di
Angelo Gaccione
Max Hamlet Sauvage "La coppia" (Coll. priv. A. Gaccione) |
La
responsabilità del linguaggio
Esiste una responsabilità del
linguaggio? Altroché se esiste, e ogni volta che mi sono trovato coinvolto in
confronti pubblici non mi sono potuto sottrarre dal richiamare al suo compito
di verità. È un obbligo morale, prima che politico o di altra natura. Provo una
aperta insofferenza di fronte ad un uso paludato delle parole e alla loro
genericità. Che vi ricorrano diplomatici, critici d’arte, politici, uomini di
chiesa e di potere, non mi scandalizza; è gravissimo, invece, che lo facciano
giornalisti, storici, economisti, scienziati e scrittori. Tutti costoro
dovrebbero (mi rendo conto che sto usando un verbo al condizionale) rifuggirne
e fare del linguaggio, e del suo senso, oltre ad un’arma concettuale, la loro
riconoscibilità pubblica, l’essenza del loro mestiere. Dovrebbe (ancora un
condizionale) toccare a loro l’opera di demistificazione, di precisione, di
verità.
È fin troppo evidente che questa posizione è scopertamente
velleitaria e per molti versi ingenuamente astratta. Me ne rendo perfettamente
conto e condivido tutte le vostre riserve e perplessità. Si tratta di
un’aspirazione, e come tutte le aspirazioni ha un substrato utopistico. È un
po’ come la battuta di J. D. Macdonald a proposito della felicità: “Aspirarvi
non è una speranza insolita. Insolito è che si realizzi”. Volutamente non
ho tenuto conto del fatto che ciascuna categoria e ciascun singolo individuo, è
parte di un contesto sociale i cui interessi - economici culturali,
morali - sono divergenti, se non apertamente confliggenti. Direi, se non vi
parrà troppo datato il concetto di classe, che si trovano in un
“conflitto di classe” che li separa: sociale, o anche semplicemente
intellettuale, non importa; conta che il “conflitto” resta inconciliabile su
ogni piano. Compreso quello della chiarezza concettuale, della verità e della
precisione. L’inganno, in altre parole, è parte necessaria del conflitto. La
mia è allora una pia illusione?
Se dovessi dar retta a quanto è stato scritto amaramente da Voltaire: “Gli uomini usano il pensiero per giustificare le proprie ingiustizie, e il discorso solo per nascondere i loro pensieri”; e a quanto di suo vi ha aggiunto in modo asseverativo Ennio Flaiano: “La parola serve a nascondere il pensiero, il pensiero a nascondere la verità. E la verità fulmina chi osa guardarla in faccia” direi di sì, e non potrei che disperare. Ma l’aspirazione è testarda e non si sottomette al cinismo; soprattutto non accetta l’ineluttabilità della menzogna e dell’inganno. E, in buona compagnia con Alessandro Manzoni, continua a pensare che “Il linguaggio è stato lavorato dagli uomini per intendersi fra loro, non per ingannarsi a vicenda”. E dunque è pronta a correre il rischio di guardarlo in faccia l’inganno, costi quel che costi.
Se dovessi dar retta a quanto è stato scritto amaramente da Voltaire: “Gli uomini usano il pensiero per giustificare le proprie ingiustizie, e il discorso solo per nascondere i loro pensieri”; e a quanto di suo vi ha aggiunto in modo asseverativo Ennio Flaiano: “La parola serve a nascondere il pensiero, il pensiero a nascondere la verità. E la verità fulmina chi osa guardarla in faccia” direi di sì, e non potrei che disperare. Ma l’aspirazione è testarda e non si sottomette al cinismo; soprattutto non accetta l’ineluttabilità della menzogna e dell’inganno. E, in buona compagnia con Alessandro Manzoni, continua a pensare che “Il linguaggio è stato lavorato dagli uomini per intendersi fra loro, non per ingannarsi a vicenda”. E dunque è pronta a correre il rischio di guardarlo in faccia l’inganno, costi quel che costi.