Dove va l’America e dove andrà il mondo?
di Cataldo Russo
Cataldo Russo |
Una impietosa analisi sul declino
morale americano
La
tragedia del nostro tempo sta nel fatto che siamo sempre più privati della
capacità di stupirci potendo fare uso della nostra testa e delle nostre
emozioni. Siamo di fronte all’omologazione di tutto, dei valori, degli ideali,
degli stili di vita e persino dei sentimenti.
Gli
accadimenti sono talmente repentini e contraddittori che non si riesce più a
comprendere dove incomincia la tragedia e dove finisce la farsa. I social, poi, stanno distruggendo il
pensiero forte, la confutazione articolata, imponendo l’uso sempre più
massiccio della frase a effetto e dello slogan, consentendo spesso ai
superficiali di primeggiare.
Oggi
non si comunica per intero ma per anticipi o “per spizzichi e bocconi”. Molti
ritengono che tutto questo sia il risultato della globalizzazione. Invece io
penso che non si tratti solo degli effetti negativi della globalizzazione
quanto di un processo di omologazione tanto capillare quanto pervasivo, che sta
finendo per corroderci anche l’anima.
Insomma,
se la globalizzazione tende a omogenizzare le civiltà e gli uomini,
l’omologazione tende ad annullare qualsiasi espressione di individualità ed
originalità. L’uomo moderno rischia di essere un tuttologo che di fatto non sa
nulla, perché il sapere è semplicemente sfiorato o posseduto in maniera
superficiale. Se queste considerazioni valgono in generale per tutti i paesi
del mondo, esse sono molto calzanti per gli americani. Ho spesso la percezione
che lì l’omologazione si sia spinta a un punto tale per cui sembra non esserci
più una linea di demarcazione fra pubblicità e qualità intrinseche di un
prodotto, fra slogan e informazione, fra cinematografia e realtà.
Alcune
stragi compiute da persone apparentemente normali, il cosiddetto innocuo uomo
della porta accanto, hanno avuto a volte il ritmo e gli ingredienti del
thriller cinematografico o delle scelte da giustiziere di turno. Infatti, oltre
alla volontà di uccidere in alcune delitti c’era soprattutto il desiderio di
ergersi a giudice e “fare pulizia”. Insomma, attestare la propria presenza e il
proprio agire scegliendo la catarsi, com’era nella vecchia tragedia greca.
Così
il giovane che entra in una scuola e, con lucida follia, fa strage di compagni
e professori forse non sa nemmeno che sta compiendo qualcosa di atroce perché è
tutto proteso a mettere in scena il
copione di una tragedia che sa di piena immedesimazione con i suoi eroi della
celluloide. Del resto, se la più grande industria americana, dopo quella delle
armi, è Hollywood, è inevitabile che essa qualche influenza nel forgiare il
carattere degli abitanti la determini.
Così
non mi sorprende se molti scambiano Rocky per un vero pugile, Rambo per un
marines, e che i pugni-carezza che riceve sul volto o sulla bocca dello stomaco
“lo spasimante di Adriana” siano visti allo stesso modo di quelli che prende un
pugile che sul ring sale veramente mettendo a repentaglio la propria vita.
Donald Trump |
L’elezione del
Tycoon Trump non mi ha colto impreparato, non perché avessi più informazioni
degli altri o perché tenessi in mano la sfera di cristallo, ma perché da
qualche tempo vedo l’America, e non solo essa, avviata a un lento declino, un
tramonto che ricorda l’ingloriosa fine di Roma e di altre grandi civiltà, che
raggiungono l’apice per poi andare incontro a un processo di disgregazione
dovuto più a fattori interni che a cause esterne. Contrariamente a quello che
pensa la maggior parte delle persone, io sono convinto che questa crisi sia
scandita più dalla decadenza morale e dalla mancanza di valori che non dalla
congiuntura economica che, per carità, c’è ed è forte e si sta traducendo nella
perdita di milioni di posti di lavoro.
L’America
ha smesso da molto tempo di sognare. Sa che sta perdendo il ruolo guida che ha
avuto fino a qualche decennio fa ed è confusa e ha paura, ma soprattutto scopre
di non avere anticorpi per fronteggiare le crisi, le privazioni e le sofferenze
che si annunciano in un futuro non troppo lontano.
Per
quanto la società americana sia costituita prevalentemente da immigrati che si
portano dietro storie tragiche, è anche vero che quelle storie sono state
rimosse ancor più che metabolizzate e interiorizzate. Eccetto gli attacchi alle
Torri Gemelle dell’11 settembre del 2001, gli Stati Uniti dal 1776 a oggi non
hanno mai avuto guerre in casa. Tutte le tragedie si sono consumate in
territori lontani dalle loro mura, anche se gli effetti delle guerre che hanno
combattuto a partire dagli inizi del Novecento si sono fatti sentire in
America, soprattutto quella in Vietnam, vuoi per le perdite subite vuoi anche
per le sindromi depressive dei soldati una volta ritornati a casa.
Melville
diceva che non si può spargere una goccia di sangue
americano senza spargere il sangue del mondo intero in quanto l’America non
sarebbe una nazione ma il mondo. Mi auguro che come profeta Melville possa
essere smentito, ma analizzando i fatti temo che sia destinato ad avere
ragione.
D. Trump |
L’America è
ammalata e ancor più delle altre nazioni andrebbe aiutata a guarire per evitare
appunto che “la goccia di sangue americano” si trasformi nel sangue del mondo
intero.
Mi
chiedo dov’è oggi la nazione delle grandi opportunità, dei grandi valori
democratici, della difesa della libertà di cui si è sempre favoleggiato? Oggi assistiamo sempre più a una nazione
arroccata, piegata su se stessa, trascinata nella palude della quotidianità,
dei piccoli calcoli da bottega, nel vortice delle guerre che non hanno alcuna
motivazione ideale ma che sono programmate e orchestrate per trarne vantaggio
dal punto di vista economico e favorire le potenti lobbies delle armi, che
prosperano sul sangue dei dannati e degli ultimi della terra.
Che
brutta invenzione quella di esportare la democrazia con la guerra! Con le
guerre si esportano distruzioni, lutti, rovine e morte e non certo buoni
governi e democrazia.
Io
credo che quando si svendono i sogni, i
valori e gli ideali, per i quali altri
hanno sacrificato la propria vita, la realtà non può che essere rappresentata
dal Trump di turno o anche da una Illary
Clinton presuntuosa, radical chic, con quel sorriso ipocrita stampato sulle
labbra che, in quanto a sentimenti guerrafondai e ambizioni personali, non ha
niente da invidiare al suo rivale Trump.
Dire
che non tempo Trump, però, è azzardato. Lo temo certo, ma non è tanto il
miliardario di New York che mi fa paura quanto la visione messianica calvinista
tipica dell’americano medio che, stante queste condizioni, è destinata a essere
frustrata perché l’America non è più “il
paese delle opportunità” in quanto, nel frattempo, sulla scena economica mondiale sono apparse altre potenze
economiche che effettivamente fanno paura per la loro capacità produttiva,
quantunque questa capacità sia basata principalmente sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Penso
alla Cina, per esempio. Difficilmente l’americano potrebbe perdonarsi il fatto di
non essere un predestinato al successo e al Paradiso attraverso la cartina al
tornasole del raggiungimento della ricchezza e del successo. Per questo lo
temo: perché può disporsi mentalmente “al tanto peggio tanto meglio”. Insomma,
anche a una nuova guerra mondiale.
D. Trump |
Io credo sia
giunto il momento che gli americani la smettano di interferire nelle politiche
interne degli altri stati e che, soprattutto, diano un taglio netto alla loro
politica scellerata di insediare nelle varie parti del mondo governi fantocci,
che inevitabilmente sfuggono al loro controllo. Chi coltiva nel proprio orto di
casa nemici non può aspettarsi da essi carezze e comprensione.
L’America,
a mio avviso, non ha bisogno di un Trump o di una Illary ma di chi sappia
educarla alla condivisione e a una visione pacifista del mondo, meno tesa a
cercare il successo ad ogni costo e più disponibile al confronto.