I GHIACCIAI STANNO SCOMPARENDO
di
Anna Lina Molteni
Il ghiacciaio protagonista di Cristallo di rocca,
nato da un incontro tra il glaciologo Friedrich Simony e Adalbert Stifter.
Sollecitata
dalle notizie della drammatica, e inarrestabile, scomparsa dei ghiacciai, ho
riletto Cristallo di rocca di
Adalbert Stifter, nell’edizione Adelphi 1984, tradotto e curato da Gabriella
Bemporad. Avevo ben viva la bellissima descrizione del ghiacciaio che tiene
prigionieri i due bambini protagonisti, Konrad e Sanna, ma non ricordavo che
l’idea del racconto fosse nata da una passeggiata in montagna di Stifter con il
geografo e alpinista, Friedrich Simony. I due si incontrano a Hallstat, il
paese sul lago omonimo, nel Salzkammergut, Stifter è in vacanza, Simony lavora
alle sue ricerche sul ghiacciaio del Dachstein, il più esteso delle Alpi
Orientali. Un giorno, nonostante la pioggia, salgono in montagna seguendo il
letto di un torrente e Simony racconta all’amico delle sue scalate invernali e
parla di una grotta nella quale si è trovato per caso. “Il palazzo del re delle
Alpi” la definisce, e nella sua descrizione i colori del ghiaccio sono
diventati pietre preziose, il verde degli smeraldi, il blu degli zaffiri e
infine la brillantezza iridescente del cristallo di rocca. “Stai dipingendo un
quadro, amico mio” gli dice Stifter, affascinato. “Mancano solo le figure
adatte che lo popolino”. Entrambi si dilettano a dipingere. Stifter quadretti
realistici in stile Biedermeier,
Simony acquarelli. Stifter non fa in tempo a finire la frase che, con il
tempismo di un’entrata teatrale, dal bosco sbucano due bambini fradici di
pioggia e infreddoliti. Sono di ritorno dall’aver portato il pranzo al nonno e
sono stati sorpresi da un temporale. Il giorno dopo, di fronte a un acquarello
di Simony che raffigura la grotta di ghiaccio, Stifter dice: “Mi sono
immaginato i bambini di ieri sotto questa azzurra volta di ghiaccio; che
contrasto farebbero quelle fresche palpitanti vite umane in questa splendida,
paurosa, gelida cornice”.
Fin
qui la cronaca, riferita in una lettera di Simony, poi subentra la fantasia, e
nasce Cristallo di rocca, che
esordisce con tutti gli elementi delle favole.
Ci
sono due valli e due paesi separati da un colle, Gschaid e Millsdorf, uno più ricco l’altra
più povero, in perenne rivalità tra loro, ma a dominare il paesaggio c’è una montagna coperta di neve (che) s’affaccia sulla valle con le sue cime
sporgenti e le sue distese bianche. Essendo la cosa più degna di nota che
ci sia tutt’intorno, è oggetto di osservazione da parte degli abitanti e non c’è uomo, giovane o vecchio che non
sappia raccontare qualcosa delle sue cime e delle sue guglie, dei suoi crepacci
e delle sue grotte di ghiaccio, delle sue acque e delle sue lavine, che ha
visto egli stesso o di cui ha sentito raccontare da altri.
E
poi ci sono loro, i bambini Konrad e Sanna, che non appartengono veramente né
all’una né all’altra, avendo il padre della valle povera e la madre di quella
più ricca. Forestieri in entrambe, valicano spesso il colle per andare a
trovare i nonni, finché una vigilia di Natale, al ritorno verso casa sono
sorpresi da una nevicata che annulla i punti di riferimento, perdono
l’orientamento e, invece che imboccare la strada che li farà scendere nella
valle opposta, salgono fino a trovarsi sul ghiacciaio. Il cammina cammina diventa allora un salire e scendere continui, trovare
la via sbarrata e ritornare sui propri passi, affacciarsi a un dirupo o
sull’orlo di un crepaccio o contro pareti che si alzano come bastioni. Una fiumana di ghiaccio li serrava a destra
e a sinistra (…) sotto la coltre
bianca traluceva sui lati un baluginar di verde acqua e d’azzurrino, e di cupo
e di nero e fin di giallino e rossastro. Girano a vuoto, ma Konrad non si
scoraggia, ha il senso della montagna. La “legge”, in un esercizio di
razionalità infantile, ma seria e a tratti consapevole, come quando, trovato un
riparo per la notte sotto una casina formata
da alcuni massi appoggiati l’uno l’altro con le teste, e larghi blocchi piatti
a fare da tetto, sollecita la sorella a non addormentarsi: se ci si addormenta in montagna, si muore di freddo e per restare
svegli bevono un forte estratto di caffè che la nonna aveva consegnato loro perché
lo portassero alla madre.
Di
questo mondo incorruttibile ed eterno, il
ghiacciaio ci sarà fino alla fine del mondo, scrive Stifter in un altro
passo, che li tiene prigionieri fanno parte le stelle e il silenzio, rotto a
tratti soltanto dagli schianti del ghiaccio, terribili, come se si fosse spaccata la terra, e diffusi in tutte
le direzioni, parevano correre per tutte
le piccole vene del ghiaccio.
Il
racconto ha l’immancabile lieto fine delle favole e nelle ultime pagine ritorna
l’oleografia da quadretto Biedermeier dell’inizio, in un’armonia ritrovata tra
le due valli e nel ristabilirsi dell’equilibrio e dell’ordine. È il mondo privo di contrasti, che di lì a pochi anni sarebbe
diventato il mito dell’Austria Felix, ma in
Cristallo di rocca è solo contorno, mentre il vero protagonista è il
ghiacciaio, la cui descrizione è tanto più sorprendente se si considera che
Stifter non vi salì mai, ma fece sue le descrizioni dell’amico geografo e
glaciologo, alpinista e co-fondatore del Club Alpino austriaco, aiutato anche
dai suoi schizzi e dai suoi acquarelli.
Pagine
che purtroppo oggi si rileggono con lo spirito sgomento di percorrere un
cammino di “archeologia della montagna”. Infatti, da un rapporto delle Nazioni
Unite, che hanno proclamato il 2025 Anno internazionale per la conservazione dei
ghiacciai, risulta che, sebbene non totale, alla fine di questo secolo la
scomparsa interesserà la maggior parte dei ghiacciai delle Alpi austriache.
Nota:
Stifter |
Adalbert Stifter (1805 - 1868). Scrittore e pittore di origine boema. La sua opera più celebre è la raccolta di novelle e racconti Pietre colorate (Bunte Steine. Gustav Heckenast, Pest 1853). I suoi quadri sono esposti nel Museo e Casa natale Adalbert Stifter a Schwarzenberg am Böhmerwald.