PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada
La
metafora della guerra
Come ho avuto modo di dire, i simboli alfabetici, in
numero molto limitato, furono ideati dal pastore indoeuropeo per rappresentare
l’attività riproduttiva, per cui la realtà, spesso, è una metafora di ciò che
avviene nel grembo o, meglio, di ciò che si ritiene avvenga. In molti altri
casi ci si servì di quella simbologia per indicare oggetti, sensazioni,
sentimenti ecc. Quando i greci vollero indicare: io odio,
coniarono il verbo: (echtheo) ἐχθ-έω, avvalendosi
di questa semplice perifrasi: è ciò che consegue per me, quando più
passa il tempo e più mi gonfio (perché lego costipando dentro di me tutto
il malanimo, causato dal mancare, nel senso di torti subiti). Quindi,
l’immagine del grembo, cresciuto a dismisura per i torti accumulati, servì a
greci e anche ai latini per indicare che cos’è l’odio. In altra occasione,
infatti, i greci si erano avvalsi di (miseo) μισ-έω per dire: io odio (da cui, in italiano, misantropo),
utilizzando questa circonlocuzione: è ciò che consegue dal rimanere il
legare. A questo proposito si ricorda l’espressione dialettale: “come mi
fa gonfiare!”, ad indicare accumulo di acredine, rabbia, livore.
Poi da (echthos) ἔχθος furono dedotti gli aggettivi: (apekthés) ἀπεχθής: odiato, nemico e (ekthros) ἐχθρός: inviso, nemico, ostile.
I latini coniarono l’aggettivo inimicus, come
contrario di amicus, che è colui con cui trascorro piacevolmente il
tempo, perché c’è un forte legame affettivo da sempre. Invece, il nemico
rappresenta colui con cui non si lega, ma colui che manca, poiché ha fatto gravi
e innumerevoli torti.
Bisogna ricordare che anche la guerra, che
gli antichi ben conoscevano, venne rappresentata attraverso delle metafore
attinenti al grembo. D’altra parte, la guerra avveniva con sbarramenti fissi
(fortezze) e con sbarramenti umani per contrastare l’azione di sfondamento del
nemico.
La creatura che nasce, cresciuta a dismisura, si
protende in avanti (l’immagine del nemico) per conquistare il territorio che
non è il suo (il suo spazio è il grembo). Chi subisce la guerra adotta delle
strategie: erige mura di difesa e chiude con falangi, con legioni e quant’altro
l’unico varco possibile, dove, durante il travaglio, si svolge la battaglia
campale. Quindi, lo spazio strettissimo, in cui si va ad incuneare la creatura
per poter nascere, diventa pericoloso trabocchetto per tendere insidie
mortali.
I greci per indicare battaglia, combattimento,
mischia coniarono (polemòs) πολεμός, che
contiene questa perifrasi: è ciò che si verifica, quando la creatura sta per
nascere: la lotta del travaglio oppure si potrebbe trattare di una metafora
dell’eiaculazione. Poi dissero che, se c’è una battaglia, ci sono i nemici;
pertanto, da πολεμός dedussero (polémios) πολέμιος: nemico, da cui estrapolarono πολεμικός: ciò che riguarda la battaglia, il bellicoso e polemista,
per indicare il combattente, colui che fa la guerra. Gli italici usarono polemico,
polemica, polemista in senso attenuato, forse non tanto in
conseguenza di un combattimento, ma che innesca un combattimento. Quante polemiche
verbali sono il segno di divergenze insanabili o ne sono la causa!
I latini mutuarono il concetto di hostis da
(ostizo) ὠστίζω: spingo, a sua volta dedotto da ὠθ-έω: spingo,
caccio, allontano (significati ricavati dalla perifrasi: è ciò
che si genera dalla crescita della creatura) e da (osticòs) ὠστικός: violento,
impetuoso, attribuendo non solo il significato di nemico, ma
anche di straniero.
Il nemico che ti fa guerra è diverso da te, in
quanto viene da una terra (il grembo), che è misteriosa e sconosciuta ed ha una
potenza micidiale. Nella spinta di chi cresce, c’è il legare (l’accumulo di
odio e di acredine), causato dal mancare (dai torti subiti e dal bisogno). Nel
bambino che si protende in avanti, che cresce (auri sacra fames), c’è tutta la
spinta offensiva (determinata dal legare, quindi dall’odio) di chi vuole
sfondare a causa del mancare, come bisogno incoercibile. Caratteristica del
nemico è essere ostile (va sempre contro) ed è ostico come diverso,
in quanto straniero, anzi: di terra straniera.
I greci, inoltre, coniarono il verbo medio μάχομαι: combatto, contendo, lotto, a seguito di questa
perifrasi: è ciò che deduco per me dal rimanere il passare, che
rappresenta il travaglio. Quindi coniarono μάχη: lotta, combattimento, poi μηχάνη, in dorico μαχάνη, in italiano,
macchina (anche da guerra). Gli italici dedussero, anche, macina (da
cui macigno) e macinare, probabilmente macello, nel senso di fare
una strage e macerie nel senso di rovine conseguenti al combattimento. I
latini con maceria avevano indicato un muro a secco (come
barriera di contenimento) e maceries maceriei come pena, afflizione
per l’esito del parto/guerra. I latini, inoltre, avevano dedotto, mac-eo:
sono macilento, mac-er: magro, esile, quindi: mac-erare.
I latini, per indicare combattimento, battaglia,
duello, si avvalsero di pugna, da collegare al greco (pygmé) πυγμή: pugno, lotta a pugni, lotta, che rappresenta l’accapigliarsi
di due avvinti in una stretta mortale, come la creatura nella fase finale della
nascita. Da chi combatte si dedussero: pugnale, pugnace, come
strenuo combattente, pugnare (combattere), impugnare, come azione
di contrasto, da cui impugnativa e impugnazione, espugnare,
ad indicare la riuscita dello sfondamento con relativa occupazione del
territorio del nemico. I latini con repugnare avevano voluto indicare:
essere in contrasto, essere inconciliabile, essere incompatibile,
per cui con repugnantia indicarono: contrasto, incompatibilità,
inconciliabilità, antipatia, mentre gli italici assegnarono a ripugnanza
il significato di avversione viscerale e di disprezzo fino al
disgusto. Infine, nel mio dialetto l’espressione: tenere una pugna con
uno sta ad indicare: risentimento profondo, con senso di rivalsa per un
torto subito.
I latini, oltre a pugna, coniarono bellum
con significati affini. C’è chi lega bellum a duellum, in quanto le
due metafore sono simili. Con bellum i latini dissero: è ciò che avviene quando
la creatura sta per nascere, con duellum: per nascere c’è da affrontare uno
scontro fatale a due. Da bellum furono dedotti: imbelle, ribelle,
ribellione. Nel mio dialetto: u ribill’ (il ribello) indica una
confusione di gente concitata per un evento coinvolgente.
Per fare la guerra ci vuole l’esercito, per cui i
greci coniarono (stratòs) στρατός, ad indicare
una compagine serrata per impedire il passaggio. Da stratòs furono
dedotti: stratega (se c’è un esercito, c’è una guida), che adotta delle strategie,
che è strategico, che si avvale di stratagemmi. Da rimarcare che gli eserciti greci, come tutti quelli antichi, erano disposti su più file, su più strati,
per cui il concetto di stratificazione (da sterno/stratus dei latini) potrebbe
risalire a στρατός. Inoltre, dedussero στρατό-πεδον: accampamento, che per i latini fu castra
castrorum, come esercito che si sposta per raggiungere la località dello
scontro.
Per non farla troppo lunga, mi voglio soffermare su miles
militis e su esercito.
Miles è colui che si oppone, legando con gli altri commilitoni,
a che avvenga il mancare come nascita. Con mancare si è inteso dire il
venir meno, come cedere e pur di non cedere è disposto al sacrificio
estremo. Da miles furono dedotti milizia e milizie, militare
(aggettivo e verbo) e militanza.
In latino exercitus fu aggettivo e fu nome dedotto:
exercitus exercitus. Dall’aggettivo exercitus: esercitato nelle
avversità, duramente provato, abile a fu dedotto il concetto di
esercizio: in chi ha provato e riprovato ed ha acquisito abilità, ci sono
stati esercizi ripetuti, per cui io prediligo questo tipo di esercizio, in
funzione di acquisire padronanza in, e, in particolare, l’esercizio
della mente, della memoria, delle virtù, della volontà ecc.
Tornando ad esercito, come gruppo compatto
predisposto alla difesa, bisogna ricordare che questo nome fu dedotto dal verbo
arceo: serro, rinchiudo, trattengo, impedisco,
proteggo contro, allontano. Con arceo (da cui arx arcis: roccaforte),
i latini pensarono a tutte le difese per contrastare la nascita della creatura,
in questo senso si parla di metafora del grembo. Da arceo fu dedotto exerceo/exercitum
che è ciò che nasce da arceo: travagliare, tribolare, molestare,
non lasciar riposare, tenere vivo, tenere in esercizio, esercitare.
Dal participio passato exercitus che contiene i significati dedotti da arceo:
proteggo contro ecc. fu dedotto l’esercito: in chi ha protetto
contro, in chi si è esercitato a proteggere contro si deduce il
concetto di esercito.
Ben venga, dunque, l’organizzazione militare per la
difesa, per opporsi all’invasore, così come fu concepito dal civis romano, che,
però, con il passare del tempo, utilizzò l’esercito per compiere invasioni e
per realizzare il dominio sui popoli. A conclusione di queste riflessioni su arceo, mi
piace ricordare che in greco (arceo) ἀρκέω acquisì i seguenti significati: respingo,
allontano, resisto, sto saldo, che fanno sicuramente pensare
a un collegamento con arx arcis, ma anche ad esercito.
I greci per indicare il comandante dell’esercito
avevano coniato stratega (da στρατός), il
polemarco (da πολεμός) e, in un
certo senso, l’arconte polemarco. Inoltre, per indicare chi esercita una
supremazia, si avvalsero di egemone. I latini coniarono dux,
colui che guida. In realtà il duce, nella metafora del grembo, è
colui che ha ideato un abile stratagemma: far crescere la creatura per farla passare
attraverso lo stretto cunicolo.
I greci, per indicare la vittoria, coniarono
(nike) νίκη, che è quella che riporta la creatura che viene
alla luce. I latini coniarono il verbo vinco, con grafia greca υινχω, che è ciò che avviene quando passa/nasce la creatura. Quindi, dedussero
vincitore e da victus (che ha vinto/che è stato vinto): victor
e victoria.
I greci dedussero dal verbo medio (essaomai) ἡσσάομαι: sono
vinto (essa) ἧσσα: sconfitta, da cui, poi, i latini ricavarono vexare/vessare.
I latini, inoltre, si avvalsero di clades: perdita, rovina,
flagello, dedotta, probabilmente, da κλάω: spezzo, tronco o da κλαδεία: potatura. Gli italici usarono s-confitta, dalla creatura
morta durante il travaglio.
Si ritiene opportuno concludere queste riflessioni
sulla guerra, ricordando il processo formativo di pace. Con pax pacis
(anche questa è metafora del grembo), i latini dissero: fa dal generare il
mancare l’andare a legare, in quanto la pace implica il concetto di riappacificazione.
Il pastore latino ricorda che, in natura, dopo il mancare, che
rappresenta la crescita del flusso gravidico, avviene il legame tra
madre e figlio, particolarmente fruttuoso. Nella riconciliazione si
ottengono grandi risultati. La pace è legame che porta come frutto la
nascita della creatura, che è un grande bene. I greci si erano avvalsi di (eirene)
εἰρήνη (da cui in italiano: irenico), che ha lo stesso significato: dopo
il mancare dell’inseminazione, ciò che fa nascere la creatura è il
legare nel grembo (quello tra madre e figlio).