di
Nicola Santagada
IL PASSATO
Una radice, che ha fatto un lungo
cammino nel tempo e nello spazio, nel senso che, coniata in Grecia, è passata
nella cultura latina, poi in quella italiana e, in particolare, dell’area
magnogreca, è παθ, da tradurre “fa generare il crescere o fa dal crescere”
ed è da interpretare nella logica del pastore e delle metafore che il pastore
ne deduce, per rendere, verbalmente, ciò che cade sotto i suoi occhi, i
vissuti, gli stati d’animo, le sensazioni, i sentimenti. Quindi, da παθ, con le desinenze -η -ης (dal
generare il legare), è stata coniata πάθη, stato passivo, accadimento,
male, sofferenza, che potrebbe far pensare all’incipiente
gravidanza e a ciò che provoca alla gestante, divenendo. Sicuramente, da
un contesto del processo generativo, il pastore estrapola un fenomeno
complesso: un evento sopraggiunto, che si subisce, determinando malessere
fisico. Da πάθη, come male che genera
sofferenza, è stata dedotta patologia, ma, soprattutto, è stato coniato il
verbo πάσχω, provo, provo impressione, sentimento, sensazione,
soffro, subisco, mi trovo in uno stato d’animo, per
rendere che cosa si prova durante quell’accadimento e nelle fasi del
processo. Da πάθη, con altri calchi, è
stato formato παθητός, chi ha sofferto, da cui patetico, che è il
modo di essere di chi ha sofferto; quindi, patema (deduzioni dialettali:
appatimiscid’ e appat’mut’) inteso come accidente, affezione,
sofferenza, afflizione; e ancora, simpatia ad indicare l’attrazione
per, e antipatia. Lo psicologo moderno ha quindi coniato il
sostantivo empatia e il rapporto empatico, come capacità di
comprendere stati d’animo, senza la comunicazione verbale, e ha dedotto ancora apatia
e apatico, designando con questo attributo colui che non si lascia
coinvolgere in nulla e per nulla. Per
esprimere le sensazioni/i sentimenti, che prova la madre per la
sua creatura dal momento del concepimento fino alla nascita e oltre, forse
anche per un evento drammatico, tragico e infausto, è stato coniato il lemma patos,
da cui sono stati dedotti, nella cultura italica, passione, come
sentimento di forte e intensa attrazione per, con totale coinvolgimento
emotivo, nonché appassionato e spassionato. Successivamente patos
è stato utilizzato per indicare sentimenti ineffabili, quelli che si provano
per le vicende dell’eroe delle tragedie, che sono analoghi a quelli che prova e
vive intensamente la madre, durante il travaglio: sofferenza intensa e
pervasiva, ma piena di passione e di amore.
La radice, approdata nell’antica Roma, è stata reinterpretata e ha dato
luogo, innanzitutto, a pateo: sono visibile, sono aperto, sono
praticabile, significati questi dedotti presumibilmente, dalla crescita del
grembo. Quindi, con il calco del participio presente, è stato ricavato patente,
colui/ciò che è aperto, visibile, da cui poi patente,
titolo professionale abilitativo, che deve essere a tutti visibile e che
consente di poter esercitare un’arte, come la iettatoria, di cui parla, in modo
esilarante, Pirandello nella omonima novella. Inoltre, i latini, che
conoscevano pate e pasco, verbo greco, hanno coniato il verbo
deponente patior, soffro, sopporto, tollero,
concetti dedotti dai processi della gravidanza. Quindi, con i calchi, è stato
derivato il participio presente paziente, la pazienza (gli italici spazientirsi);
da passus sum, ho sofferto, è stato ricavato passio Domini,
compassione, passibile e passibilità e finanche patibolo.
Sono stati infine dedotti tutti i significati contenuti in passivo, già
riverberati in πάθη. Da παθ, sembrerà
strano, è stato ricavato il passo, inteso come crescita progressiva
verso il traguardo finale; quindi passare, passaggio e il
passato: quante ne ho passate! Se crono
e tempo sono metafore del grembo e rappresentano il fluire della vita,
il pastore ha riscontrato, nel processo formativo dell’essere, il presente,
il passato e il futuro. Il presente è la realtà del grembo
in fieri, che non solo fluisce, determinando il passare,
ma, nella sua staticità, dura, anche se per poco. Il presente, inoltre,
è proiettato costantemente verso la nascita, che non solo rappresenta ciò
che sarà, ma anche ciò che necessariamente sarà: deve essere,
in dialetto: ha da iess’ (determinismo meccanicistico). In quel che ha vissuto la creatura nel grembo
- pochi momenti di felicità, tante traversie e peripezie - si rispecchia il
passato dell’uomo, che diventa memoria esperienziale comune, soffusa, talvolta,
di nostalgia, che si accetta e non si rinnega, che testimonia la fatica del
vivere e che, comunque, è parte integrante della propria identità.