di Franco Astengo
Umberto Terracini mentre firma la Carta Costituzionale |
Dal punto di vista della
tenuta costituzionale non può che suscitare profonda preoccupazione l’avvio
della discussione sull’introduzione del referendum propositivo. Leggendo,
infatti, il resoconto delle audizioni tenute in Commissione da alcuni
costituzionalisti pare emergere, infatti, ben oltre il dibattito sull’assenza
del quorum o su altre particolari tecnicalità, il principio di fondo che anima
l’idea di questa proposta in particolare da parte del Movimento 5 stelle.
L’idea è quella dell’anti-parlamento, del superamento della democrazia
rappresentativa, del populismo eretto a sistema con una costante
contrapposizione tra il “popolo” e le istituzioni rappresentative, lasciando il
Governo a diretto confronto con la massa senza volontà di espressione
dell’intermediazione politica.
Nella
sostanza ci troviamo di fronte ad un’ipotesi di rovesciamento dell’impianto
costituzionale proprio sul terreno più delicato: quello della forma di governo.
Un tentativo che si reitera nel tempo, già presente nei testi elaborati dalla
Bicamerale presieduta da D’Alema tra il 1997 e il 1998, successivamente nella
proposta di riforma costituzionale fatta approvare dal governo Berlusconi nel
2006 e poi bocciata nel referendum confermativo e - ancora - nella riforma
voluta e approvata dal PD nel 2016 e sonoramente sconfitta dal voto popolare il
4 dicembre dello stesso anno.
I
tre progetti disponevano però di un punto in comune: quello di avviare comunque
la forma di governo verso il presidenzialismo, sia con l’elezione diretta (il
progetto della Bicamerale prevedeva il semipresidenzialismo alla francese,
quello del PD del 2016 spostava dal Parlamento al Governo la potestà
legislativa). In questo caso, invece, l’obiettivo è quello della
disintermediazione compiute (comunque pure vagheggiata anche dal già ricordato
progetto del PD 2016), dell’annullamento di tutti gli strumenti organizzati
della mediazione politica e sociale.
Risulterà
fondamentale la questione dei limiti dell’ammissibilità del referendum
propositivo soprattutto al riguardo delle leggi di spesa e di quelle
riguardanti i trattati internazionali.
A
questa situazione corrisponderà, ovviamente, il rafforzamento dell’uso del web
per la decisionalità politica, inoltrandosi così per quella strada di vera e
propria abolizione dell’istituto parlamentare già preconizzata da qualche tempo
dai vertici dello stesso movimento. In conclusione, allo scopo di argomentare
al meglio le ragioni per le quali l’Assemblea Costituente scelse la forma di
governo Parlamentare dell’idea che all’epoca si aveva dell’istituzione e per
confermare la volontà di difendere la forma di governo di tipo parlamentare non
trovo di meglio che riportare le parole con cui Umberto Terracini aprì, il 4
marzo 1947, in Assemblea Costituente, la discussione generale del progetto di
Costituzione della Repubblica italiana: «... La imminente discussione, onorevoli colleghi, deve assolvere - oltre
che quello costituzionale - un altro compito, che non dirò gli sovrasta, ma
certo gli sta a paro.
Essa deve dare conforto
a tutti coloro - e sono incommensurabilmente i più, fra il popolo italiano -
che nell’ istituto parlamentare vedono
la garanzia maggiore di ogni reggimento democratico; a tutti coloro che, soffrendo
in sé - nel proprio spirito - di ogni offesa e ingiuria che venga portata
contro il principio rappresentativo e gli istituti nei quali esso storicamente
oggi sʼincarna,
vogliono però a buon diritto, e si
attendono, che questi non vengano meno al proprio dovere: che non è solo quello di elaborare testi legislativi e
costituzionali, ma anche di essere in tutti i propri membri esempio al Paese di
intransigenza morale, di modestia di costumi, di onestà intellettuale, di
civica severità; e ancora - me lo si permetta - di reciproco rispetto, di
responsabile ponderatezza negli atti e nelle espressioni, di autocontrollo
spirituale ed anche fisico, di sdegnosa rinuncia a ogni ricerca di facili
popolarità pagate a prezzo del decoro e della dignità dell’ʼAssemblea.
È certo difficile, dopo
tanta immensità di umiliazione nazionale, ritrovare dʼun tratto quellʼincrollabile equilibrio
interiore senza il quale non può darsi alcuna consapevole e conseguente
attività politica, e cioè attività in servizio del bene pubblico. Ma ciò che
per tanti, più prostrati dalla miseria e meno ferrati nel sapere, può ancora
essere una meta da raggiungere, per noi - che abbiamo osato accogliere lʼofferta di farci guida
del popolo - per noi ciò deve essere, o dovrebbe essere, certamente una meta
già conquistata. Io amo, dunque, pensare, onorevoli colleghi, che lʼalta impresa cui oggi
moveremo i primi passi, impegnandovi ogni nostra forza dʼingegno, ogni nostro
moto di passione, ogni nostro fervore di fede, riuscirà a dare prova ai nostri e ai cittadini di tutti i Paesi del
mondo che lʼAssemblea Costituente italiana è pari alla sua missione, e degnamente rappresenta il popolo
che lʼha eletta,
un popolo probo, eroico, incorrotto».
Primo
compito dellʼAssemblea rappresentativa
è
dunque dare esempio: di intransigenza morale, di modestia di costumi, di onestà
intellettuale, di civica severità, di reciproco rispetto,
di responsabile ponderatezza negli atti e nelle espressioni, di autocontrollo
spirituale ed anche fisico, di sdegnosa rinuncia a ogni ricerca di facili
popolarità. Compito che non avrebbe potuto essere surrogato dalla perfezione
tecnica del metodo, che «non sarà
sufficiente a soddisfare le attese ansiose che circonderanno il nostro lavoro.
E neanche le placheranno lʼabbondanza di erudizione, lo splendore della dottrina, il
dominio del ragionamento, lʼabilità polemica, la
ricercatezza del linguaggio di cui la nostra tornata parlamentare sarà ricca e generosa».
Dal
basso e dallʼalto: le due direzioni
della rappresentanza.
Si
potrebbe facilmente dire che alla situazione odierna, di disprezzo/dileggio
della rappresentanza, siamo giunti perché coloro che si attendevano quel buon
esempio sono rimasti delusi e frustrati dal cattivo esempio. Ricordo, infine,
che Umberto Terracini (1895-1983) fu arrestato dai fascisti nel 1926 in
violazione dell’immunità parlamentare e liberato soltanto al 25 luglio 1943,
dopo aver trascorso 11 anni in carcere e 8 anni al confino prima a Ponza poi a
Santo Stefano.