PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada
L’ordine
Il pastore greco, nel formulare la radice ταγ: dal tendere genera/nasce assegnò a
sé un tema di lettura del grembo per coniare delle parole, identificative del
reale. Molto probabilmente, per rappresentare un aspetto della guerra, aggiunse
un delta, con il significato di mancare, che, per pronuncia, trasformò
in σ/ς. In tal modo elaborò il verbo τάσσω, con la variante attica τάττω, a cui
assegnò i seguenti significati: ordino (metto in ordine), schiero,
dispongo, stabilisco, do un comando, comando. Coniò,
pertanto, questo verbo, attraverso la seguente perifrasi: si genera il mancare
dal tendere (in questo caso: quando la creatura si appresta a nascere).
Infatti, il travaglio, che è il mancare per eccellenza, è metafora della guerra.
Quindi, dalla
radice, deduce una persona, un capo, che stabilisce tutto ciò che
dev’essere realizzato, in modo pedissequo, e, in particolare, le operazioni
preliminari. Definito il percorso mentale, da ταγ dedusse (tagos) ταγός: signore,
comandante, (taghé) ταγή: ordine di
battaglia, (tagheia) ταγεία: comando
supremo, amministrazione ecc. Poi da τάσσω formulò l’aggettivo verbale (taktòs) τακτός: ordinato, stabilito, fissato, da cui (tactès) τακτής: ordinatore, da τακτής ebbe tattico,
ad indicare chi studia il modo di disporre (l’esercito). Quindi, tatticismo,
poi la (arte) tattica e, in
tempi moderni, c’è stato chi ha sentito la necessità d’inventarsi la
pretattica. Gli italici, inoltre, da τάσσω (stabilisco),
pensarono che quel tipo di comando è tassativo, nel senso che in
nessun modo si può derogare da, in quanto, in natura, tutto quello che
avviene è prescritto. I greci coniarono, inoltre, (taxis) τάξις: ordinamento, disposizione di un esercito, quindi: (syntaxis)
σύν-ταξις: organizzazione, coordinazione, a
cui, oggi, si dà il significato di organizzazione logica di una frase o di un
periodo, quindi (ypo-taxis) ὑπό-ταξις: subordinazione,
soggezione; infatti, con ipotassi, oggi, si indica la
subordinazione nel periodo. Fu dedotta anche (parataxis) παράταξις: disposizione, che, nel significato
odierno, indica la strutturazione delle proposizioni coordinate. C’è sempre da ricordare che il
significato alla parola viene assegnato da chi ha strutturato il simbolo
verbale e da come si è trasformato attraverso l’uso.
Sul
modello della parola greca: (auto-nomia) αὐτο-νομία: autonomia,
posseduta da chi si amministra da sé, furono elaborate parole come tassonomia,
termine per indicare, nelle scienze naturali, le classificazioni, che
sono ordinate dalla norma/regola, in greco νόμος, che ne stabilisce l’ordine sequenziale.
Allo stesso modo sintagma fu coniato per indicare una schiera
ordinata con le altre e, in generale, unione ordinata, mentre oggi
ha acquisito il significato di un elemento verbale da collegare in modo
logico; infatti, in linguistica, dice il Treccani, sintagma si deve
intendere: “unità sintattica, di varia complessità ed autonomia, di
livello intermedio tra la parola e la frase ecc.”
I latini
coniarono il verbo deponente ordior ordiris, orditus sum, ordiri:
do principio a, ordisco, faccio una trama, avvalendosi di
questa perifrasi: è ciò che consegue per me dallo scorrere il mancare
l’andare a generare. Il pastore latino ragionò così: l’inseminazione (il
mancare) non solo costituisce l’inizio della realizzazione della creatura, ma
ha in sé tutti gli elementi per la creazione. Da questo verbo che
enuclea molti concetti, i latini ricavarono ordia prima, quelli che Lucrezio
chiamò primordia rerum, che sono appunto gli elementi costitutivi
per realizzare una creazione in natura. Altri pensarono al processo per fare,
per cui dedussero il principiare (i primordi), altri, nel principiare di
un tessuto, intravidero il fare la trama e, quindi, l’ordito e l’orditura.
Altri ancora pensarono che, nell’incipit, c’è l’inizio della prima volta,
per cui formularono esordire ed esordio.
Poi,
seguendo questo percorso, dalla radice ord (dal generare lo scorrere
il mancare) e con un altro passaggio logico: va dentro l’andare a legare,
fu dedotto ordo ordinis: ordine, disposizione ordinata,
successione regolare, fila, serie, centuria, grado
(di centurione), classe sociale.
Nel
grembo, dopo l’inizio, c’è una sequenza prestabilita, obbligata, che in nessun
modo è possibile variare, che apporta risultati eccellenti, che il pastore
definì ordine. L’ordine di natura affascina il pastore, che cerca, a suo
modo, di attuarlo nel lavoro e nell’organizzazione sociale. Nell’ordo,
pertanto, si individuarono anche quelli di gerarchia e di classi
sociali, funzionali al mantenimento dell’ordine (ad ordinem servandum) e,
quindi, a conservare l’esistente.
La società
romana, come quella ateniese e spartana, ebbe un’organizzazione, che prevedeva la
costituzione dell’ordine dei patrizi, di quello dei senatori, dei cavalieri,
dei plebei ecc., in quanto si riteneva che la ripartizione dei compiti fosse
funzionale alla realizzazione del bene comune. Nel tempo, però, questa
strutturazione rigida determinò vari conflitti sociali, in quanto il ceto
nobiliare, dominante, sottoponeva a vincoli duri le classi subalterne, che non
potevano nemmeno aspirare al passaggio di classe.
I latini non
assegnarono a ordine il significato di comando, che, invece, fu
degli italici. Probabilmente, il significato di impartisco ordini fu
acquisito con l’uso, in quanto, per esempio, in “ordinare filium in
successionem”, si esprime un atto di volontà cogente che implica statuizione.
Nel mio dialetto ordine significa, quasi in modo esclusivo, nell’accezione
corrente, vincolo iussivo, mentre, per indicare fare ordine si dice: faccio
il registro (rassetto e metto ogni cosa al suo posto). La parola registro
fu coniata dagli italici ed ebbe, in modo particolare, la funzione di annotare,
in sequenza temporale, mettendo al posto stabilito quanto doveva essere
ricordato.
Pertanto,
i due significati, contenuti in ordine, devono essere contestualizzati, in
quanto generano parole omofone. Con l’aggettivo ordinario i latini
parlarono delle sequenze solite che si rispettano tutti i giorni, mentre
con straordinario indicarono l’inconsueto, l’inusuale, l’evento
memorabile. Gli italici coniarono ordinanza, come atto
d’imperio dell’autorità. Quindi da chi ha ordinato l’invio di un libro, fu
dedotto il sostantivo ordinativo ecc. Non è da escludere che gli italici
abbiano ricavato i due significati assegnati ad ordine, sulla base di
alcune analogie con τάσσω, che essi
ben conoscevano.
Il reale
è, quindi, metafora del grembo. Il grembo è anche il luogo del fare, delle
realizzazioni, delle creazioni, ma, per fare, occorre che ci sia uno che
comanda. Nel grembo, che è il luogo del mancare (del fare quel che è
necessario sia fatto), nel senso che si realizza gradualmente ed in modo
pedissequo ciò che manca, c’è un capo molto rigoroso (despota/dominus), che
prescrive (lega) quel che è necessario fare, in funzione di un
completamento perfetto. I greci videro in (archos) ἄρχος la guida, il condottiero,
che è colui che guida per far venire alla luce la creatura. Da ἄρχος si ebbe,
poi, eparca, mentre, in italiano, abbiamo parole come: archidiocesi,
archiginnasio, archiatra. Il verbo emanazione di ἄρχος fu ἄρχω: precedo,
guido, sono a capo, intraprendo, metto mano a, che,
a sua volta, generò l’arconte.
Lo stesso
percorso logico seguirono i latini, quando coniarono dux ducis, che è
colui che non solo guida, ma escogita strategie per portare a meta sicura.
I latini
con ìmpero dissero: ordino, comando, prescrivo, che,
in un certo senso, è omologabile a τάσσω, in quanto
pensarono che la creazione sequenziale e precisa di ogni singola parte
presupponga uno che dia puntuali ed inderogabili ordini.
Dal verbo impero
fu dedotto imperium: diritto di comandare, prescrizione,
autorità, comando. Da ricordare, proprio a supporto di questa
tesi, che, in greco, l’avverbio πέρα significa: al
di sopra. Poi, da chi ha comandato (imperatus) furono dedotti imperatore
e imperativo. Iubeo: ordino, decido, stabilisco,
prescrivo esprime significati dedotti da iub: è ciò che si
fa per generare (per realizzare) l’essere in formazione; poi,
dal participio passato iussus: comandato fu dedotto il sostantivo
iussus iussus: il comando.
Gli
italici, per indicare l’ordine, come espressione di autorità,
coniarono co-mando e co-mandare, che furono dedotti da mandare.
Da chi ha il potere di mandare si evince la potestà. Il mandato, nella
metafora del grembo, così come il missus dei latini, è la creatura,
a cui, nell’intraprendere il viaggio si fanno le raccomandazioni, perché
si conoscono i pericoli che deve affrontare. Nel Cosentino, per indicare una
persona che, anziché fare, impone agli altri di fare, si usa dire: tiene nu
mann’! (il suo modo di essere è mandare!), per non dire: sta
sempre a comandare.
In ciò
che avviene nel grembo, c’è necessità, nel senso che deve verificarsi necessariamente,
anche secondo i tempi stabiliti. Infatti, i latini, quando coniarono stato (chi
è stato), fecero riferimento alla creatura in grembo, che è divenuta per come
prescritto, nel tempo stabilito di nove mesi. Da ciò dedussero statuo: stabilisco,
fisso, determino e, quindi, instituo, constituo, destituo e,
finanche, prostituo: pongo davanti, espongo, concetti desunti dal
grembo che mette in mostra.
Inoltre,
a dictus, in ciò che ho detto, i latini diedero un valore prescrittivo,
in quanto con dico la gestante, con l’incipiente segno, preannuncia
l’evento, confermato (detto) in modo certo, dopo nove mesi, con la nascita.
Coniarono anche il sostantivo dictum (il detto che rimane, da seguire
per veridicità e saggezza): asserzione, sentenza, ordine, comando
e il verbo dicto dictas: impongo, prescrivo, detto.
Poi, da dictatus fu coniato dictator, che, come ben si sa, a Roma,
era l’uomo assennato, che, per un semestre, prendeva decisioni necessarie e
opportune. A suffragare quanto or ora attestato, si ricorda il significato di edictum:
proclama, annunzio pubblico, ordinanza, bando.