DELLA PAURA
di Franco Astengo
Questa la notizia che arriva
da Milano nel post Inter-Napoli, partita nella quale la tensione razzista ha
suonato un diapason ad altissima frequenza.
“È morto per le ferite
riportate un tifoso di 35 anni, investito ieri sera prima della partita Inter-Napoli a San Siro. Un episodio che aveva già un grave bilancio, con quattro
tifosi napoletani accoltellati durante gli scontri. L'uomo si chiamava Daniele Belardinelli,
era un ultrà di Varese con già un Daspo alle spalle e - stando alle prime
informazioni - faceva parte del "commando" di un centinaio di tifosi
interisti che hanno teso un agguato ai napoletani prima dell'arrivo allo
stadio. Immediata la reazione delle forze dell'ordine: il questore Marcello
Cardona, parlando di "azione squadrista" ha detto che chiederà di
vietare "le trasferte dell'Inter fino alla fine del campionato e la
chiusura della curva dell'Inter fino a marzo 2019, per 5 partite". Tre ultrà
interisti sono stati arrestati per rissa aggravata e lesioni.”.
Si
è scritto in tante occasioni del calcio come metafora della vita “nel bene e
nel male”, per denigrare gli eccessi di tifosi, dirigenti, atleti oppure per
esaltare la virtù di una necessaria “moralità” della pratica sportiva. Milano
in fine di questo 2018 dimostra come il quadro sia mutato anche se in passato
cose orribili ne sono accadute tante, dall’omicidio Paparelli a quello
Spagnolo, fino alla “summa” rappresentata dalla notte dell’Heysel. Oggi però il
calcio appare come riflesso della scompaginazione sociale provocata dall’odio
di massa, dal razzismo esercitato a piene mani nella quotidianità e anzi
trasformato in emblema di una riscossa politica. Il razzismo diventato una
bandiera da sventolare in faccia a presunti nemici.
Il razzismo come
identità.
Si
è scritto di “individualismo difensivo”: queste esternazioni collettive come
quelle viste in atto nella serata di Inter-Napoli fanno pensare piuttosto a
un “individualismo della paura”.
La
stessa logica insita nell’idea della libertà di sparare per presunzione di
legittima difesa.
Dobbiamo
convincerci che ci troviamo a una svolta del quadro di relazioni sociali così
come queste erano state tracciare nella “modernità”.
Uno
sfilacciamento morale e culturale che incide sulla vita quotidiana e pure sulle
espressioni della politica, sull’idea di comunità. Non c’è più spazio per
l’appartenenza a precisi, anche se diversi, filoni di pensiero da confrontare
in dibattiti seriamente appassionati. Non c’è più metafora: quello che accade
sui campi di calcio è lo specchio di ciò che avviene giorno per giorno in una
progressiva mimetizzazione collettiva al ribasso. C’è stato chi ha pensato di
collocarsi a questo livello per raggiungere il potere: una trasformazione riuscita
nell’immaginario, buona per la costruzione di una nuova oligarchia che
svolga funzione di “scena” con la recita dell’uomo qualunque che si sofferma a
pensare per gli altri. Intanto il modello offerto alle masse funziona e
nell’incoscienza generale fa passare i messaggi dell’egoismo, del “prima noi”,
dell’esercizio della sopraffazione. Non s’individuano più i confini tra
l’azione politica e la realtà sociale.
Nella
confusione generale anche il calcio sfugge alla vecchia affermazione della
“metafora” e diventa occasione per nascondersi in una notte nella quale davvero
tutte le vacche sono nere, e i tempi della notte sembrano allungarsi
all’infinito.