Omaggio a
Franco Fornari
di Giuseppe Bruzzone
Franco Fornari |
Psicanalisi della guerra
atomica
Tutti noi, governati e
relativi governanti degli stati, siamo in determinati tempi storici di cui non
vogliamo considerare l'assoluta importanza e la loro "qualità" mai
presentatesi in passato. L' avessimo considerato non ci troveremmo a
conteggiare con il bilancino la ratifica del Trattato ONU di interdizione delle
armi nucleari firmato nel luglio 2017 a N.Y. da 122 stati, ratifica, che,
comunque va avanti. Anche se gli stati nucleari non l'hanno firmato, anzi per
lo più osteggiato, disattendendo anche l'attuale Trattato di Non Proliferazione
nella parte in cui si dice che in buona fede (!) potevano trattare per la
riduzione di tali armi. Armi che, si sappia, stanno venendo modificate, "migliorate",
probabilmente create a nuovo, con ingentissime spese chiudendo occhi e bocca
per quello che potrebbe succedere anche ai propri cittadini.
Volevo
ricordare un autore e un libro che "questi tempi" avevano evidenziato
nel 1964, non essendo mutato sostanzialmente il comportamento degli stati da
allora ad oggi. L'autore è Franco Fornari poi diventato Presidente della
Società italiana di Psicanalisi e Direttore dell'Istituto di Psicologia alla
Statale di Milano. Il libro di riferimento è: Psicanalisi della guerra
atomica. È un libro, se si vuole "strano", perché parla della
guerra anche dall'interno delle persone, di come le nostre paure e angosce
possono contare per predisporla e perfino "accettarla". Parla di
come, invece, altri comportamenti, valutazioni, potrebbero respingerla, tenendo
conto della realtà odierna che è nucleare e impone scelte chiare e nette, se
noi, nati al mondo, vogliamo salvarci e continuare a vivere nel nostro Pianeta.
Ma a volte pensiamo di essere l'Universo e non un piccolissimo punto dello
Spazio in movimento con tutti gli altri miliardi di corpi celesti. Piccolissimo
punto, ma di Razza Umana (Einstein), prima di essere italiana, francese,
cinese, americana, russa, africana.
D'
altronde Fornari era uno psicanalista, non poteva non partire
"dall'unità". Ma, a suo grande merito, non si è chiuso in una stanza
o in un salone, come tanti di noi si è sentito figlio della Terra (credo non
gli sarebbe spiaciuta questa espressione rivolta a lui) e ha tenuto conferenze
in tante parti del mondo (ONU compreso) parlando di Pace e delle ragioni
terrene e razionali di questa nel rispetto di altre credenze, ma con l'unico
obiettivo di far vivere le persone cui
si vuole bene. Nel libro c'è un passo in cui lo dice chiaramente. Da un punto
di vista ideologico qualcuno potrebbe pensare e affermare che esistono certi
meccanismi per cui "scattano" le guerre. La conquista o difesa dei
mercati, ad esempio. Ma è il "mercato " che va in guerra o uomini e donne
in carne e ossa ? E in epoca nucleare sarebbe comunque lecito? O c'è qualcosa
che non quadra? Del resto quando un Gandhi scrive che il cambiamento siamo noi,
non si rivolge alla persona, all' individuo? Il punto di partenza è quello.
Anche se poi Fornari sosterrà che l'individuo deve diventare stato rispettando
le leggi che questo si è dato all'interno di esso, quindi diventando padrone
della propria vita ma in maniera responsabile, aperto agli altri per
configurare un nuovo tipo di stato Uomo. Uno stato non Volpe e Leone, che non ucciderà
più (come avviene all'interno) perché senza senso in questi tempi e perché,
secondo me, si è pianto troppo in precedenza.
Ora
intenderei dare 3 brevi spaccati, 3 "fotografie" dello scritto di
Fornari per farne capire lo spirito e almeno qualche punto nodale del suo modo
di vedere. E' ovvio che sarebbe necessario leggere il libro per tutti i suoi
collegamenti, rimandi storici, filosofici, sociologici.
1- Lo stato al suo
interno.
2- Lo stato al suo esterno
3- Le scelte di Fornari,
alcune sue indicazioni.
1- "Il monopolio
della violenza che lo stato esercita all' interno del gruppo nasce dal fatto
che gli individui rinunciano a far uso della violenza in nome delle leggi come
ideale di gruppo (leggi come oggetto d'amore) e autorizzano lo stato ad
esercitare la violenza in forma punitiva nei riguardi di coloro che, ledendo le
leggi, mettono in pericolo l'esistenza del gruppo stesso, attraverso la lesione
dell' ideale di gruppo. In questo caso cioè il monopolio della violenza da
parte dello stato è strumento di conservazione delle leggi nella misura in cui conduce alla reversione
della violenza sugli individui che hanno infranto il patto originario di non
mettere la morte fuori di sé. In tal modo lo stato amministrerebbe semplicemente
gli scambi di violenza nella dimensione del giusto, riconducendo ad ognuno la
propria violenza, impedendo in tal modo l'inflazione della violenza attraverso
la spirale sado-masochista della vendetta, per opera della quale l'uccidere e
l'essere uccisi si ecciterebbero a vicenda, come le carezze reciproche eccitano
i desideri degli amanti. In questo caso, dunque, il monopolio della violenza da
parte dello stato rispecchia l'esigenza delle leggi e non porta ad una accumulazione della violenza da parte dello stato stesso".
2- "Per Marx
l'alienazione dell'uomo nell'assoluto riguarda una forma di alienazione di tipo
ideologico e astratto, che può essere riassunta in una riappropriazione pure
ideologica e astratta. La vera alienazione concreta della condizione umana è
però, per Marx, quella per cui l'uomo lavoratore lavora per produrre ciò che lo
rende schiavo ossia il profitto del capitalista. Marx vede cioè nel profitto
del capitalista una realtà per cui l'attività dell'uomo, intesa come
espressione del suo essere trasformatore della natura, si pone "contro di
lui" come "potenza estranea e nemica". L' accumulazione
capitalista sarebbe pertanto il risultato di lavoro alienato.
L'affermazione
di Freud riportata sopra, per cui lo
stato interdice l'uso della violenza, non perché intenda sopprimerla, ma perché
vuole monopolizzarla come il sale e i tabacchi, permette però di individuare
nella guerra, arrivata ora all' assoluto della distruzione, il risultato
concreto di una alienazione assoluta che si esplica attraverso la capitalizzazione
della violenza da parte dello stato. Questa capitalizzazione nasce da un
processo di alienazione del tutto concreta, attraverso la quale lo stato è
detentore di un'accumulazione di violenza che di fatto è il risultato sia della
violenza "risparmiata" dagli individui, che di lavoro alienato. In
tal modo le scoperte scientifiche e le attività civili e produttive dell'uomo e
delle sue leggi (intese come espressione
del suo essere trasformatore della natura umana in senso depressivo) si pongono
contro l'uomo stesso sotto forma di guerra assoluta, come una potenza estranea
e nemica. Lo stato sovrano diventa così lo strumento attraverso il quale la
civiltà dell'uomo si pone ora contro gli uomini come un'entità straniera e nemica."
3- "I gruppi cioè, o
meglio i gruppi in quanto si reggono sulla sovranità dello stato, non
conoscono, per difendersi dall' annientamento che la guerra, la quale è
diventata essa stessa l'annientamento.
La mia tesi è perciò che, poiché per uscire da questa crisi, che è la più
drammatica che l'uomo possa conoscere (in quanto mobilita in un sol colpo tutte
le impotenze e tutte le angosce) è necessario
l'intervento di modalità riparative che sono impossibili agli uomini
così come ora sono organizzati in gruppi, si impone come necessità
imprescindibile il ritorno al soggetto, che ha in sé per averle impiegate nel
proprio sviluppo in prima persona, le modalità per superare la crisi di
annientamento e di sopravvivenza che ora ci incombe. Tale ritorno al soggetto
sembra cioè indispensabile per poter elaborare una nuova modalità non psicotica
di organizzazione dei gruppi.