LAMPEDUSA WAY: LA MITICA AVVENTURA
DEGLI EMIGRANTI DI SEMPRE DI M. CRIPPA E G.
PIAZZA
di Leonardo Filaseta
Incomincia con un sogno Lampedusa way
– al Piccolo Teatro Studio dal 16 al 23/04 e finisce con un abbraccio amoroso
tra i due protagonisti: reale riparo alla visionarietà della vicenda. Mahama e
Saif africani s’incontrano per caso a Lampedusa: lei in cerca di sua figlia,
lei di suo figlio. Ricerca ansiosa presso il capitalista – sponsor o
ingaggiatore del viaggio dei figli -, presso il postino, infine presso
l’ambasciata. Trepidanti e impazienti si sostengono a vicenda: lei con più
inflessibile fede tira le redini. Si alimentano con la memoria della patria - “ sono tre giorni che il sole africano non
ha visto la nostra presenza… “- e di sogni. Quello più emblematico di lui è il
rinoceronte, simbolo forte dell’incombente e incoercibile presenza dell’Africa
che lo tiene in vita tra speranza e disperazione. Quello più pregnante di lei,
donna incantevole,é la farfalla che si ferma sulla sua spalla, che la riempie
di gioia esultante, e sprona anche il compagno. Non ci sono accadimenti di
rilievo, la vicenda è intessuta dei loro altalenanti sospiri su un tappeto coperto di reti, allusivo alla
spiaggia, e di due blocchi cubici richiamanti l’isolotto. Tutto è giocato
sull’evocazione del loro passato e della speranza di trovare i figli in una
diafana atmosfera visionaria: con alternanza di propensione a credere o meno, e
con momenti di gioco a rincorressi e di
giocondità esultanti. Due ragazzoni che sognano appunto, con due momenti che s’
incidono: quello del gioco col capitalista – una volta interpretato da lei e
una volta da lui – a cui chiedere dei figli pressantemente, e quello della
dettatura a lui di lei con aria solenne della lettera all’ambasciatore: tra
l’ironico ed il ludico. E così si arriva all’afflato finale in cui, persistendo
e infievolendosi la speranza di trovare i figli, si abbracciano con sovrumana
dolcezza affidandosi al loro indicibile amore per superare almeno la
clandestinità e trovare la libertà di emigranti del mondo. Momento festoso,
estatico, della mitica avventura di viandanti dell’Universo che “dà un senso di
serena pietà” per una candida coppia “ fin troppo miseramente umana”
(Pasolini). Mahama e Saif africani “ritrovano l’infinito nell’umiltà” e “un
baleno d’allegrezza che il mesto viso illumini” (Saba). Storia toccante e
commovente fino all’incontenibile. Ha smosso in molti la memoria di secolari
migrazioni italiane ed europee: di quando milioni e milioni di nostri antenati
partivano per le Americhe senza sicurezza di poter rivedere un giorno i
parenti. Chi scrive ricorda di aver visto, ancora negli anni ’50, amici calabresi
partire con la C. Colombo a Napoli, con pianti strazianti dei parenti che
ancora mi feriscono. Carissimi direttissimi africani, il cuore è con voi
fratelli maggiori. Oggi per il moltiplicarsi delle tragedie non bastano i
drammaturghi per superare la quotidiana onda ossessiva di notizie, schivata. Ci
vogliono i poeti: i poeti drammaturghi, al servizio del gran teatro come
Goethe. Loro ci narrano in modo epico, solenne, l’avventura dell’uomo, la sua
fiaba, il suo mito. Il mito di Maddalena e Graziano instilla in noi uno sguardo
novello su sé e sul mondo. La catarsi ci libera i cuori: più leggeri, usciamo
pensosi e sospesi, più aperti all’incontro con gli uomini tutti. Anche in noi
il cuore di gioia si sfa, rapiti dai due interpreti fanciulloni, immedesimati
toto corde nella parte, direi con slancio mistico. Lui nel tratteggiare con
amorevole abbandono un Saif docile e
gracile, bastonato dai marosi del destino e risorgente alle gioie infantili
terminanti in capriole e guaiti: malleabile e plasmabile dagli eventi al lume
degli avi africani. Lei la positiva regale donna che non solo regge con ferrea
determinazione – espressa con limpida tagliente dizione-la situazione, ma
imprime l’incantesimo della gran madre con la sua forza tellurica e celestiale:
sì, irrorata del sorriso leggiadro dagli dei della culla dell’umanità. Un
innico grazie a loro e alla fervida direzione d’intonazione apollinea e d’alone
sottilmente femminile, di eterna fanciulla di Lina Prosa che ci ammanta e ci
intride con grazia di pioggia poetica.