NAPOLI SILENZIO E GRIDA
di Paolo Vincenti
“Stanca,
rassegnata, innocente, invasata
nuda,
svergognata, tradita, condannata
ma è la mia
città.
Sporca,
avvelenata, incivile, incendiata
sempre
affollata, devota, ammutinata
ma è la mia
città”
(“La
mia città” - Edoardo Bennato)
A Napoli, tre ragazzi,
definiti dal Questore “un branco di lupi”, hanno aggredito ed ucciso un
vigilante, Francesco Della Corte, “colpevole” soltanto di svolgere il proprio
lavoro. I tre minorenni, presso la stazione metropolitana di Piscinola, hanno
confessato l’omicidio senza mostrare nessun segno di pentimento. Volevano
rubargli la pistola d’ordinanza per rivenderla al mercato nero e di fronte alle
resistenze del vigilante lo hanno trucidato con un bastone, infierendo anche
sul cadavere. Il problema delle baby gang a Napoli è diventato urgente quasi
quanto quello della Camorra, anche perché i piccoli criminali usano gli stessi
metodi dell’organizzazione malavitosa. I Ministri dell’Interno degli ultimi
governi che si sono succeduti hanno risposto incrementando il numero delle
forze dell’ordine, istituendo nuovi distretti di polizia nelle zone
maggiormente a rischio, - Pomigliano D’Arco, Casalnuovo di Napoli, Volla,
Casoria, Scampia, ecc. -, e con un programma di “tolleranza zero” nei confronti
delle squadre di baby criminali, come quelli che due anni fa hanno sfregiato lo
studente Arturo, nella centralissima Via Foria. Ma Napoli è ogni giorno agli
onori delle cronache per fatti negativi, casi di nera, di morti violente, droga,
corruzione, contrabbando. È sempre stato così. L’iperinformazione oggi
penalizza maggiormente la città, che da questa sovraesposizione mediatica trae
solo cattiva pubblicità nel mondo. I tanti casi di delinquenza minorile, la
dispersione scolastica, il racket del pizzo che soffoca la libera impresa, gli
episodi di malasanità, lo scempio urbanistico, la lentocrazia degli uffici
pubblici, l’assenza dello Stato, specie in certi rioni, tutto ciò ha finito per
far passare in secondo piano “l’oro di Napoli”, per dirla con Marotta, per
oscurare quello che di buono c’è in questa grande e splendida città. Una città
che è un microcosmo, coacervo di spinte centrifughe e centripete, mix di
impareggiabile bellezza artistica e paesaggistica ed incorreggibile degrado,
cuore grande, generosità e ospitalità, e sconforto dell’abbandono e
dell’incuria, amore e odio, ragione e sentimento. “Il Continente Sud, il più antico Deep South del mondo”, scriveva Aldo
Bello negli anni Settanta, “concentrato nel ventre di una metropoli che può
esplodere da un momento all’altro, con la sua fame che è un dato permanente
della storia, con la rabbia inespressa, con la miseria elevata a sistema, con
la tecnica aberrante dell’assistenza pubblica e privata che nega ogni diritto
al cittadino, con le cosche politiche pronte a muovere le masse secondo il
proprio tornaconto”.
Il degrado di Piazza Garibaldi
E ha voglia il Sindaco De Magistris a gridare che oggi le
cose si sono invertite. Purtroppo “Il Mattino” (nel senso del quotidiano,
fondato nel 1892 da Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, il più antico e
prestigioso del Meridione) non porta “l’oro in bocca”, secondo il noto detto
popolare, ma notizia la città dell’ennesimo scannamento, dell’ultima bomba
esplosa, del millesimo atto intimidatorio da parte della camorra, di arresti
eccellenti fra notabili e faccendieri, della milionesima retata della Guardia
di Finanza o dei Carabinieri. Ancor peggio: apri e leggi di un ventenne
arrestato a Scampia per spaccio di eroina e crac, oppure di una diciottenne a
Procida arrestata per spaccio di hashish. La situazione è inquietante; dal
Rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa, Lucio D’Alessandro, viene
addebitata alla rabbia sociale e alla deprivazione della speranza che vivono le
periferie urbane del Napoletano, vuote di stimoli, di segnali di sviluppo, di
occasioni di aggregazione (“Avvenire”, 17 gennaio 2018). Luci ed ombre: è la
dicotomia che ha sempre caratterizzato la metropoli partenopea, dicotomia oggi
più che mai emblematica di un presente selvaggio, svangato, in cui le ombre
hanno preso il sopravvento e lo skyline della città è oscurato da una fosca
nuvolaglia che si addensa minacciosa, incombente. Forse quello che presenta Napoli come città
di contrasti non è soltanto uno stereotipo, è cosa vera. Cioè, il male è
talmente consustanziale alla città che sembrerebbe che essa non possa farne a
meno, per ritrovarsi buona, forte, solidale. Forse, cioè, v’è bisogno della
Camorra, del sangue sulle strade, delle faide e delle connivenze, insomma del
cuore nero della città, perché si possa sentire battere anche l’altro cuore.
“Dateci una guerra”, sembra voler dire la parte buona della città, usando le
parole di Carlo Bernari, “dateci una rivoluzione, un’eruzione, un colera, e vi
si fa vedere se siamo o non siamo un popolo unito, che dico popolo, una
famiglia, una ciurma ammutinata… ma ci occorre un pericolo contro cui
batterci”.