo
torture e sevizie atroci, specie con armi da taglio e bastoni, non sferrava il
colpo finale con un’arma, ma usava le mani strangolando o i piedi, finendo la
vittima a pedate. Il tutto nella condiscendente indifferenza del comandante del
Lager, Karl Titho. Più le vittime erano giovani e fragili, più Seifert si
accaniva.
Nei primi giorni del marzo 1945 morì sotto tortura anche il giovane
capitano Steve Hall, dei servizi segreti americani, che nei mesi precedenti
aveva collaborato con le formazioni partigiane del Bellunese. Il più diretto
responsabile della sua morte, il sadico maggiore August Schiffer venne
processato a Napoli alla fine del conflitto da una corte marziale statunitense
e fucilato. Purtroppo, la giustizia italiana del dopoguerra non fu altrettanto
solerte con gli altri criminali del lager.
Costantini e Loner nel 2017
“Concorso
in violenza con omicidio contro privati nemici, aggravata e continuata” è il
reato contestato a Seifert dal pubblico ministero Costantini, che raccolse
elementi di prova circostanziali per 18 omicidi. Alcuni testimoni, ancora
viventi, lo riconobbero dalle foto e i loro ricordi coincidevano con la
relazione scritta alla fine del 1945 dal professor Alfredo Poggi, ex internato,
e allegata al fascicolo 1250, rimasto chiuso per mezzo secolo nel cosiddetto
“armadio della vergogna”. Un mobile situato negli uffici della Procura
Militare di Roma, sigillato con una catena. Aperto nel 1994 durante
una ricerca di documentazione per il massacro delle Fosse Ardeatine, al suo
interno sono stati rinvenuti fascicoli riguardanti le stragi e i crimini
commessi dai nazifascisti in Italia. I procedimenti erano stati praticamente
insabbiati, in quanto era stato apposto in calce un timbro di “archiviazione
provvisoria”; procedura questa, sconosciuta al nostro ordinamento processuale. Nel fascicolo 1250
compaiono i nomi di tutti i maggiori responsabili di torture e assassinii avvenuti
nel lager di Bolzano e tra questi Michael Seifert. Il procedimento è della
Procura Generale Militare del Regno – Ufficio procedimenti contro criminali di
guerra tedeschi e la data della trasmissione per “l’eventuale azione giudiziaria”
è 25 aprile 1946. Come parte lesa sono indicati gli “internati italiani nel
lager di Bolzano” e gli eventi sono così riassunti: “Nel campo di
concentramento di Bolzano, durante il lungo periodo della occupazione nazista,
trattarono in modo inumano gli italiani (militari, ebrei ed altri civili),
sottoponendoli a continue sevizie e bastonature, imprigionamenti lunghi,
terribili ed estenuanti. Per questo brutale trattamento alcuni internati
perirono (…)”.
Il decreto di archiviazione del 1960
Seifert
vi è descritto come un sadico torturatore e assassino, ma il suo comportamento
non può essere ridotto a una faccenda
privata tra un carnefice e le sue vittime, entra in un contesto più ampio, in
un “massacro dell’umanità” dalle proporzioni enormi. È un criminale, ma è
figlio del suo tempo. “Non è una scheggia impazzita del sistema, è funzionale
al sistema (…) un uomo che realizza gli obiettivi di sistema, sia pure con dei
massacri voluti e decisi individualmente, ma che il sistema consentiva,
tollerava e facilitava, non ordinava in questo caso” scrive ancora Loner.
In un
clima politico in cui a tratti riemerge la tentazione del revisionismo, o del
riduzionismo che ne è la versione attenuata, e si mira a riscrivere la storia “in base non a un più
attento esame dei documenti e delle testimonianze, bensì in base alle proprie
pregiudiziali ideologiche” (Costantini) è importante che sia mantenuta viva la
memoria su quanto accadde davvero, perché “verità alternative” costruite a posteriori non ne prendano il posto.
Arnaldo Loner e
Bartolomeo Costantini sono oggi due anziani e tranquilli signori che passano i
loro giorni tra libri e incontri finalizzati a diffondere cultura e coscienza
civile, se parlando con loro il discorso cade sul lager di Bolzano i loro occhi
si accendono di passione e indignazione. Facile immaginare che sarà così usque ad finem, sino all’ultimo dei loro
giorni.