IL DÈMONE DELLA SCRITTURA
di
Angelo Gaccione
Sappiamo di genetica e di Dna, e
tuttavia non conosciamo con certezza la materia (e la sua misura) che
combinandosi renda due sorelle una molto bella e l’altra bruttina, e non
sappiamo perché una mano è capace in un battibaleno di disegnare con estrema
facilità i lineamenti di un volto o di un paesaggio, e un’altra assolutamente
no. Potete frequentare tutte le accademie di questo mondo ed avere il più
versatile dei maestri, ma non farete un solo progresso sulla via dell’arte. È possibile, se ci si impegna, diventare un ottimo critico, ma mai un pittore. Sappiamo
invece con certezza che per fare un vero artista sono necessarie tre cose:
il talento, lo stile, l’originalità. Ho usato un sostantivo volutamente incerto
e generico perché la triade a cui mi riferisco è costituita da elementi
immateriali e dunque visivamente e tattilmente incorporei. Trattandosi di
elementi immateriali, è fin troppo ovvio dedurne che essi non siano riproducibili,
né è possibile renderli seriali. Possono essere copiate da abili falsari le
opere che da quella triade discendono (e difatti in pittura i falsari e i
copisti abbondano come i contraffattori delle firme), ma crearle no. E allora è
più che legittimo che Alfio Squillaci non abbia alcuna simpatia per le scuole
di scrittura creativa e abbia scritto un prezioso e utilissimo saggio per
auspicarne la chiusura.
Il suo agile pamphlet: Chiudiamo le scuole di scrittura
creativa! (con tanto di punto esclamativo), tornerà utilissimo a quanti
decideranno di intraprendere quello che in diverse occasioni ho definito l’insano
mestiere dello scrittore e una vera e propria dannazione. Squillaci
si chiede, giustamente, come sia possibile insegnare in una scuola di scrittura:
talento, stile e originalità, dal momento che si tratta di qualità (o doni naturali?)
strettamente individuali; così personali ed esclusive quasi come le impronte
digitali. E ci ricorda, altrettanto giustamente, che i più talentuosi scrittori
che noi ammiriamo non hanno frequentato alcuna scuola di scrittura, a partire
dalle più lontane e antiche origini di questa forma di espressività. Assodato
che la maggior parte di queste scuole funzionano come vere e proprie batterie
per “polli di allevamento” (la creazione di un possibile scrittore di successo)
condite con una discreta dose di conformismo - il libro vi mostrerà gli
ingredienti -, come si evince dal discorso di Squillaci, sorge spontaneo porsi
la domanda: Da chi imparare, dunque? Personalmente consiglierei di immergersi a
fondo nel pozzo nero della vita; ci si contamina e molte scorie restano
attaccate alla pelle e all’anima. Certo bisognerà avere una sensibilità accesa
per sentire le ferite sulla pelle e un’anima disposta ad accoglierle: “Nessuna
cosa ha un’anima se non ne avete una” recita un mio aforisma giovanile; ma
la pensava così, e molto prima di me, lo scrittore russo Vasilij
Ròzanov: “Non avete un’anima, signori miei. Perciò non vien fuori
nemmeno una goccia di letteratura”. Occhio dunque all’anima, prima di
intraprendere l’avventura dello scrivere. Perché ha ragione da vendere
Squillaci, è un mestiere che non vi potrà insegnare nessuno, perciò meditate
queste sagge parole di Ugo Ojetti: “Quello dello scrittore è il mestiere più
libero e più duro, in cui nessuno ti aiuta tranne qualche morto”. Che sia un mestiere duro, anzi durissimo,
concordo; che sia il più libero non sono più sicuro. L’industria
culturale e la mercificazione, la società dello spettacolo e i suoi riti, lo
hanno reso tutt’altro che libero. Ma Ojetti ha ragione: solo qualche trapassato
può venirti in soccorso perché ha manipolato la materia prima di te e ha
tracciato la via. E allora dovete accogliere i suggerimenti di Squillaci:
leggere, leggere, leggere, soprattutto i morti come dice Ojetti, e aggiungerei gli
autori veri, ricordandosi sempre che “La cultura ha guadagnato soprattutto da quei libri con cui gli editori
hanno perso” come ha scritto Thomas Fuller. Magari vi tremeranno i polsi e
desisterete, ma di certo non avrete sprecato il vostro tempo: se non avete
imparato a scrivere, avete almeno imparato a leggere e a capire. Parafrasando
la battuta finale con cui Squillaci chiude il suo libro, se non avrete imparato
a ballare il tango, avrete almeno imparato le mosse. Da parte mia, non posso
che ribadire quanto ho più volte detto: dopo una lunga vita di scrittura ho
imparato solo come non devo scrivere. È poca cosa? Forse sì, è un misero
bottino ma andava messo in conto.
La copertina del libro |
Alfio Squillaci
Chiudiamo le scuole di scrittura creativa!
Pagg. 120 € 12
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