di Fulvio Papi
Da quello che dice la comunicazione di massa il
Partito Democratico pare determinato a fare le elezioni “primarie” per
stabilire chi farà il segretario del partito. Dico subito che sono
assolutamente contrario a queste elezioni primarie: In primo luogo sono una
importazione (senza dazio) dagli Stati Uniti, senza considerare che cosa sono
colà le elezioni primarie: un confronto di candidati ciascuno appoggiato
finanziariamente da gruppi economici e finanziari che diventano il dominio
dell’azione politica come negli ultimi decenni del 900 era del tutto chiaro a
chi non credesse ciecamente nella “democrazia come fosse un dio sociale”. Nel
caso nostro abbiamo importato quel modello dimenticando completamente la sua
realtà sociale, e dipingendolo come l’arrivo della democrazia politica che
avrebbe conferito al popolo la designazione dei suoi dirigenti. Altra
proposizione del tutto falsa. Basta domandarci quali sono le differenze
obiettive tra i vari candidati, dato che i loro programmi politici assomigliano
alla parte rituale di una cerimonia. Provate a chiedere ai potenziali elettori
di farne un riassunto in poche righe essenziali. Allora come avviene la scelta?
Credo prevalentemente da parte di gruppi organizzati nel partito che desiderano
per i loro scopi di trovare una posizione egemonica. L’effetto immediato di
questa pratica è la divisione del partito in correnti, più o meno visibili, che
hanno come scopo principale la loro emergenza, il che, a dire poco, genera due
effetti: l’uno l’indebolimento endemico del gruppo dirigenziale, l’altro la
visione retorica e lontana dalle necessità del paese che, per la verità, in
Italia sono così numerose e difficili il cui governo è di per se stesso molto
complesso. Aggiungo che nei programmi si dice sempre “che cosa bisogna fare”
mai come si possa fare, con quali
mezzi, in quale tempo, con quali priorità compatibili con l’insieme delle
esigenze fondamentali. I programmi presentati in questo modo sono sempre falsi,
ad essi seguirà una prassi quotidiana senza prospettiva alcuna, ma, a
posteriori, difesa con un dispendio pubblicitario, provocando anche qui un
ulteriore degrado, quello di una pubblica opinione che considererà la propria
partecipazione politica solo in relazione ai propri interessi o alle proprie
ubbie emotive. Tutto questo carico si
riversa più o meno sulle elezioni primarie.
Se il Partito Democratico volesse risalire la corrente credo
che dovrebbe liberarsi dell’idea di partito liquido, - il che, nel concreto,
vuol dire gruppo politico centralizzato -, e cercare di riprendere un aspetto
territoriale. Oggi anche più difficile, poiché non si tratta di portare sul
territorio un “linguaggio”, ma progetti fattibili e comprensibili sia locali
che nazionali, quindi mettersi in una competizione con i mezzi di comunicazione
dominanti e rimettere nel circuito sociale la faccia, il corpo, il tempo, la
parola. Altrimenti giochiamo alla politica e, in questo gioco sociale anche chi
perde, vince perché ha il suo posto nel gioco. Probabilmente tutto ciò non
serve a nulla. Ogni epoca ha le qualità determinanti, tuttavia nel muro c’è
sempre qualche spazio vuoto, e chissà.