LA
COSTITUZIONE E IL PENDOLO DEL POTERE
di Franco Astengo
Giunti a questo punto
della vicenda italiana ( 8 settembre 2018) potrebbe essere possibile formulare
una previsione: tra qualche mese ci troveremo alle prese con una proposta di
modifica della Costituzione e di ulteriore semplificazione della legge
elettorale in senso maggioritario, magari ripescando la vecchia idea
dell’uninominale secco. Così fece il fascismo subito dopo le elezioni del 1924
svoltesi utilizzando la “ Legge Acerbo” (premio di minoranza con soglia al 25%
molto simile al defunto Porcellum, che non stabiliva neppure una soglia, come
il successivo defunto prematuramente Italikum), salvo accorgersi poi che era
molto più semplice la formazione di un unico “listone” (plebiscito del 1929).
Nel
formulare questa previsione non va dimenticato, per esattezza di ricostruzione,
che la Costituzione del ’48 è già stata modificata in diverse occasioni, molto
malamente almeno nelle più importanti: quella riguardante il titolo V e quella
relativa all’art.81 (protagonista, in entrambi i casi, il morto e sepolto
centro sinistra). Nella prossima occasione che probabilmente si determinerà a
breve, nel mirino si troverà ancora una volta la Repubblica parlamentare: è già
successo nell’occasione della bicamerale presieduta da D’Alema (1997), nella
proposta di centrodestra bocciata dal referendum (2006) e in quella del PD (R)
(nel frattempo defunto) respinta dal voto popolare nel 2016. Si tratta
semplicemente del pendolo del potere: in un sistema che, secondo la Carta
redatta dai padri Costituenti, era forte soprattutto basandosi su di un
Parlamento “specchio del Paese” formato attraverso il peso specifico dei grandi
parti di massa (oltre il 70% dei voti, con una partecipazione del 90%) è venuto
meno proprio quel peso politico, sociale, culturale sulla base del quale era
stata ispirata la Costituzione. La ragione del verificarsi nel corso degli anni
di un accumulo di vero e proprio “deficit di democrazia” è stato dovuto
soprattutto per via della crisi verticale
del sistema dei partiti e della loro trasformazione in semplici comitati
elettorali.
Comitati
elettorali composti da “cordate” e corroborati strada facendo soltanto dalla
crescita esponenziale della fallacia di promesse impossibili avanzate dalle
tribune televisive e del web.
Nel
corso degli ultimi decenni il grande dilemma per chi via via si è trovato
casualmente alla gestione del potere è stato allora quello di conservarlo di
fronte allo sfaldamento sociale e alle crescente volatilità elettorale (in presenza
di un aumento secco dell’astensionismo).
La
soluzione al movimento del pendolo è stata, ogni volta, cercata attraverso -
appunto - forzature costituzionali ed elettoralistiche: l’Italia non è mai
stata paese di “bipolarismo temperato” ( visto soltanto nell’astrattezza di
visioni presuntamente neo-kennediane del tutto avulse dalla realtà).
Forzature
costituzionali che prevedevano, in ogni caso, lo spostamento d’asse dal
Parlamento al Governo e l’introduzione di una qualche forma di presidenzialismo
e di elezione diretta (almeno così è stato nel caso del progetto della
Bicamerale 1997 e del centro destra 2006, mentre quello del 2016 prevedeva
semplicemente di ridurre le aree di voto). Sarà quindi proprio in nome del
pendolo del potere che sarà effettuato il prossimo tentativo: vedremo quando e
come ma tutti gli indicatori lo stanno già segnalando.
Questo
ennesimo tentativo di riduzione nel rapporto tra politica e società (altro che
vaghezze della democrazia diretta!) si verificherà in un Paese sempre più
lacerato, con una società sfibrata da anni di pessimo governo, con una
maggioranza probabilmente pronta ad affidarsi a una qualche aggregazione
composta da veri e propri avventurieri della politica capaci di fare la voce
grossa e di mettersi sotto i piedi le garanzie costituzionali e la pluralità
politica. Altro che “contratto di governo”.
Di
fronte a questo stato di cose troviamo ampia materia di impegno e di
riflessione per coloro che intendono difendere gli elementi fondamentali della
Repubblica parlamentare e di una legge elettorale proporzionale (le due cose
vanno assieme, anche se saggiamente nell’Assemblea Costituente si provvide a
non inserire la materia elettorale nell’articolato costituzionale). Una legge
elettorale che finalmente dovrebbe corrispondere a una possibilità di piena
espressione di volontà politica, da parte di elettrici ed elettori, e di scelta
dei propri rappresentanti. Ricordando ancora una volta che, sul piano politico,
non è stata fornita alcuna risposta a quel qualche milioni di elettrici ed
elettori (4/5 su 19 milioni? Ci siamo già interrogati in passato al proposito)
che hanno respinto il progetto del PD (R) nel 2016 senza alcuna idea di
strumentalizzazione del voto ma semplicemente per difendere i principi di fondo
della legalità repubblicana, come eredità diretta della presenza “storica”
della sinistra.
Un’ultima
annotazione di carattere storico: i sondaggi danno a Lega e M5S una maggioranza
all’incirca del 60%; si vedrà nelle urne, a partire dalle elezioni europee.
Svolgo, al proposito, un solo esempio riferito al passato. Dalle elezioni del
1948 uscì una maggioranza all’incirca di quella dimensione, attraverso la
formazione di una maggioranza centrista della quale la DC era dominatrice
assoluta con oltre il 48% dei voti. I democristiani, nel corso della
legislatura, si resero conto che il pendolo del potere stava oscillando da
un’altra parte e cercarono di porre rimedio modificando la legge elettorale
attraverso l’introduzione del classico premio di maggioranza (in quell’occasione
per davvero, la coalizione avrebbe dovuto superare il 50%). Così non fu e il
60% del 1948 (DC 48, 51, Socialdemocratici 7,1, Liberali 3,82, PRI 2,48.
Totale: 61,91) si ridusse, proponendo la “legge truffa”, al 49,24%.
Il
tutto come pro memoria.