Gio Ferri |
Abbiamo appena saputo
dagli amici Adam Vaccaro e Vincenzo Guarracino, della scomparsa dell’amico Gio Ferri. Pubblichiamo qui di seguito quanto
ci è stato inviato, compreso la lunga nota di Guarracino. “Odissea” si associa
al cordoglio ed esprime alla famiglia e a quanti lo hanno conosciuto e
apprezzato, tutto l’affetto e la vicinaza. [a.g.]
Devo purtroppo comunicare
che questa notte si è spento Gio Ferri, poeta e critico, fondatore e
condirettore con Giuliano Gramigna e Gilberto Finzi, per oltre decenni, di “Testuale, critica della poesia contemporanea”. Gio Ferri è stato per me uno dei principali
interlocutori di ricerca teorica intorno alla poesia, ma è stato prima di tutto
esempio di straordinaria generosità umana, un fraterno carissimo amico. Infine,
non da ultimo, è stato uno dei
cofondatori di “Milanocosa”, e mi ha costantemente sostenuto nella prosecuzione
del suo attivo percorso culturale.
Ciao
Gio, rimarrai presente in noi!
Adam Vaccaro
PS: Comunico che i
funerali di Gio Ferri saranno domani, 6 dicembre, alle ore 11.00 presso la
parrocchia di Santo Spirito, via Bassini 50, Milano.
***
di Vincenzo Guarracino
La copertina di uno dei numeri della rivista |
Rispondendo a una
sollecitazione della poetessa Rosa Pierno, sulla compresenza di attività
poetica e un’altrettanto
intensa attività critica, aveva riaffermato la sua convinzione
della necessità che il poeta debba esercitare la critica e che critico e poeta
debbano convivere, nel senso che il poeta essere anche un critico.
È
questo il filo conduttore di tutta la sua ricerca, nei campi più diversi cui si
è dedicato, senza risparmiarsi dal ricercare e attivare continuamente tutte le
possibili risorse del linguaggio, rifuggendo da uno sterile protagonismo.
Nato a
Verona nel 1936, Gio Ferri è stato così giornalista, grafico, poeta, poeta
visivo, critico d’arte e di letteratura. Uno sperimentatore, insomma, a tutto
tondo, instancabile e indefesso. Fondatore assieme a Gilberto Finzi e Giuliano
Gramigna nel 1983 della rivista “TESTUALE, critica della poesia contemporanea”,
e poi fino ad oggi direttore della
stessa, è stato autore di almeno 30 raccolte di poesia, tra cui “Le
Palais de Tokio”, e il poema
interminabile “L’Assassinio del poeta” (Anterem) soprattutto “Inventa lengua” (Marsilio ), una
messinscena di sé a partire dalle formelle della basilica veronese di San Zeno
in uno straordinario “ibrido
linguistico”, nel volgare di Giacomino da Verona,
come l’aveva definito Giancarlo Buzzi.
Assieme a queste, ci sono narrazioni e teatro: “Albi” (Anterem), “Macbeth, ricreazione”, “Il Dialogo dei Principi” per la musica di Franco Ballabeni.
Nel campo della saggistica, innumerevoli saggi, presentazioni, prefazioni in particolare “La ragione poetica. Scrittura e nuove scienze” (Mursia). “Forme barocche nella poesia contemporanea” (L’assedio della poesia).
Assieme a queste, ci sono narrazioni e teatro: “Albi” (Anterem), “Macbeth, ricreazione”, “Il Dialogo dei Principi” per la musica di Franco Ballabeni.
Nel campo della saggistica, innumerevoli saggi, presentazioni, prefazioni in particolare “La ragione poetica. Scrittura e nuove scienze” (Mursia). “Forme barocche nella poesia contemporanea” (L’assedio della poesia).
Una “carriera”,
si diceva così una volta, intensa e intelligente: multis luminibus ingenii.
Oggi che ne piangiamo la scomparsa credo che si possa ricordarlo e avere
un’idea del suo multiforme ingegno, anche soltanto attraverso due testi che qui
brevemente presentiamo.
L'appagamento della sposa
Vìtulo, è apparso agli
altipiani erti:
distende l’ansa a quelle
gioie mìtili;
docile giogo, dolce
solve i reperti,
accoglie e stempera i sacri
mostri, vìtili
alle pacate forme, rimira aperti
salvi, sospiri; leva e
rinfranca i seni,
e senza affanni aspira ad
altri merti.
(da: Nozze pagane, 1988)
Da un discutibile pittore in crisi
tre ottave per una brava attempata ragazza
Eccola
Chiara, vien di rado, di tanto in tanto
offre
callida carezza con qualche tristezza,
di quando in
quando. “Rivestiti“ le dico non son
più
arrapanti il collo, il petto, i fianchi formosi, i piedi.
Povera
Chiara, una gran tenerezza vederti passare lenta
puntuale e sonnolenta,
lo squarcio materasso,
mal
sganciato reggipetto. Vieni con tristo affetto
per me per
tutti per nessuno.
I seni ancor
formosi scontornano il vallo del petto
per lasciare
spazio eppur teso al glande ancor voglioso
che scende a
cercar quella pur viva ferita rosa oltre l’oltre.
Eppure
questo corpacciolo ti ha fatto pur mangiucchiare,
panza
morbidosa e tette pomone facevano espressione.
De Kooning o
Guttuso, persino Freud e Bacon. Fatta
disfatta
affogata. Sfinita. E ora? Finito.
Vai
sballonzolando i glutei disformati.
Giunonica
giovenca. “Ero pur di rosa, carne golosa. Pur qualcosa.
Astiosa? Le
donne non le dipingi più e t’ingegni
impossibili
marchingegni ferrosi erosi porosi.
Donne le
chiami ancora! O chiappe! Eppur tette! O Chiare!
Su dite,
anche, ho costruito la mia abitudine a una vita
pervicacemente
amara…”. Ma ormai non è più quel simbolo
carnicino
questo sdeflorato fiore… solo un’ansiosa stanchezza
per sere
disfose come questa.
(Rilettura e
radicale rifacimento dal Canto XI del ‘poema interminabile’
“L’Assassinio del poeta”).
Sono due testi della produzione poetica di Gio Ferri: uno, L'appagamento della
sposa,
riferibile a Nozze pagane
del 1988; l’altro, Da un discutibile pittore in crisi , più
recente e sostanzialmente inedito, anche se nato da una costola del poema
L’Assassinio del poeta, una sorta di poema interminabile che costituisce una
sorta di enciclopedia della sua ricerca poetica; entrambi con in comune una
visione della vita protesa alla rappresentazione della vita come messa in gioco
ed esperienza di una voglia senza censure e misteri, non senza una traccia di
premonizioni e presagi della fine.
Nel primo, nella leggerezza allusiva e madrigalesca del testo, ci
sono sulla scena, baldanzosi e orgogliosi della loro giovinezza e
disponibilità, i due protagonisti di una storia, naturale e “pagana” quanto
basta, protesa all’incontro amoroso e al conseguimento di un “appagamento”
inscritto tutto senza censure e misteri nella sacralità dei sensi.
Nel secondo, una bellezza sfiorita, un corpo senza grazia in disfacimento con appena
qualche traccia e ricordo dell’antica formositas
ma senza più alcuna venustas: è
questo che rappresenta Gio Ferri, in un testo intriso di cultura e rimandi letterari
e in un linguaggio manieristicamente ricco ed elaborato, chiamando in campo lo
“sdeflorato fiore” dell’antica fiamma di un “discutibile pittore in crisi”,
indulgendo a metterne in evidenza i tratti deformati di una bellezza ormai
appassita, priva di qualsiasi mica salis,
di quel “pizzico di sale che trasforma”.