MALA STORIA
di
Roberta Salardi
Giovanni Giovannetti
Malastoria di Giovanni Giovannetti fa riferimento al
nostro passato prossimo, soprattutto al periodo compreso fra gli anni Quaranta
e gli anni Settanta, collocandosi idealmente fra i due omicidi dei fratelli
Guido e Pier Paolo Pasolini, risalenti a contesti molto diversi e
cronologicamente distanti, tuttavia entrambi avvenuti in circostanze
controverse: l’eccidio di Porzûs del ’45 e l’uccisione del poeta all'Idroscalo
di Ostia nel ’75. (Dico “idealmente” perché in realtà il testo sconfina in più
punti da quei limiti temporali).
A
proposito della morte del fratello partigiano appena diciannovenne PPP ebbe a
scrivere parole che potrebbero essere apposte a epigrafe anche del delitto di
cui fu egli la vittima a distanza di trent’anni: “Che la sua morte sia avvenuta
così, in una situazione complessa e apparentemente difficile da giudicare, non
mi dà nessuna esitazione. Mi conferma soltanto nella convinzione che nulla è
semplice, nulla avviene senza complicazioni e sofferenze: e quello che conta
soprattutto è la lucidità critica che distrugge le parole e le convenzioni, e
va a fondo nelle cose, dentro la loro segreta e inalienabile verità” (brano
tratto da un articolo apparso su Vie Nuove nel 1961 e riportato a pag. 94 del
volume). Porzûs purtroppo fu una tragedia nella tragedia: un agguato di
partigiani ad altri partigiani per lotte intestine ideologico-territoriali al
confine Est d'Italia che accompagnarono gli ultimi mesi della Resistenza
(condannate dal Clnai, pag. 60). E proprio nel richiamo ad alcuni cupi episodi
avvenuti tra le fila delle brigate di liberazioni affonda le radici il racconto
di Giovannetti, laddove il nemico numero uno, i tedeschi per la brigata Osoppo,
ad esempio, passava in secondo piano rispetto ai temuti partigiani garibaldini
con le loro aspirazioni di giustizia sociale. Il Friuli, al confine con la
Jugoslavia, negli ultimi anni di guerra e nel primo dopoguerra fu il principale
laboratorio di un’attività militare non dichiarata volta a esorcizzare il “pericolo
rosso”. Pasolini chiamerà “fascismo dell’antifascismo” quel misto di
monarchici, repubblichini e clericali consorziati nell’anticomunismo che
finanziava e organizzava squadre armate. Si può parlare di veri e propri piani
eversivi che maturarono invece nell’intera nazione con il Piano Solo (1964), il
golpe Borghese (1970), quello di Sogno (1974) e quello di Gelli (1981).
Inframmezzate a questi disegni di rovesciamento delle istituzioni democratiche,
come sappiamo, si succedettero diverse stragi che avrebbero dovuto preparare il
terreno. I lunghi processi che seguirono hanno visto in taluni casi la morte
per vecchiaia dei mandanti prima della sentenza definitiva (cfr. pag. 398 per
la strage alla stazione di Bologna).
Pier Paolo Pasolini
Malastoria. L’Italia
ai tempi di Cefis e Pasolini è la storia di una commistione fra destra
eversiva (anche istituzionale) e criminalità organizzata, da cui la prima
traeva denaro e manovalanza per progetti e attentati. I finanziamenti però non
arrivano solo dai soldi sporchi della mafia; vi è implicato il mondo degli
affari e della finanza, in cui spicca in particolare, nella ricostruzione di
questo libro, l’Eni di Eugenio Cefis legata alla P2; ma non mancano riferimenti
a Confindustria, Fiat, Oto Melara, Breda e Finmeccanica (pag. 297), legate a
Gladio e Ordine nuovo. Si fanno pure i nomi di vari esponenti politici
dell’epoca, da Giulio Andreotti ad Amintore Fanfani, impegnati in fitte
relazioni che sconfinano nell’illegalità: nomi che confluiscono nel romanzo che
PPP stava scrivendo prima di morire.
Malastoria è la narrazione
documentata, con ampio corredo di note, citazioni, fotografie, link e rimandi
(tra cui il sito https://malastoria.wordpress.com reperibile in Rete), di un
anticomunismo viscerale e violento che attraversa la storia italiana mietendo
moltissime vittime, non “necessarie” neanche da un punto di vista prettamente
strategico nella logica di Jalta. L’Italia della guerra fredda non sarebbe mai
passata al blocco sovietico in base alle valutazioni sia dell’Urss sia dei
dirigenti del Pci. Dopo un periodo di attacchi cruenti agli operai (di cui si
ricordano in particolare gli episodi di Portella della Ginestra del 1947 e
Modena del 1950) e vari attentati o prove generali di attentati, si arriva a un
fatto di sangue destinato a impressionare più di altri, la strage di piazza
Fontana a Milano del 1969, che però non produsse uno stravolgimento della
struttura democratica del Paese. La grande partecipazione ai funerali delle
vittime il 15 dicembre in piazza Duomo, la compatta risposta della città ferita
e attonita di fronte a quella violenza ingiustificabile pare abbia contribuito
fortemente a vanificare i piani golpisti.
Eugenio Cefis
Passati
gli anni sessanta col loro apporto di novità (Kennedy, Papa Giovanni), nel 1972
e nel 1973 si tennero i viaggi di Nixon a Pechino e a Mosca che avallarono la
rinuncia a soluzioni golpiste “alla greca” in favore di forme di
stabilizzazione che non escludevano lo sdoganamento del Pci (pag. 310), il
quale, badando a non urtare mai troppo la potenza democristiana, mira a
proporre “un governo di sintesi tra le culture cattolica, comunista e
socialista” all’interno di una società più equa e più organizzata (pag. 544).
Qui si apre una partentesi sul Pci. La politica ha i suoi costi, si legge nel
capitolo Retrobotteghe oscure: “così, negli
anni della lunga marcia per l’emancipazione politico-economica da Mosca
il ‘partito dalle mani pulite’ deve suo malgrado indebitarsi con le banche (…)
e provvede a contenere le spese, aprendosi anche a forme alternative di
autonomia finanziaria – come il voto favorevole per una fulminea approvazione
della legge sul finanziamento pubblico dei partiti nel 1974 – ed altre non
sempre limpide ‘entrate straordinarie’ sia a livello centrale che periferico”
(pag. 538). Si precisa che “molte entrate straordinarie derivano da attività
malsane”. C’è il legame con la Fiat e altre aziende, viaggi negli Usa e accordi
in parte segreti di dirigenti del partito con uomini di potere americani, forse
con la Massoneria (pag. 548). Ma soprattutto c’è un “patto del silenzio” con la
Dc sui responsabili reali delle stragi e dei pianificati golpe. Le critiche a
sinistra (pag. 545) vengono messe da parte: “… il Pci non esita a soffocare
ogni embrione di nuove culture politiche libertarie (…) delegittimando così
l’esperienza storica, psicologica e sentimentale dei movimenti e favorendo
indirettamente l’inabissamento di tante persone nella lotta armata o nella
disperazione” (pag. 564). Ma c’è di più: “all’impunità scelleratamente
dispensata agli assassini stragisti e ai loro molteplici mandanti” lo storico
più volte citato Aldo Giannuli “fa risalire il successivo proliferare della
corruzione politica in Italia (da diffusa qual era a sistemica), i recenti
intrecci tra lo Stato e la Mafia, l’impetuosa avanzata dell’economia criminale
e, non ultimo, il tangibile logoramento della legalità repubblicana” (pag.
565).
L’orizzonte
della distensione fu avversato soprattutto da un mondo politico e militare
accesamente reazionario sia in Italia sia negli Stati uniti sia in Gran Bretagna
(pag. 327). I venti di rinnovamento culturale e una sinistra democristiana che
si avvicina sempre più al Pci suscitano allarme. Nonostante l’ammorbidirsi dei
rapporti fra i due blocchi atlantico e sovietico, non accenna a fermarsi la
guerra di classe condotta da settori reazionari della politica e dell’esercito
contro speranze e rivendicazioni dei ceti oppressi rinnovate dal clima del boom
economico. Giovannetti entra nel dettaglio riguardo alla P2 (pagg 256-7,
268-9), a Gladio, a Ordine nuovo (pag. 320), e non mancano riferimenti a
un’associazione meno conosciuta come l’Anello (pag. 319), messa in evidenza da
Aldo Giannuli nel suo studio sulla strategia della tensione (La strategia della tensione, Ponte alle
Grazie 2018).
Nelle
lunghe indagini e inchieste succedutesi negli anni intorno alla P2 emergeranno
nomi importanti di politici e industriali, quello di Giulio Andreotti in primis (pagg. 297, 319, 465), mentre
altri nomi, oltre al suo, vengono fatti per Gladio e Ordine nuovo (pagg. 297,
320). Il nome di un imprenditore molto ambiguo e molto potente che ricorre
nelle ricerche su quegli anni oscuri, come nell’incompiuto romanzo-saggio Petrolio di Pasolini, è quello di Eugenio
Cefis, forse il mandante dell’omicidio di Enrico Mattei nel 1962: era vicepresidente
dell’Eni quando Mattei era presidente, divenendone il successore e cambiandone
radicalmente la politica filoaraba, che mirava a una centralità italiana nel
Mediterraneo, invisa agli interessi dei petrolieri europei e americani (pagg.
438, 449, 469). Dietro di lui sicuramente la politica, in particolare Amintore
Fanfani, secondo Pasolini. Della misteriosa figura di Cefis si parla
diffusamente nel volume di Giovannetti, anche per misfatti (questi provati)
commessi in ambito d’inquinamento ambientale e di mancata tutela dei lavoratori
quando diresse la Montedison, dopo l’Eni (pag. 533).
Enrico Mattei
PPP
nei suoi ultimi mesi di vita avrebbe voluto portare a processo tutta la Dc,
spiegandone le ragioni in articoli apparsi sul Corriere della Sera nell’agosto
1975 e in quel settembre sul settimanale “Il Mondo”, un cui frammento dice, per
esempio: “Gli italiani vogliono consapevolmente sapere fino a che punto la
Mafia abbia partecipato alle decisioni del governo di Roma o collaborato con
esso (…) Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi sono gli esecutori
materiali e i mandanti, connazionali, delle stragi di Milano, di Brescia, di
Bologna”(pag. 469). Egli parla a chiare lettere di “criminalità di Stato” e di
“indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico,
intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza
con la Mafia, alto tradimento (…), uso illecito di enti come il Sid,
responsabilità nelle stragi (…), distruzione paesaggistica e urbanistica
dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani…”
(pagg. 477-8). Secondo il segretario di Pasolini Dario Bellezza, e altri, lo
scrittore fu eliminato perché entrato in possesso di un dossier scottante che
andava assolutamente recuperato (Il poeta
assassinato, Marsilio 1996). In effetti alcune carte in suo possesso pare
siano state trafugate.
Max H. Sauvage
"Cospiratore" 2021
"Cospiratore" 2021
PPP come Mauro de Mauro (pagg. 438-9) e Mino Pecorelli
(pag. 479), giornalisti che sapevano troppo? Non è da escludere, se si
considerano le numerose vittime colpite perché stavano indagando su intrecci di
attività poco chiare intercorse fra servizi segreti, settori dell’esercito,
ambienti politici e criminalità organizzata, oppure perché sventuratamente, in
modo del tutto casuale, s’imbatterono in informazioni che non dovevano
assolutamente trapelare: alla fine di Malastoria
per una decina di pagine vengono elencate, ciascuna con una sintetica nota,
alcune di queste persone scomparse in circostanze mai del tutto chiarite.
E
un’altra quantità di vittime viene ricordata quando si fa riferimento ai
misfatti commessi da Cefis in ambito d’inquinamento ambientale, come si
accennava (pag. 533). Questo abile avventuriero, che veleggiava attraverso più
mondi, vicino ai poteri statali e al contempo a quelli di “una criminalità
sommersa economico-finanziaria” (pag. 492), teorico di quella fusione fra
pubblico e privato di cui fu tra i primi a beneficiare ma anche teorico di
future ristrutturazioni e svecchiamenti che avrebbero reso più competitive le
aziende, è molto presente a Pasolini per tre suoi discorsi scritti fra il 1972
il 1974. In uno in particolare si dimostrò acuto prefiguratore della politica a
venire (pagg. 431-2). Cefis lo tenne nel 1972 ai cadetti dell’Accademia
militare di Modena, esortando i militari a spostare l’attenzione dal nemico
esterno al nemico interno, a non disdegnare lo studio dei fenomeni sociali, a
occuparsi di politica, a controllare i giornali e i media; e PPP lo riprese,
avvertendone la pericolosa lungimiranza, nel 1974 con riferimento a un potere
divenuto transnazionale, mentre il nazionalismo e il clericalismo del fascismo
di una volta si potevano dire ormai superati. Era avvenuta una rapida modifica
e modernizzazione dei suoi modelli, in cui “un grande peso hanno avuto i mezzi
di comunicazione di massa e in primo luogo la televisione” (intervento alla
festa dell’Unità del 1974 pubblicato su Rinascita, riportato a pag. 432 di Malastoria).
Una
nuova strada ricca di successi si sta prospettando alla destra italiana: la
monocrazia mediatica di Silvio Berlusconi (pagg. 431-2), ovvero prendere il
potere con altri mezzi. Un progetto di Forza Italia era già in nuce negli anni 1975-6: un ritorno
alla democrazia dopo un eventuale golpe con la formazione di comitati
equivalenti ai club berlusconiani (pagg. 390-1). Della probabile origine
illecita dell’accumulo del capitale di Berlusconi si parla a pag. 407.
Per
combinazione in alcune relazioni dell’Igat (Ispettorato contro il terrorismo)
su Licio Gelli e la P2 degli anni 1974-76 viene descritta un’analoga
aspirazione al “controllo radio-televisivo, revisione della Costituzione,
riforma dell’ordinamento giudiziario, sospensione dell’azione dei sindacati,
bloccaggio dei contratti di lavoro…” (pag. 431). Gelli in persona in
un’intervista rilasciata a “la Repubblica” nel 2003 sostiene che potrebbe
rivendicare “i diritti d’autore” per quello che la società è diventata: “la
giustizia, la Tv, l’ordine pubblico. Ho scritto tutto trent’anni fa.” (pag.
412).
La copertina del libro
Giovanni
Giovannetti
Malastoria.
L’Italia ai tempi di Cefis
e Pasolini
Effigie
Ed. 2020,
Pagg.
685, euro 30,00
La copertina del libro |