UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

lunedì 28 gennaio 2019

ETICA DEI PRINCIPI, ETICA DELLA RESPONSABILITÀ
di Franco Astengo


“L’utopismo non è più un’accusa che dovrebbe costringere in un angolo l’avversario, ma una risorsa essenziale per una politica dotata di senso. La politica non è l’arte del possibile, e soltanto l’etica dell’intenzione conferisce all’agire politico la capacità di praticare una condotta il cui valore possa essere affermato contro ogni realtà e ogni realismo”.
Max Weber “La politica come professione” Einaudi, Torino 2004.
Il 28 gennaio 1919 Max Weber tenne a Monaco una conferenza “Politik als Beruf. La politica come professione” nell’ambito di un ciclo d’incontri dedicati al “lavoro intellettuale come professione”.
A Weber erano stati affidati due interventi, uno sulla scienza e uno sulla politica, pubblicati poi qualche mese dopo e riuniti in un testo che è diventato un classico della sociologia politica. Micromega  ha dedicato al centenario uno dei suoi “Almanacchi di Filosofia” esprimendo la convinzione che, a distanza di tanto tempo, le questioni poste da Weber in allora risultino ancora di straordinaria attualità.
Una motivazione sicuramente valida proprio in un momento in cui la tensione della folla verso “l’uomo forte” appare egemonica (si è scritto “folla” e neppure “massa” non casualmente).
Max Weber
Così Weber concludeva quella  sua conferenza: “La politica consiste in un lento superamento di dure difficoltà da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. E’ certo del tutto esatto, e confermato da ogni esperienza storica, che non si realizzerebbe ciò che è possibile se nel mondo non si aspirasse all’impossibile”.
Si è così pensato di riproporre tre brevi passaggi di quel testo, giudicandoli molto aderenti alla situazione attuale e confermando, come scrive Joan Subirats nel suo “Weber ai tempi del populismo” come quella del filosofo tedesco fosse una lezione da tenere a mente proprio nei tempi in cui sembra prevalere” la perdita di orizzonti di valore e l’incapacità di guardare più in là del proprio naso.”
Ecco di seguito i tre passaggi annunciati che sicuramente meritano di essere letti con attenzione:


1) “Quali gioie la politica è dunque in grado di offrire e quali attitudini personali presuppone in chi vi si dedica? Ecco, essa procura in primo luogo il sentimento del potere. Anche quando occupa posizioni formalmente modeste, la coscienza di esercitare un’influenza sugli uomini, di partecipare al potere su di essi, ma soprattutto il sentimento di tenere tra le mani il filo conduttore di eventi storicamente importanti, permette al politico di professione di elevarsi al di sopra della quotidianità”.
2) Si può dire che sono tre le qualità decisive per il politico: passione, senso di responsabilità e lungimiranza. “Passione” nel senso di votarsi a qualcosa, di un impegno appassionato verso una causa. La passione non trasforma una persona in un politico se, come servizio della causa, non fa della responsabilità la stella che indica la rotta del suo agire. E per tal fine ha bisogno della “lungimiranza”: la qualità psicologica decisiva per il politico, la capacità di lasciare che la realtà agisca su se stessi con serenità e raccoglimento interiore”.
3) La “mancanza di distanza”, semplicemente in quanto tale, costituisce uno dei peccati mortali di ogni uomo politico ed è una di quelle qualità che, coltivate presso la nuova generazione dei nostri intellettuali, li condannerà all’inettitudine politica. L’uomo politico deve dominare in se stesso, ogni giorno e ogni ora, un nemico del tutto banale e fin troppo umano: la vanità.


L'aforisma irriverente


ATTILA
“A corto di donne, rivoltò Roma ed ottenne amoR”. 
Nicolino Longo

domenica 27 gennaio 2019

MEMORIA
27 GENNAIO: MEMORIA PER IL PRESENTE
di Franco Astengo

Giuseppe Denti "Per non dimenticare"

In questi giorni si susseguono le cerimonie di ricordo per quella che è stata definita “giornata della memoria”.
Si cerca così di ricordare la più grande tragedia collettiva del ‘900 ricostruendo i termini nei quali avvenne; esorcizzando gli elementi di pensiero e di azione sulla quale fu costruita la gigantesca macchina della repressione e dell’eccidio di massa.
L’auspicio da pronunciare per questa occasione evitando inutili passerelle retoriche riguarda la capacità di stilare un bilancio complessivo di recupero della memoria non rivolto a guardare il passato limitandoci a trarre da questa “visione” soltanto generici accenti di richiesta per espressioni di “buona volontà”, come accade troppo spesso.
Serve una “memoria per il presente”.
È necessaria un’attualizzazione senza riguardi; una riflessione su ciò che avviene oggi nell’era della tecnologizzazione globalista.  Ci troviamo in una situazione dove appare sempre più sottile il confine tra l’esclusione o l’inclusione degli esseri umani dal contesto sociale. Un confine che sembra essere travolto dal riproporsi dell’egemonia della logica di sopraffazione.
La rievocazione della più grande tragedia del ‘900 deve dunque oltrepassare il ricordo dei fatti  legati all’annientamento fisico di milioni di persone.
Persone definite, a vario titolo, “indesiderabili” e per questo motivo concentrati nei campi al fine di “proteggere” gli altri i “normali” attraverso un trattamento preventivo eseguito come se si fosse trattato di una misura di igiene e profilassi pubblica.
Un trattamento di reclusione fuori da qualsiasi canone giudiziario: una misura eccezionale di prigionia dalla quale non poteva che scaturire la realtà dell’eliminazione fisica.
Il rapporto tra la concentrazione coatta e lo sterminio di massa si potrebbe definire quasi come un nesso obbligato. È questa la lezione da ricordare.
Definito questo quadro del rapporto tra concentrazione coatta e sterminio di massa ne discende un’immediata comparazione con l’attualità: una comparazione assai facile da comprendere individuando con chiarezza anche nomi e cognomi.
Claudio Vercelli disegna i contorni di questa comparazione attraverso una sintesi efficace che si legge in un suo articolo (“Il Manifesto” 25 gennaio “ L’esilio sistematico di un’umanità considerata in eccesso”).
Sintesi che riprendo in pieno: “L’elemento fondamentale, in questo caso, è dato dal nesso, indissolubile nell’età della “nazionalizzazione delle masse” tra politiche di Stato, consenso generalizzato, bisogno di rassicurazione”.
Sembra proprio di leggere  notizie di queste ore tra chiusura dei porti, sgomberi coatti, rassicurante caccia all’indesiderabile: atti di violenza intesi come piattaforma per una riassicurazione del “pubblico” che permetta di raccogliere consenso con il minimo costo.
Attenzione però: tra “esilio di massa”, concentramento “extra-lege” e sterminio il collegamento c’era e c’è e non si esaurisce nel passato e nella retorica dell’espressione di buoni sentimenti.
Non si sta scrivendo che la storia potrebbe ripetersi.
Le forme del ripresentarsi del ciclo storico sono infinite e si tratta di valutarne, di volta in volta, la realtà.
Si tratta di riflettere su come determinati aspetti di ciò che è già tragicamente avvenuto tornino a presentarsi all’interno di una società di massa sicuramente profondamente modificatasi nella sua essenza, rispetto a quella che agiva nell’Europa degli anni trenta quaranta.
Alcuni elementi in questo senso devono essere visti, analizzati, sottolineati senza colpevoli sottovalutazioni o peggio strumentalizzazioni opportunistiche.
In una società dominata dall’incertezza si levano forti imperativi rivolti alla soggettività, alla valorizzazione dell’individualismo, alla raccolta degli eguali dentro il nostro recinto.
Un recinto magari contornato da muri.
Un recinto che segna il confine di una “diversità” che si pensa di attribuire agli altri.
È questo il senso profondo del rigurgito nazionalista in atto ed è su questo punto che la sinistra sottoposta alla tentazione di una facile popolarità su questo terreno dovrebbe cominciare a recuperare almeno il senso della propria direzione di marcia.
Appare del tutto fragile un richiamo alla nazione destinato a evocare un mondo di stranieri potenzialmente pericoloso. Ne consegue, per la “Nazione” la necessità di un’opera di purificazione permanente con lo scopo di liberare il proprio “corpus” di tutti gli elementi di squilibrio dal razziale al sociale.
Si determinerebbe così uno stato di “sicurezza” che deriverebbe dalla capacità dello Stato di assumersi un diritto assoluto e primitivo di determinare chi può integrarsi e chi, invece, merita di essere espulso dal consesso civile. Dall’espulsione “temporanea” a quella “definitiva” (per usare un eufemismo) il passo è sempre stato breve. Ci troviamo di fronte ad una delineazione di analogie da dedicare a chi pensa che l’accoppiata fascismo/antifascismo sia superati e da dimenticare.
La memoria per capire questo presente che incombe e ci inquieta mentre quella che abbiamo sempre considerato la “nostra parte” oscilla paurosamente verso la subalternità al presente.




La spada di Damocle di un Rigassificatore
nel Porto di Messina-Tremestieri
di Antonio Mazzeo


Dietro l’affaire del costruendo megaporto di Tremestieri con annessa piattaforma logistica, progetto fortemente voluto dall’ex amministrazione Accorinti e dal gruppo di traghettamento privato Franza-Matacena, c’è pure il tentativo di realizzare a Messina una grande stazione di “stoccaggio e bunkeraggio di Gas Naturale Liquefatto (LNG)”, ossia un vero e proprio impianto rigassificatore ad altissimo rischio ambientale.
Quanto rivelato nei mesi scorsi da alcuni ambientalisti e blogger ha trovato conferma ufficiale ieri nel corso del workshop “Navi Traghetto Passeggeri alimentate a LNG: approfondimenti tecnici e normativi”, organizzato nei locali dell’Hotel Royal dal Gruppo Caronte & Tourist d’intesa con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto. In particolare, nel corso del suo intervento, il rappresentante dell’Autorità Portuale di Messina Giuseppe Lembo “ha ribadito l’intenzione del Commissario Straordinario De Simone - che da anni è impegnato in tale direzione - di dotare il nuovo porto di Tremestieri di una stazione di stoccaggio e bunkeraggio di LNG in grado di soddisfare una domanda che vada oltre quella delle navi del Gruppo Caronte & Tourist,  soprattutto in quanto il Porto di Messina è stato individuato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la realizzazione di una delle sei stazioni di bunkeraggio finanziate nell’ambito di un Progetto globale volto ad incentivare la creazione di tali infrastrutture”.
Nel corso del seminario sono intervenuti tra gli altri anche l’ammiraglio Luigi Giardino e il comandante Ida Montanaro, ai vertici del reparto della Guardia Costiera che si occupa di sicurezza della navigazione e i tecnici della MAN Energy Solution e della Wartsila, le società che si sono occupate della parte impiantistica e meccanica della “Elio”, la nuova nave ammiraglia del gruppo Franza-Matacena in servizio sullo Stretto di Messina e alimentata appunto dal Gas Naturale Liquefatto. La presenza della Guardia Costiera al workshop conferma il notevole interesse militare per gli impianti LNG; la Marina Militare italiana, ad esempio, è impegnata da anni nei programmi di “conversione” di alcune unità all’uso duplice” gasolio-gas liquefatto e la possibilità di realizzare il deposito-hub nella città dello Stretto potrebbe dunque avere pesanti ricadute anche in termini di militarizzazione del territorio (un analogo impianto potrebbe sorgere anche nell’area di Augusta, sede del comando della Marina per il Mediterraneo ma anche stazione di rifornimento per le flotte USA e NATO, anch’esse impegnate ala riconversione delle navi da guerra all’uso LNG).
Ovviamente a Messina ci sono interessi economici ancora più articolati che spingono verso la trasformazione di Tremestieri in un grande hub LNG mediterraneo. Nel maggio 2016, nel corso di un convegno dal titolo “Italia hub del gas naturale, opportunità GNL per i trasporti marittimi nel Mediterraneo” organizzato presso il Circolo Ufficiali della Marina militare di Augusta, per sponsorizzare la realizzazione dei nuovi impianti intervennero tra gli altri Lorenzo Matacena, consigliere d’amministrazione di Caronte & Tourist Spa, il contrammiraglio Nicola de Felice (al tempo Comandante Marittimo Sicilia della Marina Militare) e il dottore Guido Di Bella del Consorzio Sicilia NAVTEC di Messina. Main sponsor di quell’evento, ancora una volta Caronte & Tourist e Wartsila Italia S.p.A., controllata dall’omonima società finlandese leader nella fornitura di soluzioni per la generazione di energia per il settore marino e terrestre, civile e militare. Al tempo, il dottore Guido Di Bella ricopriva contestualmente l’incarico di ricercatore associato del CNR ITAE di Messina, nonché di “componente della commissione tecnico-scientifica per la verifica delle valutazioni di incidenza ambientale (VIA) nel Comune di Messina” (nomina con decreto del marzo 2014 a firma del sindaco Renato Accorinti). Per la cronaca, il Consorzio Sicilia NAVTEC ha tra i propri soci sia la Caronte & Tourist del gruppo Franza-Matacena, il gruppo Noè di Augusta, Fincantieri e Intermarine S.p.A., questi ultimi particolarmente attivi nella produzione di imbarcazioni mercantili e da guerra; mentre presidente del Consiglio di amministrazione del consorzio è l’ing. Gaetano Cacciola, vicesindaco di Messina con l’amministrazione Accorinti e dirigente di ricerca del CNR ITAE di Messina (di quest’ultimo istituto, l’ing. Cacciola è stato direttore sino all’estate 2013).
“La nostra azienda, che vanta 14 navi per il trasporto passeggeri nello Stretto, è molto interessata ad avere una nave alimentata anche a GNL già entro il 2018 ma puntiamo ad incrementarne il numero”, dichiarava nel corso del meeting di Augusta Lorenzo Matacena. “La strategia riguarda per ora solo lo stretto di Messina: in Italia dobbiamo essere bravi a sviluppare una rete estesa, come quella nel Nord Europa, grazie a nuove infrastrutture essenziali e a una normativa adeguata a supporto: in questo caso, la Sicilia potrebbe diventare davvero l’hub del Mediterraneo, visto che vanta il maggior numero di navi nell’area in grado di utilizzare il GNL”.


In verità sin dal 2013, nell’ambito del piano di ricerca Smart cities and communication and social innovation finanziato dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca), la Caronte & Tourist, in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l’Autorità Portuale di Messina, Fincantieri S.p.A., il Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR ITAE di Messina, l’Università della città dello Stretto, la Comet S.r.l. del gruppo Blandina che cura la logistica a Tremestieri, Rina Service S.p.A. e Isotta Fraschini Motori hanno dato vita a un “progetto sperimentale” per l’uso integrato di motori alimentati a GNL a bordo delle navi mercantili nazionali a partire di quelle del gruppo Franza-Matacena in navigazione nello Stretto.
“Tale progetto prevede il refitting di una nave traghetto esistente, la progettazione di una nuova unità a GNL ed infine uno studio di fattibilità per la costruzione a Messina di una piccola stazione a bunkeraggio del GNL”, si legge nella slide di presentazione del progetto. I partner si sono incaricati di approfondire alcune tematiche, quali “semplificazione e facilitazione deroghe normative”, “coordinamento delle stazione di bunkeraggio a terra”, “sviluppo del processo logistico con l’implementazione di sistemi di informatizzazione applicati alla logistica integrata”, “produzione e liquefazione su piccola scala di GNL da gas naturale e di bio-metano”, “sviluppo e produzione motori a combustione interna”, “metodologie di bunkeraggio, a partire dalle bunkering stations, ovvero strutture terrestri di stoccaggio e distribuzione di LNG, in prossimità di porti, capaci di asservire ai fabbisogni delle unità”, ecc..
Caronte % Tourist e partner di ricerca hanno stimato un investimento per la realizzazione dell’infrastruttura di bunkeraggio “presso il costruendo porto di Tremestieri” tra i 12 e i 15 milioni di euro. “L’Autorità Portuale di Messina ha espresso l’intenzione di sviluppare tale struttura anche in vista della possibilità di offrire tale servizio a navi diverse dai ferries”, si legge nella slide. Tra i risultati attesi dal progetto, oltre alla realizzazione di uno studio di fattibilità, anche il “conseguente sviluppo di tecnologia italiana sulla cantieristica navale LNG”, il conseguimento di “deroghe normative sull’utilizzo del LNG sia a terra che a bordo” e la “proposta di agevolazioni fiscali per aziende che utilizzano l’LNG come combustibile ed aiutino lo Stato Italiano a rientrare nei parametri imposti dal Protocollo di Kyoto sulle emissioni inquinanti”.


 Mentre a Messina si è consolidato un fronte comune tra centri di ricerca, università, aziende, politici e complesso militare industriale a favore di una location LNG nel megaporto di Tremestieri con annessa piattaforma logistica, nell’area siracusana un ventilato progetto del tutto simile strutturalmente ha visto l’opposizione degli ambientalisti e di alcuni importati esperti e docenti universitari. In una lettera aperta alle autorità, il prof.   Luigi Solarino, già docente di Chimica industriale all’Università di Catania, e presidente di “Decontaminazione Sicilia”, stigmatizzando il progetto di realizzazione nella rada di Augusta di un “serbatoio per lo stoccaggio di 10.000 m3 di GNL”, ha rilevato la pericolosità di questi impianti e dei processi che vi si realizzano. “Quando la temperatura del GNL aumenta, esso comincia a cambiare di stato diventando gas, cioè si verifica la cosiddetta rigassificazione”, ha spiegato il prof. Solarino. “Il GLN, trasformandosi in gas, incrementa il suo volume di ben 600 volte, cioè 1 metro cubo di GNL diventa 600 metri cubi di gas metano. Nel caso di accidentale perdita di GNL, la nube di gas che si formerebbe sarebbe freddissima e fluttuerebbe nell’aria a bassissima quota (perché risulta molto più pesante dell’aria circostante); essa, trasportata dai venti, allorché si miscela con aria nel rapporto fra il 5 e il 15% diventa facilmente infiammabile, per cui basta una scintilla per farla deflagrare”.
Ma agli abitanti della zona sud di Messina, qualcuno lo ha spiegato mai cosa potrebbe accadere con l’Hub LNG di Franza, Matacena, Blandina & C? 

Milano
Resistenza palestinese.

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PER CORRADO BAGNOLI

La copertina del libro

Nel leggere la tua nuova silloge “Il cielo di qua”, pubblicata nel maggio 2018 da La Vita Felice, mi sono sentita in bilico, Corrado, sulla soglia, a spiare il confine fra essere e nulla, istante ed eternità, quasi una nuvola in viaggio, sospinta verso gorghi di tenebra e improvvise illuminazioni, sulle ali della tua parola-pensiero. Hai una vocazione sapienziale a coltivare riverberi, e scovare gemme di senso. La materia, le persone, gli elementi naturali, le particelle subatomiche e il firmamento stesso sembrano qui ruotare vorticosamente attorno al centro di gravità iper-massivo dell’Amore, che pulsa nel nucleo di te. E da te questa energia salvifica si irradia, a esorcizzare il terrore della dissoluzione totale. Sulla tua tavolozza, cielo e mare si spogliano dei loro contorni, per sciogliersi in un’azzurra carezza. 
Ci ricordi il nostro esilio dal mistero ma solo per penetrare, subito dopo, nel cuore di nuove verità. Dal pozzo buio del silenzio estrai l’autentica voce delle cose, fotografate un attimo prima che il divenire le agguanti, le sgretoli. E le fagociti. Traduci la miseria del destino umano in costellazioni di significati, mantra di sentimenti, zattere poetiche cui aggrapparci per non sprofondare dentro abissi di assurdo.
Sei insieme granito che si sbriciola, battigia votata all’alta marea, lava dalle ferite della Terra, e deserto assetato. La tua mente è un radar potentissimo, attento a captare tutto il dolore e la gioia del cosmo e a tradurli nell’abbraccio che consola. L’universo intero si rifugia nei tuoi versi, e vi si specchia, qualche momento di riposo, poi riprende la sua fuga. La tua anima inquieta si arrampica sempre più in alto. Il tuo sguardo temerario ci prende per mano, vola oltre le vette, ci mostra orizzonti interiori inesplorati, là dove le onde giocano con oceani più grandi. Con te anche la luce scrive, danza, dipinge.
Grazie, Corrado, per questa generosa tenerezza, per aver trasformato in dono la tua sofferenza. Il sentiero che hai tracciato suggerisce infinite biforcazioni. E radure incantate.
Lidia Sella

EUGENIO MAMMONE.
UN MEDICO CHE LASCIA UN OTTIMO RICORDO
Uno stimato professionista, un uomo sensibile.


Eugenio Mammone
San Nicola Arcella. Il prossimo 30 gennaio, 2019, dopo quarantuno anni di ben proficua e onoratissima professione medica, sarà collocato a riposo, per raggiunti limiti di età e di servizio, il dott. Eugenio Mammone, Medico di base di San Nicola Arcella, ove viene esercitando dal 1985. Laureatosi nel secondo quinquennio degli anni Settanta, ha svolto dapprima la sua attività di Medico chirurgo, quale tirocinante, nel reparto di Chirurgia dell’Ospedale di Cetraro, indi medico di Medicina Generale in una Casa di cura di Belvedere Marittimo, nonché Medico Generico convenzionato con gli ex Enti Mutualistici prima e Servizio Sanitario Nazionale poi nel Comune di Verbicaro sino al mese di marzo del 1985, anno del suo trasferimento nel Comune di San Nicola Arcella, per dedicarsi, anima e corpo, a quest’ultima Comunità, che avrà a festeggiarlo, sicuramente, e devotamente, alla grande, per l’eccellente servizio ad essa prestato. Sin dai primissimi tempi, egli intese, infatti, la sua professione come una missione, tant’è che, nell’estate, pare, del 1986, io stesso, allora, vigile urbano estivo, accompagnandolo in zona “Baia Azzurra” ove era stato chiamato a constatare, quale medico sanitario, l’avvenuto decesso d’un signore partenopeo, potei ammirare la dedizione con la quale egli, dopo averne redatto la certificazione di morte, si attivò, da me coadiuvato (su richiesta d’un congiunto, distrutto dal dolore), anche a svestirlo, lavarlo e a rivestirlo con cravatta: cose, queste, che oggi fanno soltanto i necrofori. 

Una veduta di San Nicola Arcella

Dedizione, la sua, associata, ovviamente, anche ad alta professionalità, come più volte, da lui dimostrato, in casi di provvidenziali atti di soccorso: uno per tutti, quello in cui (su precipitosa richiesta del compaesano, oratore-pittore- poeta-scrittore, rag. Gennaro De Luca) riportò in vita, quand’era ormai per tutti morto, un signore del posto, accanendosi, in un mirato e accurato massaggio cardiaco. Il tragediografo-poeta-scrittore sannicolese (Medaglia d’Oro dell’Ordine dei Medici di Milano), dott. Franco Lo Schiavo (che la Laurea in Medicina e Chirurgia, con successiva Specializzazione in Otorino-Laringo-Odontoiatria, l’aveva conseguita, a soli 23 anni, nel lontano 1923 con l’insigne Clinico, ultranonagenario, Antonio Cardarelli) si rivolgeva spesso al Mammone per prescrizioni mediche, e mi diceva di lui: “È un eccezionale teorico: sa veramente tutto di Medicina; tutto, nei minimi particolari: preparatissimo sia in anatomofisiologia che in patodiagnostica”: e di tutto ciò ho potuto, anch’io, nel mio piccolo, avere, spesso, contezza e conferma; in particolare, quella volta in cui mi fece, durante una passeggiata, una lunga, approfondita, particolareggiata e intelligibile dissertazione sull’emoglobina glicosilata, con addentellati e parallelismi su altri argomenti. Persino un assai noto giornalista televisivo, nell’omaggiare di un suo volume il Mammone, ne scrisse, tra l’altro, nella dedica in esergo, dopo averne avuto, in una serata trascorsa insieme in San Nicola Arcella, la diagnosi al volo di una sua patologia che solo dopo tanti e svariati consulti era riuscito, in precedenza, a ottenere con esattezza: “Al dott. Eugenio Mammone, un Medico d’altri tempi, con affetto e simpatia”. Il Mammone, proprio grazie a questa sua fama di gran conoscitore della caduceata Arte medica, nonché galenica, ha avuto pazienti provenienti anche da altre Condotte, e un Ambulatorio che continua ad avere in quel di Verbicaro, patria natia della sua amata consorte, prof.ssa Angiolina Aloise, in quiescenza da alcuni anni, dopo avere insegnato Lingua e Letteratura Francese presso il Liceo Scientifico di Scalea, di cui ebbe ad essere anche Vicepreside, ed essere stata anche Giudice del Premio letterario “San Nicola Arcella-Franco Lo Schiavo”, con Presidente di Giuria, Mario Sansone. Il nostro Mammone (che è stato anche, e sempre, come un nostro padre, fratello, amico e  confidente) è destinato a restare nel cuore (oltre che del “Gentil sesso”, per fascino e squisita garbatezza) puranche di tutti gli sportivi dell’Alto Tirreno Cosentino venuti a contatto con lui quale Specialista in Medicina dello Sport.

San Nicola Arcella
Il porticciolo con la Torre Crawford

Il dott. Eugenio Mammone (dal bell’aspetto signorile), sia come Medico dello Sport che Medico di Medicina Generale (Medico di famiglia) è destinato, dunque, a lasciare un’orma assai profonda e indelebile in questo borgo calabrese (che, dal 1985, lo adottò anche come membro della propria Comunità, essendo egli originario di Rose, Cosenza, ove ebbe i natali nel 1949). La lascerà, sicuramente, ancor più marcata, diùtina e nobilitante di quanto ebbe a lasciarla il suo predecessore, oriundo di Grisolia, dott. Biagio Salemme, al quale, per dedizione e vocazione alla Professione medica, fu eretto un “Busto alla Memoria”, ai margini di Via Nazionale. Il Mammone visse a Rose durante tutta la fanciullezza e poi a Cosenza fino al termine del suo studentato presso l’Università di Napoli (ove si distinse, oltre che per il buon profitto anche per essere un po’ ribelle), e fu alimentato con i genuini frutti della terra “a filiera corta”, ossia  acquistati presso i contadini del posto, e con il latte che uno di questi gli portava ogni mattina, dopo che il padre (del Mammone), un gentiluomo dal cuore umile, nobile e magnanimo, gli aveva comprato un asino per facilitargli il tragitto e il lavoro nei campi. Il dott. Mammone ha espletato, possiamo ben dire, senza tema di smentita da parte di nessuno, la sua Professione medica, in San Nicola Arcella e in Verbicaro, in maniera impeccabile, con massima Dedizione, Efficientismo, Onestà e Deontologia, e, quindi, sempre sotto l’alta guida di Apollo (dio della Medicina), e in ossequio al giuramento ippocratico, al cui paternalismo si è sempre strettamente attenuto. Mai, egli, infatti, è stato tacciato o rimproverato di comportamento scorretto o errore professionale. E mai, io -che del suo Ambulatorio sono stato, per motivi di salute, un frequentatore assiduo- posso dire, l’ho visto una volta arrabbiato, scontroso od offensivo nei confronti di qualcuno, né di quelli che parlassero ad alta voce in sala d’attesa. 

L'Isola di Dino

E mai e poi mai l’ho visto rimandare indietro qualcuno che si fosse presentato alla porta dopo l’orario di chiusura. E quanta gente, impossibilitata a muoversi da casa, egli ha servito, raggiungendola sul posto, o telefonicamente, e, nei tempi in cui non c’era ancora il computer per le ricette, quante volte egli ha ricevuto, fuori orario, oltre alle consuete telefonate anche, e soprattutto, pazienti, a casa propria, a cui prescrivere medicinali, perché usciti quel giorno, magari, da un ospedale, o rilasciare impegnative perché in partenza per qualche visita specialistica d’urgenza, o ricovero.  Egli, inoltre, pur essendo stato sempre addentro anche alla “Cosa pubblica”, non ha mai accettato di ricoprirne cariche amministrative d’alcun genere: e questo al solo scopo di non distrarsi mai dalla sua delicatissima e importantissima “Missione” che è stata sempre quella di salvaguardare, con particolare intonazione d’importanza (preventivamente o terapeuticamente), la salute dei suoi concittadini. La maggior parte dei professionisti che incappano negli ingranaggi della politica, raramente riescono, poi, a svolgere egregiamente la loro principale attività. E il dott. Mammone (nobile e signorile, come già accennato, nel tratto e nello spirito), questo lo ha sempre saputo, anche quando i tentativi di accalappiarlo son venuti a farsi sempre più insistenti, attanaglianti e allettanti. Sicuramente, quindi, il Mammone (in cui la signorilità gareggia sempre con la professionalità), un medico che tutti rimpiangeremo: e ciò anche per essere egli stato (e lo sarà, ahimè, per soli altri pochi giorni ancora) sempre ligio, e presente, al proprio Dovere e alla propria Missione, spesso rinunciando (con nobiltà di cuore e di mente) persino alla fruizione delle proprie ferie. 

San Nicola Arcella
l'Arcomagno

Anche quando, agli albori degli anni zero, dovette essere operato per un episodio emorragico cerebrale, egli, dopo pochi giorni, riprese a esercitare. È stato un medico dotato di un grande intuito con cui è riuscito a discernere, con o senza stetoscopio, qualsivoglia patologia broncopolmonare et similia, senza mai sbagliarsi. Non possiamo, dunque, che ringraziarlo, “ab imo pectore”, per tutto il suo operato a proficuità e a sostegno della nostra salute, ed augurargli una diuturna e felicissima “quiescenza”, che, appunto, dal 1° febbraio p.v. potrà iniziare a godersi, unitamente all’assai umile e gentilissima moglie, N. D. Angiolina, al figlio, Emiliano, che gli ha fatto dono di una bellissima nipotina, e alla elegante e bellissima figlia Amélie, che esplica la sua attività di avvocato nella Città della Lupa, dove si è anche sposata ed ha avuto un figlio per il quale, il dottore, appena nato, ebbe a improvvisarsi, ricordo, per avermela declamata, anche poeta, dedicandogli una sentitissima e bellissima poesia.                           
Nicolino Longo 

sabato 26 gennaio 2019

NON HO UN BLOG PERSONALE
di Angelo Gaccione

Max Hamlet Sauvage
"Il pensatore errante" 2018

Pare che non vi sia nessuno in giro per il globo, dove la rete Internet sia arrivata, che non abbia un “Sito web” o un “blog” personale. Mi è stato chiesto perché non ne abbia uno personale anch’io. È presto detto: mi piacciono le imprese collettive in cui le intelligenze di uomini e donne cooperano, si fondono, si confrontano, stimolano altre idee, altre soluzioni, altre possibilità. Se ci pensate, tutto il sapere e le conoscenze umane sono nati dai continui apporti che nel corso della storia, quelli che sono venuti dopo, hanno saputo aggiungere, e così avverrà sempre. Lo spunto di una frase ne fa germinare altre cento; un pensiero ne genera altri, un grappolo di note musicali può a sua volta produrre infinite varianze, e così via. Noi ci nutriamo di intelligenze, più ce ne sono intorno a noi, più la nostra si accende, più contribuisce a dilatarla. Il pensatore anarchico russo Michail Bakunin, amava le cattedrali medievali perché in esse e nella loro realizzazione, ritrovava l’incarnazione dello spirito comunitario degli uomini. Il lavoro di migliaia di individui, solidale, corale, collettivo, per innalzare un’opera perfetta, solida, duratura, in cui si fondevano sapienza tecnica, armonia, visione, scienza, arte, ecc. Non c’è nulla di più entusiasmante della creazione di un’opera musicale, di una messa in scena teatrale, della costruzione di un palazzo (tutte attività collettive), della realizzazione di un giornale o di una rivista in cui il lavoro collegiale traccia le linee e definisce i contorni di ciò che il prodotto finito diventerà. Una fabbrica contemporanea non potrà mai eguagliare il fascino di una bottega artigiana medievale o quella di un maestro di pittura rinascimentale. L’individualismo del lavoro ha prodotto l’individualismo sociale: un vero e proprio tumore. Poter realizzare un libro assieme, controllandolo lungo tutte le sue varie fasi, è ciò che mi fa ancora preferire i piccoli editori, ai grandi mostruosi apparati dell’industria libraria dei nostri giorni. Non ho dunque voluto un sito o un blog personale, ma ho aperto un giornale in Rete, perché migliaia di riflessioni trovassero un luogo collettivo e pubblico per mettersi a confronto; perché il dibattito fosse a più voci, corale, stimolante, acceso; perché la critica a ciò che ci disumanizza potesse essere quanto più ampia possibile; perché le ragioni collettive prevalessero sul mero narcisismo individuale. Sono stato sempre convinto che gli uomini si salvano insieme o insieme periscono; come le società. Ritrovare questa dimensione collettiva è per noi oggi fondamentale: per definire l’ossatura di una civiltà solidale e non competitiva, e per indicare la sostanza concreta di una diversa moralità. Ovviamente non dimentico di essere anche un creatore di storie e, a mio modo, un elaboratore di concetti: facoltà che implicano un lavoro personale fatto di studio, concentrazione, silenzio, solitudine. Tutto vero. Ma non dimentico neppure che immaginazione e pensiero non esisterebbero fuori da una dimensione comune, collettiva, sociale; che senza questa dimensione, quelle facoltà non ne sarebbero stimolate.
[Milano, 5 luglio 2015]                        

IL RISCHIO DELLA PARODIA DEMOCRATICA
di Fulvio Papi
 
Nella interessante collana “Sguardi sul mondo attuale” dell’editore Guerrini e associati esce ora l’ottimo libro di Ferruccio Capelli  Il futuro addosso. L’incertezza, la paura e il fenomeno populista” che ha il pregio di offrire un’analisi del nostro tempo tramite un incrocio di saperi economico, sociologico, politico e storico che, riflettendosi reciprocamente, offrono un sicuro effetto di conoscenza e, soprattutto, la comprensione di quella che un tempo era chiamata “opinione pubblica” (ricordate Habermas?) e ora, nella distruzione contemporanea dei significati, viene definita “la gente”.
Il libro di Capelli, intessuto da una straordinaria conoscenza bibliografica, può costituire un punto d’arrivo della nostra storia, una specie di autobiografia sociale che pone difficili interrogativi sul nostro destino, se non quello sottinteso e sicuro di una pessima sorte per la distruzione dell’equilibrio planetario che è stato il costo della modernità. Capelli scrive: “Per evidenziare gli effetti della nuova grande trasformazione sono stati scelti tre campi di ricerca: la disintermediazione, la solitudine e lo spaesamento. La disintermediazione deriva dalla rivoluzione informatica che pone direttamente gli individui nello spazio del mondo: il digitale tende ad appiattire il mondo”. Da qui un individualismo mentale (ho evitato apposta “simbolico”) che rafforza quello economico e ha come risultato una folla priva di qualsiasi solido riferimento collettivo, una folla che “si muove nella mediosfera, soprattutto in Rete”. La democrazia (che è tale se funziona come un sistema che contempla poteri e regole in equilibrio) entra in crisi perché cambiano tutti i rapporti di mediazione che sono necessari. È necessario concludere che il risultato sociale è di fatto che la democrazia “sotto la spinta della nuova tecnologia digitale” si è trasformata in una democrazia disintermediata nella quale imperversano la folla e i nuovi leader autoritari. Sarebbe scorretto parlare di fascismo poiché sono molto diversi i referenti sociali, ma certamente di una nuova forma di autoritarismo sorretto dalla formalità democratica che, a dispetto di ogni retorica, merita una consapevolezza rigorosa. Capelli poi passa ad esaminare la forma sociale del lavoro che è del tutto mutata sia nella sua forma esecutiva con i sistemi di automazione sia nei suoi effetti psicologici privi della tradizionale solidarietà, sia nella sua valutazione etica, sia nel suo esito politico. Ciascuno diventa imprenditore di se stesso in una sottintesa concorrenza. È, aggiungo io, la vittoria della lotta di classe che i ceti ricchi hanno  vinto con una potente macchina ideologica che interpretava come bene necessario la situazione di fatto. Era possibile ri-cominciare con una nuova critica dell’economia politica? Dal punto di vista teorico era molto facile, ma nella situazione concreta una simile critica al “popolo” pareva una vichiana “boria dei dotti”. Così che la “teologia mercantile” (non è il linguaggio di Capelli) non è proprio per niente la “fine della storia”, è solo l’inizio di un modo di essere con un effetto contrario ma invisibile rispetto all’umanesimo in crisi della società contemporanea: un dio che usa e disprezza le sue creature. 

La copertina del libro
Questo è forse un altro modo di dire quella situazione che Capelli segna come solitudine che, nella povertà della propria identificazione, deve distruggere qualsiasi livello simbolico comunque costruito: soli, poveri, drogati dallo spettacolo, aggressivi, nei confronti di qualsiasi livello del sapere. Forse devoti a microtecnologie. Cambia anche qualsiasi relazione temporale. Capelli dice che il futuro è “entro di noi prima che accada”. Probabilmente questo fatto è possibile come effetto di un “presente assoluto”. L’avvenire è una parola da Feuerbach, ma è anche una parola popolare come nel celebre inno dell’Internazionale”. A livello della immaginazione di questa nuova forma di soggettività c’è l’identificazione populista che, tuttavia è una variabile sociale nei diversi ambienti etici e politici. Capelli scrive: “il populismo è il sintomo più evidente della crisi della politica ridotta nella stagione neo-liberale a tecnica di adattamento al mercato e di gestione del contingente”. Domanda: quanto di questi elementi era presente anche nella politica che si riconosceva in un modello culturale? In questo contesto nasce un’idea di popolo che non ha niente a che vedere né con la tradizione che discende da Rouseau, né con la tradizione tedesca da Bach a Nietzsche, né con la tradizione americana della rivoluzione. Il popolo è l’argomento che non ammette repliche, la parola sovranità, stravolta dal suo significato originario, legittima qualsiasi arroganza. Capelli mostra le diverse forme di populismo, nella prassi forse vi è sempre un certo mixage. Il finale è con la domanda: “il populismo come destino della democrazia?”. Sappiamo sin dal vecchio De Sanctis che la democrazia può coltivare anche la propria crisi. E temo di dover dire che il populismo ha già trasformato la democrazia nella sua parodia. Credo però che dobbiamo anche misurare noi stessi allungando la prospettiva in una dimensione culturale e politica mondiale. Quivi troveremmo che l’Europa, un tempo dominatrice del mondo, oggi “paga il fio” della sua potenza, e vive l’ora del vero tramonto. Non quello ideologico e fantasioso di Splenger duramente criticato da Croce e copiato invece dal Duce. Misurare dunque noi stessi, imparando da Spinoza a diffidare della nostra immaginazione, magari aiutata da una kantiana “buona volontà”, e da una emotività che deriva da un pensiero filosofico che si è sempre attribuito il compito di una pedagogia. Ed è per questo che i rimedi indicati nel libro mi paiono vittime di una tautologia: adoperare come rimedi le stesse categorie di cui, molto lucidamente, si vede la fine. Ma resistere si può, e lo si deve alla nostra storia.

Alli Benigni Lettori


Segnaliamo ai nostri lettori
l’interessante scritto di Gabriele Scaramuzza
su la “Traviata” di Verdi alla Scala,
nella rubrica “Note”.

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