CATANIA: TRA
ACQUA E FUOCO
di Renato Pennisi
Veduta di Catania |
Catania è una città
costruita sull’acqua. Pochi, credo, lo sappiano e molti catanesi lo hanno
dimenticato. Costruita sulle sue rovine, coperta da eruzioni e polverizzata da
terremoti paurosi, le sue fondamenta sono attraversate dalla rete degli
affluenti del fiume Aci, e dal fiume Amenano che affiora giusto a Piazza Duomo,
dalle acque che scorrono limpide nate dai ghiacciai dell’Etna.
Ci
sono molte altre città nelle profondità
di Catania, dalle case e dalle strade inondate. Si racconta che molti anni fa
un’intera scolaresca con il proprio insegnante scese nelle profondità di
Catania venendo sorpresa da una piena improvvisa. I loro corpi non vennero mai
trovati.
Che
posto è mai questo? C’è un teatro greco chiuso da palazzi ottocenteschi in uno
dei quali nacque Vincenzo Bellini. C’è il piccolo anfiteatro, perfettamente
conservato, dell’odeon dove Alcibiade cinque secoli prima di Cristo chiese ai
catanesi di intervenire a fianco di Atene contro Siracusa, e i catanesi per
loro fortuna dissero di no.
Che
posto è mai questo? Dove le colonne dei templi romani le trovi sulle facciate
delle chiese e nel portico di Piazza Mazzini. C’è il castello voluto da
Federico II dove Messer Jacopo scrisse i primi sonetti. Ci sono i resti
dell’Anfiteatro romano, poco più piccolo del Colosseo, che fece da cava per
costruzione della cattedrale-fortezza che avrebbe difeso i catanesi dalle
scorribande dei pirati saraceni, con l’altissimo campanile, meraviglia del
mondo. Il terremoto dell’11 gennaio 1693, che devastò la Val di Noto, avrebbe
abbattuto quel campanile facendolo crollare sulla cattedrale e ammazzando i
catanesi che stavano pregando la loro Sant’Agata. Che razza di posto è mai
questo? Dove gli studenti più anziani superstiti al terremoto si sono
organizzati sostituendosi ai docenti morti, e continuando le lezioni in un
insopprimibile attaccamento alla vita. Una città che sarebbe rinata barocca e
festante, con la Via Etnea che la taglia in due come un fuso, con Giovanni
Verga che da Via Sant’Anna passeggia fino al Duomo salutando gli amici. Una
città che sarebbe diventata liberty ed elegante, petulante e menzognera.
Che
posto è mai questo? Stai sul mare, lo stesso dove la Provvidenza andava in
cerca della buona ventura, e in tre quarti d’ora d’automobile sei a duemila
metri dove la lava fende la neve. La lava che da bambino vedevo in sogno
scendere da Monserrato e riempire Largo Rosolino Pilo, e poi mia madre mi
stringeva rassicurandomi: “La lava qui non arriverà”. Ma so che la lava qui c’è
stata e che ritornerà, in questo luogo dove la violenza si arrende alla vita, dove
lo stupore ti prende per mano e ti fa compagnia.